2020-03-26
Ora anche la disinformazione è un’epidemia
A forza di elogiare i cinesi, abbiamo copiato i loro media di regime. Pure qui non c'è un giornalista che osi mettere in dubbio qualsiasi misura del governo. Anche a costo di criminalizzare un intero popolo pur di lasciare in pace il manovratore Giuseppi.Dice: la Cina ha sconfitto relativamente in fretta il coronavirus perché è una dittatura e può imporre con la forza comportamenti individuali, cosa che una democrazia come la nostra non può permettersi. Sicuri? Ci sono 60 milioni di italiani agli arresti domiciliari, un Parlamento semichiuso, un premier che compare nottetempo in tv come un caudillo sudamericano per annunciare provvedimenti sempre più duri e illiberali, sanzioni da 3.000 euro a chi passeggia, da 4.000 a chi guida l'auto, controlli con i droni, sistemi informatici per tracciare gli spostamenti dei cittadini, divieti a piovere. Ma, soprattutto, il lavaggio del cervello attraverso i media, da fare davvero invidia a uno Stato totalitario.Si è partiti dalla classica disinformatia. Per un mese e mezzo, falangi di virologi (a proposito: avete visto quanti ne abbiamo in Italia? Peccato che adesso che servirebbero più che mai stiano tutti in tv anziché in ospedale) e di infettivologi, di norma divisi su ogni possibile aspetto del Covid-19, avevano un'unica, granitica certezza: le mascherine non servono a una beata fava, l'arma vincente è lavarsi bene le mani. Un dogma derivante molto probabilmente dal fatto che qui di mascherine non c'è neppure l'ombra e quindi invitare a metterle avrebbe scatenato un casino. Ma figuriamoci se qualche conduttore ha sollevato il ditino: «Come mai in Corea, in Cina, in Giappone ce le hanno tutti?». Domanda neppure troppo astrusa. Difatti, quando poi anche in ambienti governativi si è cominciato a caldeggiare il «metodo coreano», improvvisamente quegli stessi esperti hanno ammesso che sì, in effetti proteggersi naso e bocca potrebbe persino essere utile. Peccato che poi il commissarioBorrelli ci dica che «per il momento» (a quasi due mesi dalla proclamazione dello stato d'emergenza!) abbiamo ancora difficoltà a reperire il materiale necessario.Dalla disinformatia si è passati alle minacce travestite da patriottismo. Tg, talk show e giornali, come un coro, hanno preso a ingiungere a tutti di non disturbare il manovratore: è emergenza, sono in ballo le nostre vite, basta polemiche, non è il momento, parliamone dopo (sì, quando sarà tardi…). Il tutto riassunto splendidamente ieri su Repubblica dal sessantottino rinnegato Michele Serra: «Mi domando a quale livello demenziale fosse ormai giunto, il concetto di “libertà individuale", per sollevare sospetti e recriminazioni “politiche" perfino su misure di evidente salute pubblica». Evidente… Perché lo dice lui… Anzi, Lui… Quindi zitti e mosca.Il passo successivo è venuto naturale: la criminalizzazione di un intero popolo. Si è partiti da un consiglio di buon senso (evitate il più possibile i contatti personali) e si è passati all'ordine (state a casa), alla propaganda a reti unificate. Una cosa impressionante, ossessiva, sfociata nell'accusa diretta: se tanta gente muore il responsabile sei tu che ogni tanto pretendi di mettere il naso fuori dall'uscio. Magari persino di lavorare.Mica è colpa nostra che abbiamo proclamato uno stato d'emergenza e poi non abbiamo preso provvedimenti conseguenti, che non abbiamo controllato chi arrivava da Wuhan e vi abbiamo detto di abbracciare i cinesi, che non abbiamo allestito posti in rianimazione, che non ci siamo procurati mascherine e respiratori, che abbiamo per anni massacrato la sanità pubblica, che abbiamo tentennato per basse ragioni di consenso e convenienza quando c'erano da creare le zone rosse. No, è colpa vostra che pretendete anche di portare il cane a pisciare o di evadere per un'ora dai vostri ghetti di 60 metri quadri con moglie e due figli per farvi una corsetta da soli e persino di abbandonare i tuguri da universitari in affitto senza angolo cottura (e senza più una mensa dove andare a mangiare) per tornarvene al Sud dalle vostre famiglie.E per far passare questo messaggio, che salva il potere colpevolizzando i cittadini, tutti arruolati: cantanti «alternativi», attori, scrittori, conduttori tv. Una centrifuga di regime che poi porta allo stigma sociale e alle liti da strada perché uno fa il giro della casa. La Stasi non avrebbe saputo fare di meglio.Sì, direte voi, ma in Cina stampa e televisioni sono controllate direttamente dal Partito comunista, qui sono libere: quindi perché avrebbero dovuto prestarsi a una simile manovra? Bella domanda. Alla quale sarebbe da ingenui rispondere «solo per conformismo».
«Murdaugh: Morte in famiglia» (Disney+)
In Murdaugh: Morte in famiglia, Patricia Arquette guida il racconto di una saga reale di potere e tragedia. La serie Disney+ ricostruisce il crollo della famiglia che per generazioni ha dominato la giustizia nel Sud Carolina, fino all’omicidio e al processo mediatico.