2025-08-15
Le Ong si inventano il blocco a Lampedusa
Accuse al governo per il naufragio costato la vita a 27 persone, però il barcone si è rovesciato a 14 miglia dalle coste italiane in acque internazionali. Nessuno ha impedito il soccorso: è stata una tragedia, che fa comodo addossare alla Meloni.Nuovo naufragio, nuove lacrime. E purtroppo vecchi piagnistei e vecchie strumentalizzazioni per una tragedia annunciata. È un Ferragosto di tristezza a Lampedusa, dove i 60 superstiti del dramma del mare sono sbarcati sul molo della Guardia costiera e avviati all’hotspot di contrada Imbriacola, mentre 27 salme (c’è anche una neonata) sono allineate nel capannone accanto al cimitero. L’isola è una contraddizione vivente, che convive ormai da anni con questo destino: da una parte i turisti desiderosi di svago e relax, dall’altra la sfilata dei disperati. E attorno, a circumnavigare le coste con i denti affilati, squali della politica che non perdono l’occasione di azzannare la disperazione della povera gente.In questi casi sarebbe fondamentale il silenzio. Un dignitoso tacere per contribuire al cordoglio e alla ricerca d’una verità scontata, mentre gli elicotteri e le motovedette cercano i 15 dispersi, le ultime vittime della ferocia degli scafisti. Ma vittime anche di almeno un ventennio di strategie disastrose nella gestione di quel grande dramma che si è rivelata la migrazione di massa. Errori su errori, commessi dalla sinistra in tre fasi. La prima, nel promuovere l’accoglienza diffusa, nell’illudere i disperati della Terra che nel nostro Paese avrebbero trovato il paradiso. La seconda, nel trasformare l’abbraccio indiscriminato in un business che sostiene (con i miliardi dell’Europa e dei contribuenti italiani) organizzazioni non governative di ogni genere: flotte in movimento nel canale di Sicilia, associazioni, cooperative, diocesi che oggi non rinuncerebbero mai alle prebende. Terza fase di un sabba senza senso: la contrarietà assoluta nel voler vedere il problema, nel voler creare una «solidarietà nazionale» nell’affrontarlo per impedire il dominio degli scafisti, le partenze delle carrette del mare, i naufragi senza senso. Quest’ultima tragedia ci urla sostanzialmente due verità. 1) Regolamentare l’afflusso è fondamentale (sulle carrette c’erano pakistani, somali, sudanesi); per farlo servono più controlli, più dirigismo istituzionale, più capacità di imporre regole. 2) In questo magma, le scelte di Giorgia Meloni condivise dall’Europa costituiscono un importante passo avanti: lavorare per non far partire i disperati e creare hub come quello albanese per organizzare i rimpatri. Ma tutto questo è in bilico proprio per la contrapposizione ideologica del progressismo da sbarco e dalla magistratura politicizzata. Sarebbe fondamentale il silenzio. E invece i primi a prendere la parola sono proprio coloro che impediscono di concretizzare soluzioni. In assenza di tematiche più ferragostane, il dramma è cavalcato strumentalmente dalla sinistra, che accusa il governo di ostacolare le operazioni di salvataggio. Nicola Fratoianni (Avs): «I morti di oggi sono sulla vostra coscienza». La senatrice siciliana M5s Dolores Bevilacqua: «Le stragi non si fermano e nemmeno gli sbarchi, mentre il Paese rimane sotto ricatto da parte dei signori libici del traffico di esseri umani come ampiamente dimostrato dal caso Almasri». Angelo Bonelli (Verdi): «Denunciamo ancora una volta le leggi che penalizzano chi salva vite. Queste tragedie non sono fatalità: sono il risultato di scelte politiche precise». Scelte antiche, scelte deliranti, scelte dei suoi compagni di viaggio. Nessuna novità. C’è chi ritiene che per compensare l’assenza di idee basti una cascata di parole vuote. Purtroppo il tratto di mare tra Nordafrica e Italia resta una delle rotte migratorie più pericolose al mondo. Le condizioni precarie delle imbarcazioni e la disperazione di chi parte, mandato allo sbaraglio da promesse impossibili da mantenere come l’accoglienza diffusa, continuano a produrre un bilancio terribile. Per molte persone salvate c’è un’alta percentuale di vittime: 675 da inizio anno nella rotta del Mediterraneo centrale (fonte Alto commissariato Nazioni unite per i rifugiati). Un numero che dovrebbe sconsigliare le partenze, un numero che conferma come l’ombrello protettivo delle Ong non sia una garanzia. E diventi marketing. Davanti all’ennesima tragedia, il premier Meloni parla di «sgomento e compassione. Ci troviamo a misurare l’inumano cinismo con cui i trafficanti di esseri umani organizzano questi loschi viaggi. Insieme al profondo cordoglio per le vittime, alla pietà per quanti hanno perso la vita, rinnoviamo pertanto l’impegno a contrastare questi trafficanti senza scrupoli nell’unico modo possibile: prevenire le partenze irregolari, gestire i flussi migratori». Il vicepremier e leader della Lega, Matteo Salvini, punge le Ong: «I morti di Lampedusa mi addolorano profondamente. Oltre alla commozione e alle preghiere, abbiamo il dovere di impegnarci per contrastare i trafficanti di esseri umani che sono i veri e soli responsabili dell’ennesima tragedia, insieme agli ultrà dell’accoglienza». La sottolineatura su «trafficanti» e «ultrà» suscita la reazione piccata proprio delle Ong, decise ad alzare il livello della polemica. Per la tedesca Sea Watch «il governo non combatte i trafficanti, ma favorisce un sistema che li arricchisce». L’accusa più bizzarra riguarda le tempistiche dei soccorsi, sulle quali ci sarebbero dubbi con le consuete insinuazioni sulla reattività delle istituzioni. In attesa degli sviluppi giudiziari, la replica è incorporata: questa volta le salvifiche Ong dov’erano? A zittire tutti arriva Filippo Mannino, sindaco di Lampedusa: «È un fenomeno che va avanti da 30 anni, noi insieme ai vivi accogliamo purtroppo anche i morti. È successo con ogni governo. Basta strumentalizzazioni».
Niccolò Celesti (Instagram)