2025-06-15
        Sorpresa Orcel: sventola una quota di Mediobanca. E Nagel non ride
    
 
Unicredit si presenta all’assemblea di Piazzetta Cuccia, che vota per l’Ops su Banca Generali, con l’1,9% L’istituto: azioni di clienti. Per Generali Gae Aulenti si è schierata con Francesco Gaetano Caltagirone: ora può fare la differenza.L’assemblea di domani di Mediobanca per l’approvazione dell’Ops su Banca Generali si annuncia come un testa a testa all’ultimo voto. Favorevoli e contrari (fra i quali vanno conteggiati anche gli astenuti) sono sostanzialmente alla pari con quote vicine al 40% per ciascuno degli schieramenti. Ad accrescere l’incertezza è l’ennesimo colpo di scena: Unicredit ha annunciato di detenere una quota dell’1,9% dell’istituto di Piazzetta Cuccia, formalmente «per conto dei clienti». Una mossa che ha il sapore di un segnale preciso, per quanto formalmente neutrale, che va a inserirsi in un contesto già segnato da tensioni tra grandi soci, voti incerti e un fronte azionario in continuo movimento. In questo senso va ricordato che all’assemblea di Generali di fine aprile Unicredit votò contro la lista del consiglio d’amministrazione proposta da Mediobanca. Difficile che abbia cambiato idea in quaranta giorni. Il dato certo è che l’assemblea sarà affollata: si prevede una partecipazione dell’81% del capitale. E con questo quorum, per far passare l’Ops, l’amministratore delegato Alberto Nagel ha bisogno del 50% più uno dei voti espressi, vale a dire poco più del 40% dei presenti. Un obiettivo non scontato, viste le mosse recenti di alcuni azionisti storici e l’emergere di nuovi attori.Il deposito di Unicredit, per quanto limitato in termini numerici, assume un forte valore che, a questo punto, non è solo simbolico. Le sue scelte potrebbero spostare le maggioranze. Secondo indiscrezioni, Unicredit potrebbe scegliere la strada dell’astensione. Una posizione che, nel regolamento assembleare, si traduce di fatto in un voto contrario al piano di Nagel, perché le astensioni vengono escluse dal conteggio dei voti. Accanto all’incognita Unicredit, si collocano le posizioni sempre più divergenti dei principali soci italiani. Anche il gruppo Delfin, della famiglia Del Vecchio, primo azionista di Mediobanca con circa il 20%. Una posizione cui secondo le ultime indiscrezioni si potrebbe allineare anche Benetton, che possiede il 2,2%. In questo quadro, il voto contrario di Francesco Gaetano Caltagirone titolare del 10% appare scontato: l’imprenditore romano non ha mai nascosto la propria opposizione al piano di Nagel e ha progressivamente aumentato la propria influenza anche su altri dossier bancari, come Mps e Generali. Altri azionisti minori come l’Enpam e la fondazione Crt dovrebbero allinearsi.Contro questo fronte, Nagel può ancora contare su una parte importante del capitale. Gli investitori istituzionali internazionali e il retail sembrano orientati a sostenere la strategia proposta, anche grazie all’indicazione positiva arrivata dai principali proxy advisor, influenti consulenti di voto per i grandi fondi. Incognita su Pimco che recentemente su Mps si è schierata con Luigi Lovaglio. Ieri si è aggiunta anche una nuova partecipazione: quella della famiglia Pittini, storicamente legata al settore siderurgico, ma da tempo attiva anche nel mondo degli investimenti finanziari. La quota - circa lo 0,4% - dovrebbe sostenere la lista proposta dal management. Il punto centrale del piano di Nagel è l’acquisizione di Banca Generali, per un valore stimato attorno ai 6,3 miliardi di euro. L’operazione verrebbe finanziata tramite la cessione del pacchetto Mediobanca in Generali (13%), storicamente cuore del potere finanziario di Piazzetta Cuccia. La mossa ha una duplice finalità: da un lato rafforzare la presenza di Mediobanca nel settore del wealth management, considerato più stabile e profittevole nel lungo termine; dall’altro lato, rendere l’istituto meno vulnerabile a incursioni ostili, come quella annunciata da Monte dei Paschi di Siena.Ma questa visione non convince tutti. C’è chi teme che la cessione delle quote in Generali possa indebolire il peso storico di Mediobanca nel sistema finanziario italiano, riducendo la sua «golden share» morale sul Leone di Trieste. Altri, invece, contestano la valutazione dell’operazione, ritenendola troppo onerosa.In gioco domani non c’è solo l’approvazione di un piano industriale. Si sta giocando una partita per il controllo di Mediobanca, e con essa, di un pezzo centrale del capitalismo italiano. Le astensioni, in questo contesto, valgono come «no» silenziosi. I voti favorevoli, per essere decisivi, dovranno essere convinti e numericamente robusti.Nagel è alla prova più difficile della sua lunga carriera alla guida di Mediobanca. Con un capitale frammentato, alleanze incerte e nuove presenze sullo sfondo, ogni decimale conterà. A decidere non sarà solo l’efficacia del piano, ma anche la capacità di leggere e comporre un equilibrio instabile tra tradizione e cambiamento, tra potere e visione.