2025-09-30
«A bordo prese decisioni pericolose. Alla guida c’erano cuochi e ballerini»
Niccolò Celesti (Instagram)
Il racconto del fotoreporter che ha deciso di abbandonare la spedizione della Flotilla.A volte c’è bisogno di fermarsi e ponderare bene le parole e le emozioni, devo essere cauto e freddo per poter dare le mie spiegazioni e sostenere allo stesso tempo un progetto in cui credo. Prendere la decisione di abbandonare la missione della Flotilla è stato durissimo. Ma credo di conoscere bene il valore del rischio. Sono sempre stato disposto a correrlo, ma solo sotto ideali e regole che condivido pienamente. Il mio viaggio con la flottiglia si è concluso a Creta. Ho deciso di sbarcare. Ora mi trovo nei pressi di Lerapetra, insieme a una ventina di persone, tra cui alcuni membri degli equipaggi: gente di mare, che il mare lo rispetta e ne conosce le regole. Alcuni dei comandanti e marinai più esperti, si sono trovati, come me in disaccordo con alcune scelte tecniche di navigazione e con le modalità operative della missione. In un’operazione come questa, bisogna essere allineati al 100%. È fondamentale avere fiducia nelle decisioni prese, sentirsi sicuri del proprio equipaggio, di chi traccia la rotta, guida la flottiglia, media con gli altri attori coinvolti. Io sono pronto a rischiare l’arresto, le difficoltà e i pericoli, ma non a rischiare la vita senza un’analisi seria delle modalità con cui si arriva a quella capitolazione, senza una reale possibilità di successo per Gaza, e senza una strategia concreta per proteggere la vita dei volontari e delle persone coinvolte in questo progetto. La barca su cui ero imbarcato, la Snap, si è rotta, dopo la mia decisione di abbandonare (quasi un segno per me, l’ho trovata in rada nella stessa baia dove ho trovato un alloggio). È stata portata nel porticciolo di Makrys Gialos, dove sono sceso ieri mattina. Anche la Family, la barca ammiraglia della missione, è danneggiata ed è stata abbandonata qui e temo che anche altre imbarcazioni che hanno ripreso il mare, lasceranno la missione perché non in condizioni di affrontarlo. Mi servirebbe mezza giornata per raccontarvi nel dettaglio come sono arrivato a questa scelta difficilissima - una scelta che per me è come rinunciare alla vetta di una montagna quando sei ormai sotto il crinale. Proverò però a spiegarvela così. Mi dedico a questo progetto 24 ore al giorno dal 25 agosto con conseguente perdita di lavoro, difficoltà personali e ritardi dell’altro progetto umanitario a cui dedico tempo e su cui invece ci sono effettivi risultati. Questa causa è indubbiamente molto più grande e importante di un lamento o uno sfogo ma ognuno comunque sa ciò che può permettersi di dedicare e tutti hanno un limite. A settembre sono volato a Catania da qui a Creta per preparare la partenza, inizialmente prevista per il 4. Da allora, i problemi, i ritardi, le incomprensioni non sono mai mancate. Ma quando ti prepari ad andare incontro all’arresto o al fuoco per una causa come quella palestinese, chiudi un occhio su queste cose. Anche riparare una crepa con dello scotch va bene, fino a quando quella crepa non rischia di allagare una barca dove ci sono persone che non sono mai state in mare. Abbassi tutti gli standard, ingoi e vai avanti. Intanto quella che doveva essere una missione di 15 giorni è diventata un viaggio di un mese, e non sono sicuro che problemi, incidenti e deviazioni siano finiti. Durante la navigazione da Portopalo sono state prese decisioni sbagliate e pericolose, da persone che non avevano le competenze per farlo. Quando si naviga per oltre 1.000 miglia solo all’andata, le decisioni devono essere prese da professionisti del mare. Quando si parla di cybersicurezza, servono esperti di comunicazione. Quando si governa una barca, servono capitani, e i marinai non possono essere cuochi o ballerini, per quanto pieni di entusiasmo. Se a bordo ci sono persone che rappresentano delegazioni internazionali, devono essere addestrate, competenti e stabili mentalmente. Ognuno di noi ha messo in conto rischi e obiettivi. Io, come sempre, traccio delle linee rosse ogni volta che intraprendo una missione. Queste linee non riguardano solo i rischi, ma anche il modo in cui si affrontano, e tutte le possibili variabili che vanno previste e gestite in anticipo. Tutto deve essere pianificato, automatizzato, condiviso. Se questa preparazione non c’è, e le persone sotto la mia responsabilità non sono pronte, allora non si parte. Anche se non sono più a bordo, cercherò di fare da ponte con chi ha deciso di restare, condividendo ciò che so sull’evoluzione della missione. Ce ne saranno altre? Spero di no. Spero che questa sia sufficiente a cambiare le sorti del genocidio. Ma temo che, purtroppo, ce ne dovranno essere altre ed io mi impegnerò per mettermi a disposizione.
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