2021-03-01
Orgogliosi delle mandorle. La frutta che esprime una forte identità italiana
Basta farsi distrarre da mode esterofile e semi «à la page», torniamo a valorizzare questa prelibatezza tricolore che rafforza le ossa, combatte lo stress, nutre la pelleCome ha spiegato Coldiretti, l'anticiclone di matrice subtropicale dei giorni scorsi e ancora in corso determina un anticipo di primavera che inganna le piante: le temperature più alte fanno credere loro che sia un po' come in quella bella canzone che diceva «è primavera / Svegliatevi bambine». Ma Mattinata fiorentina posizionava esattamente la primavera, cioè a «Messer Aprile», mentre il caldo che sta stimolando riprese vegetative e fioriture anzitempo è arrivato a febbraio. Tra le piante gabbate ci sono i peschi e il rosmarino, le margherite e i mandorli. Mandorli che, tuttavia, a prescindere dagli anticicloni subtropicali, possono essere molto precoci nella fioritura rispetto ad altri alberi, laddove il clima sia molto mite, e fiorire normalmente tra gennaio e febbraio. Lo fa ad esempio la varietà di mandorla Pizzuta d'Avola, cultivar di Prunus dulcis var. dulcis, tipica della zona del territorio del val di Noto, in particolare di Avola (Siracusa) che inizia a fiorire proprio a gennaio per fornire mandorle mature tra luglio e agosto: pensate che ci si realizzano, semplicemente ricoprendole di zucchero e senza altro ingrediente aggiunto, confetti talmente rinomati in tutto il mondo che a Parigi i confetti di mandorla sono chiamati «avolà», a Londra «sugared almonds Avola» e a Ravenna e dintorni «avulàn» e sono stati scelti per il matrimonio di Harry e Meghan, ancor prima per quelli di Carlo e Diana e Kate e William. Grazie a questa precocità di alcune varietà, il mandorlo in Siria e Israele inaugura il Capodanno degli alberi, la festa ebraica Tu BiShvat di gennaio. Conosciamo un po' meglio questo splendido albero. Uno dei più antichi riferimenti alle mandorle compare nella Bibbia, nel Libro dei numeri dove il bastone di Aronne produce fiori e mandorle mature ed erano così diffuse in Egitto e Grecia che i nostri avi antichi Romani le chiamavano nux graeca. Il mandorlo sostanzia l'identità italiana. Si celebrano molto, in chiave globalista, i ciliegi giapponesi la cui fioritura è seguita come una festa in tutta la nazione nipponica e ora, imitativamente, anche da noi: testate che non hanno mai dedicato una sillaba alla fioritura di qualsiasi albero ci intrattengono entusiaste con la filosofia dell'hanami dei sakura nipponici.Abbiamo poi nel cuore i peschi, alberi anch'essi forieri di bei fiori, cantati da Lucio Battisti in Fiori rosa, fiori di pesco. Ma i fiori del mandorlo meritano pari entusiasmo e, non tutti lo sanno, in Italia se ne festeggia la fioritura. E già. La Festa del mandorlo in fiore si tiene a febbraio inoltrato o inizio di marzo ad Agrigento, dura una settimana e contempla anche la sfilata dei caratteristici carretti siciliani e il Festival internazionale del folklore. È, quindi, una riunione e non la negazione delle specifiche identità nazionali, come accade nei mappazzoni global o nell'ossessionato dal multiculti che ci decanta l'hanami ma si disinteressa completamente di fiori e alberi a lui vicini. Ideata dal conte Alfonso Gaetani nel 1934, all'inizio si teneva a Naro (poco lontano da Agrigento) e voleva far conoscere i prodotti siciliani, un paniere molto grande nel quale il mandorlo è assoluto protagonista. La street artist romana Gio Pistone ha decorato le mura del ristorante di inclusione sociale di Milano, «Rob de matt», con la frase del grande regista bergamasco cattolico e ruralista Ermanno Olmi: «Quando vedo un mandorlo in fiore mi tolgo il cappello». Questa precisa fioritura colpì anche Vincent van Gogh, che gli dedicò la tela Ramo di mandorlo in fiore nel 1890. Quindi, archiviamo almeno per un momento i ciliegi giapponesi e dedichiamoci ai mandorli italiani.Ciò che del mandorlo mangiamo sono le mandorle: il frutto di questo elegante albero è una drupa, cioè un frutto carnoso, ovale con esocarpo (la buccia) sottile, mesocarpo (la polpa) carnoso e poi l'endocarpo (il nòcciolo) legnoso all'interno del quale stanzia il seme, cioè la nostra mandorla. È la stessa conformazione botanica di albicocca e pesca, i semi dei quali, come abbiamo già visto nei numeri de La Verità dell'1 giugno e del 3 agosto 2020, sono le armelline, cioè un tipo di mandorle amare, usate in pasticceria per aromatizzare ma senza esagerare nella dose perché contengono amigdalina che, per idrolisi, forma acido cianidrico, tossico ad alte dosi (parte delle armelline vengono lavorate e trasformate in armelline dolci, concorrenti delle mandorle dolci perché costano il 30-40% in meno di queste ultime). Ci sono poi le mandorle amare da mandorlo, anch'esse amare e tossiche se assunte in grande quantità. Va detto che la cottura elimina da quei semi quasi del tutto il glucoside cianogenetico amigdalina, presente in concentrazione del 2-4% del peso della mandorla: la cottura in forno, microonde o bollitura lo riduce dall'80% al 98%. Ricordiamoci, comunque, che la legge 1008 del 1967 proibisce la vendita al dettaglio delle mandorle amare in Italia (negli Usa è proibita in qualsiasi modo, a meno che non siano state detossificate). Riassumendo, i mandorli si distinguono in amara, i cui semi contengono acido cianidrico (è la Prunus amygdalus var. amara, una specie botanica utilizzata soprattutto con scopo ornamentale oppure che cresce selvatica), dulcis, i cui semi sono utilizzati nell'alimentazione, nell'industria dolciaria e per l'estrazione dell'olio di mandorla officinale (la varietà Prunus dulcis var. dulcis, con il guscio duro) e fragilis (Prunus dulcis var. fragilis, dal buon sapore ma poco conservabile per via dell'endocarpo non legnoso e quindi commercialmente meno interessante). Aggiungiamo poi alla amara i semi già visti di albicocca e pesca. Il mandorlo, infatti (Prunus dulcis), è un albero da frutto, piccolo, caducifoglie e latifoglie, alto fino a 5 metri e così longevo che può giungere anche alla plurisecolarità, appartenente alla famiglia delle Rosaceae e al genere dei Prunus, lo stesso, appunto, del Prunus persica (pesco), Prunus armeniaca (albicocco), Prunus avium (ciliegio), Prunus cerasus (amarena), Prunus domestica (susino/prugno europeo). La drupa fresca della mandorla si può naturalmente, al pari di come facciamo proprio con pesche e albicocche, mangiare, ma generalmente consumiamo le mandorle secche. Si raccolgono tra agosto e settembre, a mano oppure con lunghi bastoni che servono a scuotere i rami e farle cadere, poi si lasciano asciugare all'aria e infine si sottopongono a smallatura, cioè la rimozione definitiva dei malli che intanto si sono un po' staccati da soli (solo di alcune varietà di mandorlo l'industria dei saponi e delle lascivie sfruttano il legno e gli endocarpi, ridotti in cenere). Il mandorlo è anche una pianta mellifera, ma il miele di mandorlo si trova raramente e soprattutto al sud, perché la fioritura a gennaio/marzo permette alle api bottinatrici di operare solo in climi non troppo freddi.Non solo l'albero e il suo fiore, nemmeno il seme svetta nel nostro orgoglio tricolore, andando più di moda nominare - e mangiare - semi oleosi à la page perché esotici come anacardi e noci di Macadamia, piuttosto che i nostri, come mandorle e pinoli, ma la mandorla è uno dei semi oleosi più antichi che abbiamo. Avete presente i famosi «latti vegetali» che tanto entusiasmano il mangiatore vegano e vegetariano, forse anche perché li ritiene un'invenzione contemporanea del suo credo? Sbaglia, il latte di mandorle è una preparazione tipica delle zone siciliane e, in generale, del Meridione e dell'area mediterranea già molto usata nei monasteri medievali per il consumo durante il periodo quaresimale e ideata per fornire una sorta di latte sussidiario, più conservabile di quello vaccino, che invece conveniva impiegare per realizzare formaggi, perché il latte in forma solida e fermentata si manteneva. Un'ultima curiosità agroalimentare: la mandorla di Toritto, Pat pugliese che è anche presidio Slow Food, è molto ricercata dai pasticceri non soltanto locali, soprattutto la Filippo Ceo (molte varietà portano i nomi di antichi cittadini torittesi), una cultivar autoctona che ha resistito all'«invasione» di varietà californiane più produttive, varietà che, indovinate un po', in America avevamo portato noi: furono i frati francescani a esportare le nostre mandorle in Nord America nel Diciottesimo secolo e poi all'inizio del Ventesimo secolo, soprattutto in California, si prese a produrle massicciamente. Al momento, gli Stati Uniti sono i maggiori produttori mondiali con circa 1.872.500 tonnellate annue, noi italiani nella classifica mondiale siamo sesti con circa 79.800: compriamo sempre e solo mandorle italiane quando facciamo la spesa.Come tutti i semi oleosi, le mandorle presentano un non irrilevante apporto energetico: 571 calorie ogni 100 grammi e infatti non è il caso di mangiarle a ettogrammi… Abbiamo poi 21,74 g di carboidrati, 12,2 g di fibre, 24,19 g di proteine e 50,61 g di grassi, di cui solo il 5% sono saturi, il resto sono grassi insaturi: non contengono colesterolo, il 32% dei lipidi totali è acido oleico, lo stesso dell'olio extravergine d'oliva, il 13% sempre dei lipidi totali è acido linoleico. Il minerale più rappresentato nella mandorla è il magnesio, 270 mg su 100 g, calcio 220 mg e ferro circa 3 mg. Non bisogna abusarne: pur essendo dei semi, hanno meno amidi di cereali e legumi e pur essendo «frutta» sono frutta secca, categoria che comprende anche i semi oleosi, tanto poveri di acqua quanto ricchi di grassi. Il consumo ideale è non più di 10, massimo 15 semi al giorno, cioè 20, magari 30 g e non ci sono controindicazioni - a queste dosi - nemmeno per chi soffre di patologie metaboliche perché possono aiutare a ottimizzare i livelli di lipemia: uno studio del 2011 ha dimostrato infatti che fino a un massimo assoluto di 56 g di mandorle nella dieta quotidiana aiutano a controllare l'iperglicemia, i lipidi (diminuiscono i livelli di colesterolo Ldl) e i depositi di grasso, abbassando il rischio di malattie cardiovascolari in pazienti con diabete di tipo 2. Molto importante è la presenza della vitamina liposolubile E, il tocoferolo. Mangiare mandorle non ci aiuta soltanto a nutrire il microbiota intestinale grazie alle fibre, sostenere il sistema nervoso soprattutto in caso di stress e fatica grazie al magnesio, rafforzare le ossa grazie al calcio: ha anche un importante effetto antiossidante grazie al tocoferolo, antiossidante molto utile per il cervello, il sistema cardiovascolare e respiratorio e per la salute della pelle. Le mandorle nutrono la nostra pelle: da esse si trae un olio limpido e privo di odore, molto emolliente, non comedogenico e di facile assorbibilità, ricco di vitamina E e particolarmente indicato - stendetelo sulla pelle ancora umida dopo la doccia, ciò permetterà un maggiore assorbimento - per rughe e smagliature.
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