
Nessuno meglio dell'ex procuratore di Roma, nominato dopo lo scoppio dell'ultima indagine, conosce i meccanismi della giustizia italiana. Dovrà gestire anche gli scandali legati alla pedofilia e il mistero Orlandi.Il procuratore del Papa. Andato in pensione lo scorso maggio, Giuseppe Pignatone si appresta a vivere una seconda esistenza oltre il Tevere con vista sulle stanze di Francesco; è stato infatti nominato dal Pontefice in persona presidente del Tribunale dello Stato di Città del Vaticano, la massima carica giudiziaria dentro le Mura leonine. La nomina di quello che per sette anni è stato il numero uno della Procura di Roma era nell'aria da settimane ed è stata accelerata dallo scandalo delle offerte, l'ultimo in ordine di tempo, che mercoledì ha visto la sospensione di cinque dirigenti vaticani (tra questi un monsignore) con sequestro di documenti e computer alla Segreteria di Stato e all'Autorità di informazione finanziaria, istituto che in teoria dovrebbe prevenire e contrastare finanziamenti illeciti.In sintesi si tratterebbe di compravendite di immobili pregiati all'estero (soprattutto a Londra) per milioni di euro con il coinvolgimento di società londinesi e della gestione dell'Obolo di San Pietro, le offerte dei fedeli nella disponibilità del Papa che in passato erano anche state utilizzate per altri scopi, come coprire buchi di bilancio. Se a tutto questo si aggiungono le inchieste per riciclaggio dei denari che confluiscono nello Ior, per Pignatone si prefigura una crociata parecchio impegnativa. A 70 anni il procuratore siciliano (è nato a Caltanissetta) ha le spalle larghe e un potere assoluto, visto che è stato indicato da Jorge Mario Bergoglio per sostituire Giuseppe Dalla Torre dopo 22 anni ed entrerà in carica subito. Rigore professionale, esperienza maturata nei molti anni di lotta alla mafia a Palermo e poi al malaffare a Roma; doti che hanno indotto il Papa ad affidargli la patata bollente dei procedimenti vaticani per risolvere un problema antico, l'imparzialità nei confronti di alti prelati e manager laici che potrebbero finire a processo all'ombra del Cupolone.Quella di Pignatone è una scelta sorprendente perché l'uomo ha caratteristiche ben diverse rispetto a quelle finora privilegiate da Francesco, incline a innalzare prelati e laici poco conosciuti, individuati nella terra di mezzo che egli stesso definisce «alla fine del mondo». Al contrario, Pignatone è una scelta di potere, anzi di sistema, perfettamente romanocentrica. È il procuratore per eccellenza con un grande avvenire dietro le spalle, come David Beckham o Ronaldinho quando arrivarono al Milan. È un uomo di relazione che alza il telefono e parla con il Csm. È il garante del funzionamento di un ufficio, ma anche dell'applicazione intelligente della politica bergogliana. Porta con sé il nome e la storia, nel suo bagaglio si trovano grandi successi ma anche polemiche e vicende aperte. Pignatone ha fatto partire le indagini che hanno aperto la botola di Mafia capitale, ha ottenuto la condanna di Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, ha indagato le famiglie più in vista della criminalità romana (Casamonica, Spada, Fasciani), ha riaperto il caso Cucchi e si è impantanato sul caso Regeni, forse per aver voluto guardare più Al Cairo che a Cambridge. Un magistrato che non ha bisogno di essere circondato di incenso e che nella sua ultima stagione romana ha vissuto la guerra di successione trasformatasi nello scandalo Csm che ruota attorno a Luca Palamara. Considerato nemico del Giglio magico per non aver archiviato la posizione di Luca Lotti su Consip, Pignatone ha indagato un buon numero di volte la sindaca Virginia Raggi, sempre assolta. Ha inquisito l'assessore Paola Muraro, prosciolta. Ha chiesto l'archiviazione per Tiziano Renzi, ma il gip l'ha respinta. Si è occupato di un caso scivoloso come la telefonata fra l'ex premier Matteo Renzi e Carlo De Benedetti con l'ipotesi accusatoria di insider trading sul decreto legge Banche popolari; non indagò nessuno di loro, solo il broker Gianluca Bolengo e ne chiese l'archiviazione, respinta dal gip. Una serie di inchieste che Marco Travaglio ha definito in un editoriale sul Fatto Quotidiano «un cimitero di orrori giudiziari». Opinioni.La vita è una collezione di vittorie e di sconfitte, tutto ciò serve per comprendere che la scelta di Pignatone e del suo profilo da parte del Papa non è né ingenua, né curriculare, ma di sostanza e di relazioni. Anche perché le inchieste aperte Oltretevere sono tante e dalla loro gestione dipende l'immagine di un pontificato che - stivata in cantina la dottrina - punta molto sul marketing secolare. I fascicoli più delicati riguardano la pedofilia del clero, gli scandali finanziari e alcuni casi misteriosi che galleggiano nella coscienza collettiva come quello di Emanuela Orlandi. Nel primo dossier spicca il procedimento nei confronti di don Gabriele Martinelli, rinviato a giudizio da un paio di settimane fa per abusi sessuali su chierichetti minorenni nel preseminario San Pio X. Nel secondo tiene banco la recentissima vicenda dell'Obolo di San Pietro con la sospensione di monsignor Mauro Carlino, del direttore dell'Aif Tommaso Di Rizza, dei dirigenti Vincenzo Mauriello, Fabrizio Tirabassi e dell'amministrativa Caterina Sansone. Il terzo è stato rilanciato proprio dal Vaticano a 35 anni dalla scomparsa della ragazza con l'apertura di due tombe vuote. Papa Francesco ha ribadito che «non saranno fatti sconti a nessuno» e Pignatone è ufficialmente in Vaticano per farsi garante della strategia. Ma anche per cucire rapporti e salvaguardare l'istituzione nella consapevolezza che oltre le mura leonine c'è il mondo. Non è marginale sapere che Michele Prestipino, attuale procuratore reggente a Roma e in pole position per diventare procuratore effettivo della Capitale, lavorò con lui a Palermo, a Reggio Calabria e a Roma. E si definisce da sempre un suo fedelissimo.
Un frame del video dell'aggressione a Costanza Tosi (nel riquadro) nella macelleria islamica di Roubaix
Giornalista di «Fuori dal coro», sequestrata in Francia nel ghetto musulmano di Roubaix.
Sequestrata in una macelleria da un gruppo di musulmani. Minacciata, irrisa, costretta a chiedere scusa senza una colpa. È durato più di un’ora l’incubo di Costanza Tosi, giornalista e inviata per la trasmissione Fuori dal coro, a Roubaix, in Francia, una città dove il credo islamico ha ormai sostituito la cultura occidentale.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.






