2019-11-29
Ora che pure Trump punta su Sarraj l’Italia si sposta sulla linea Macron
Il ministro Lorenzo Guerini ribadisce: per i giallorossi in Africa il principio guida è «approccio congiunto con Parigi». È resa ai giochi francesi proprio mentre gli Usa in Libia virano sul nostro alleato storico in chiave anti Putin.Che il governo giallorosso stia perseguendo una smaccata convergenza con la Francia, non è una novità. E questo elemento si rivela tanto più vero, se guardiamo a come Roma si sta muovendo nel complicato scacchiere geopolitico africano. In questo quadro, il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha dichiarato ieri che qualunque azione nell'area del Sahel, volta a contrastare il terrorismo internazionale, non potrà fare a meno del ruolo dell'Esagono. «Ritengo», ha dichiarato, «che la ricerca di un approccio congiunto con Parigi sia necessaria. Ciò ferma restando la volontà di perseguire bilateralmente i prioritari interessi nazionali attraverso un rafforzamento del nostro impegno nella regione, in particolare nel quadro delle attività di sicurezza cooperativa e di capacity building».Il punto è che non è chiaro quanto questa convergenza con Parigi in Africa possa rivelarsi realmente fruttuosa per il nostro Paese. Soprattutto in uno scenario complicatissimo come quello libico, dove il generale Khalifa Haftar (storicamente spalleggiato soprattutto dai francesi) sta assumendo una postura sempre più ostile nei confronti di Roma. Pochi giorni fa, l'esercito dell'uomo forte della Cirenaica ha abbattuto un drone italiano a Nord della città di Tarhouna, chiedendo - tra l'altro - seccamente dei chiarimenti sul perché il velivolo sorvolasse quella zona. Episodio tanto più significativo se si pensa al fatto che, due giorni dopo, le forze del generale si sono invece scusate con Washington per aver distrutto un drone americano. Inoltre, mercoledì scorso, scontri tra le forze di Fayez Al Sarraj e dello stesso Haftar (che ha attuato con dei bombardamenti) hanno portato alla chiusura del giacimento petrolifero Eni di El Feel, nel Sud della Libia, fino al termine delle operazioni militari.Più in generale, il problema riguarda tuttavia il ruolo degli Stati Uniti: quegli stessi Stati Uniti che, se fino a qualche mese fa sembravano quasi intenzionati a schierarsi con Haftar, ultimamente stanno optando per un percorso differente. A metà novembre, il Dipartimento di Stato americano ha infatti intimato al generale della Cirenaica di «fermare l'offensiva» contro Tripoli, assicurando inoltre il proprio appoggio al governo di accordo nazionale per contrastare i «tentativi della Russia di sfruttare il conflitto contro la volontà del popolo libico». Alla base di questo ritrovato sostegno americano ad Al Sarraj vi sarebbe infatti in primo luogo il controverso ruolo di Mosca nello scacchiere libico, visto che - dallo scorso settembre - il Cremlino avrebbe schierato in loco mercenari della compagnia Wagner, a sostegno proprio delle truppe di Haftar. Circostanza che la Russia ha smentito con forza, sebbene a Washington sembrino pensarla diversamente.Oltre al Dipartimento di Stato, ha infatti deciso di muoversi anche il Congresso. Un gruppo bipartisan di senatori americani ha recentemente introdotto un disegno di legge che, oltre ad auspicare una soluzione diplomatica per il conflitto libico e ad assicurare aiuti umanitari, avrebbe intenzione di creare una strategia di contrasto al gruppo Wagner in loco. È esattamente in quest'ottica che, pochi giorni fa, una delegazione statunitense ha avuto un incontro con Haftar. Tra i componenti della delegazione figuravano l'ambasciatore statunitense in Libia, Richard Norland, il viceconsigliere per la sicurezza nazionale per il Medio Oriente, Victoria Coates, e il viceassistente segretario per gli Affari internazionali del Dipartimento dell'Energia, Matthew Zais. Tra i temi al centro del colloquio è figurata anche la questione dell'influenza russa sulla regione. È quindi chiaro come lo Zio Sam stia cercando di sganciare il generale della Cirenaica dall'orbita russa. Ora, sebbene il problema principale riguardi i rapporti di Washington con Mosca, non bisogna comunque trascurare che - come si diceva - l'altro sostenitore di Haftar è da sempre Emmanuel Macron. Quello stesso Macron che ambisce, del resto, a rafforzare la propria posizione in Libia, così come nello stesso Sahel, dove circa 3.000 soldati francesi sono presenti - dal 2014 - con l'Operazione Barkhane. D'altronde, negli ultimi tempi, si sono registrati timidi segnali di disgelo tra l'inquilino dell'Eliseo e quello del Cremlino: un fattore che potrebbe determinare delle ripercussioni anche sullo scenario libico, vista la comune vicinanza ad Haftar da parte di Macron e di Vladimir Putin. Insomma, il rischio per Roma è quello di puntare sul «candidato» sbagliato, proprio nel momento in cui Washington sembra intenzionata a rinsaldare i propri rapporti con quel Al Sarraj che l'Italia da sempre sostiene. Inoltre, al di là dell'allontanamento dagli Stati Uniti, avvicinarsi troppo alle posizioni dell'Eliseo in Africa rischia di esporre pericolosamente il nostro Paese alla concorrenza francese in termini energetici e geopolitici: la stessa missione italiana Misin in Niger pare non sia mai stata troppo gradita da Parigi. Senza infine trascurare un dettaglio di non poco conto: le dubbie capacità militari di Haftar, note dai tempi della guerra contro il Ciad.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?
Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)