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2021-08-30
Torniamo a inorgoglirci per il nostro olio, elisir che allunga la vita
IStock
Si potrebbe pensare che l'Olio di Roma sia una fake news ambientata nella capitale. Proprio come la vendibilità della Fontana di Trevi da parte di Totò e Nino Taranto nei panni di Antonio e Camillo al turista americano Decio Cavallo (Ugo D'Alessio) nel film Totòtruffa 62. Devono avere ipotizzato questo gli utenti Twitter che poco tempo fa hanno deriso il candidato sindaco di Roma per il centrodestra Enrico Michetti, unico tra gli aspiranti alla guida della capitale a dare rilevanza all'importante riconoscimento ottenuto dall'Olio di Roma: «Sapete che l'Olio di Roma da pochi giorni è stato riconosciuto al livello europeo come Igp? Il brand #Roma tornerà a prendersi il posto che merita!» ha twittato Michetti il 4 agosto. Lo ha subito ritwittato Carlo Calenda, non mostrando alcun entusiasmo per l'Igp, ma addirittura liquidando Michetti come la perdigiorno Cristina del film Ecce bombo: «Faccio cose, vedo gente», ha scritto nel retweet. La citazione era anche sbagliata, quella corretta è: «Giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose...». Ma i suoi followers, mentre si scagliavano contro Michetti, non se ne sono accorti: «Questo conosce l'olio come io conosco la virologia», «ma ha capito che città dovrà governare o si pensa di candidarsi al comune di Pescorocchiano?», «le olive de Roma.... mmmmeravijjòse!!»... E poi la solita equazione tra destra e regime fascista: «Hanno esperienza decennale di olio», «sarà ricino», «famoso olio di ricino» e così via.
In realtà, questi calendiani hanno poco da sbeffeggiare. E forse dovrebbero informarsi di più: le olive di Roma esistono eccome e sono coltivate perfino nel Colosseo, il monumento più visitato d'Italia. L'uliveto di ParCo, il Parco archeologico del Colosseo, conta ben 189 antichissime piante di ulivo che dal 2019 sono state rivitalizzate in collaborazione con Coldiretti e Unaprol per produrre l'olio degli antichi romani, Palatinum, 120 litri il primo anno con un'etichetta ispirata all'antichissimo disegno di un pavimento a mosaico della Casa dei Grifi sul Palatino.
In perfetta corrispondenza con la descrizione di Plinio il Vecchio che nella Naturalis Historia spiegava come nel Foro romano si trovassero «ficus, olea et vitiis», c'è anche il miele di ParCo, che si chiama Ambrosia del Colosseo, e si sta per impiantare l'uva pantastica per produrre anche il vino. Tutto questo «per valorizzare il ruolo che l'agricoltura ebbe nell'antichità e che fu alla base della ricchezza materiale ed etica dei romani», ha spiegato Alfonsina Russo, Direttore del ParCo.
Il legame tra enogastronomia e cultura che ha acceso Michetti è spesso sottovalutato dai politici progressisti, ma l'olio di Roma non ha meno valore di altri oli italiani, infatti è stato riconosciuto Igp. Con questo riconoscimento, l'Italia, che vanta 533 varietà di olive, giunge a 43 Dop e 4 Igp di propri oli e concretizza un vero e proprio primato mondiale riguardo a quello che familiarmente abbreviamo come «olio evo», cioè olio extravergine di oliva (gli spagnoli hanno 70 varietà).
Leggiamo le etichette
Secondo il Disciplinare di produzione, l'Olio di Roma Igp, extravergine di cultivar autoctone con sapore fruttato e note di pomodoro e/o carciofo e/o mandorla e/o erbaceo, si produce, ovviamente, non solo a Roma. La zona di produzione comprende quasi tutti i comuni della Città Metropolitana di Roma Capitale (107), tutti i comuni della provincia di Viterbo, 35 della provincia di Rieti, 27 in provincia di Latina e 87 in quella di Frosinone: 316 comuni, una produzione totale di circa 75.000 tonnellate di olive e 10.550 tonnellate di olio ogni anno, per un valore economico complessivo di quasi 52 milioni di euro.
Il presidente di Coldiretti Lazio e vicepresidente nazionale David Granieri aveva già commentato l'Igp Olio di Roma con le stesse considerazioni di Michetti: «Un riconoscimento fortemente voluto da Coldiretti il quale va ad associare un nome evocativo come quello di Roma, che rappresenta un autentico patrimonio in termini di notorietà e di big data, a un prodotto di grande qualità che ha tutte le carte in regole per diventare l'ambasciatore del nostro territorio nel mondo».
L'olio, in Italia, è identità e business: siamo i primi consumatori mondiali di olio di oliva con una media negli ultimi 5 anni di 504 milioni di chili (seguono Spagna con 483 milioni di chili e Stati Uniti con 320 milioni di chili), possediamo 250 milioni di olivi e 400.000 aziende agricole specializzate garantiscono una produzione che tocca i 255 milioni di chili, 9 famiglie su 10 in Italia consumano olio extravergine d'oliva tutti i giorni e c'è sempre più attenzione alla qualità.
Da qualche anno, Assosommelier propone un corso di sommelier dell'olio extravergine di oliva alla fine del quale si diventa Degustatore Ufficiale Olio Extravergine di Oliva ed è anche nata la Scuola nazionale dell'olio extravergine d'oliva Evoo School Italia. Questo prodotto naturale è uno dei simboli della tradizione gastronomica del nostro Paese, oltre che un'autentica icona della dieta mediterranea che, ricordiamolo, è stata dichiarata dall'Unesco patrimonio culturale dell'umanità.
Secondo un sondaggio Coldiretti, più di 8 italiani su 10 (l'82%) acquistano prodotti made in Italy per sostenere l'economia ed il lavoro italiani: continuiamo a farlo e facciamo attenzione, quando leggiamo le etichette delle bottiglie di olio di oliva, che sia non solo confezionato in Italia, ma anche prodotto in Italia con olive 100% italiane.
Andiamo a conoscere meglio il nostro amico oleoso! L'olio di oliva è il succo della spremitura del frutto dell'albero di olivo (Olea europaea). Secondo il regolamento 2568/91 e successive modifiche della Comunità Europea, che deve essere rispettato da ogni lotto di olio di oliva prodotto in Europa, possiamo averne vari tipi, classificati in base alla modalità di estrazione, la composizione (la percentuale di acidità libera in particolare) e l'analisi organolettica.
Quelli più pregiati
Abbiamo innanzitutto il gruppo dell'Olio di oliva vergine, ottenuto tramite spremitura esclusivamente meccanica che non deve subire alcun ulteriore trattamento oltre a lavaggio, decantazione, centrifugazione e filtrazione. Gli oli di oliva vergine si suddividono poi in base alla loro acidità libera, cioè il valore percentuale di acido oleico, acido grasso che è prevalente nell'olio di oliva. Più è alta l'acidità libera, più è bassa la qualità dell'olio: l'olio più pregiato è, quindi, quello meno acido. Essi sono: l'Olio extravergine di oliva, che ha caratteristiche organolettiche superiori, è privo di difetti, ha acidità libera, espressa in acido oleico, che non supera gli 0,8 grammi per 100 g e quindi la percentuale massima dello 0,8%. Poi, l'Olio di oliva vergine, che ha acidità libera in percentuale massima del 2%, non più di 2 grammi su 100. Poi, l'Olio di oliva lampante, che è un olio di oliva vergine non vendibile al dettaglio, con difetti organolettici e acidità libera superiore al 2% ossia a 2 grammi per 100 g. Si chiama così perché nel passato si usava per alimentare le lampade a olio e per poter essere consumato deve essere sottoposto a raffinazione per abbassare l'acidità libera ed eliminare aromi e colorazione sgradevoli, ma senza determinare altri cambiamenti strutturali. La tipologia successiva è quella dell'Olio di oliva raffinato, ottenuto dalla raffinazione dell'olio di oliva vergine. Questo processo industriale riduce l'acidità dell'olio ed elimina le sostanze ossidate. Il suo tenore di acidità libera, espresso in acido oleico, non supera il valore di 0,3 grammi per 100 g.
Dopo la raffinazione, l'Olio di oliva raffinato non presenta più difetti ma prima di poter essere confezionato deve essere miscelato con olio extravergine o vergine per aumentare colore e sapore. Poi, abbiamo la tipologia dell'Olio di oliva, composto da oli di oliva raffinati e oli di oliva vergini. Non c'è una percentuale minima di olio vergine prevista dalla legge, di solito si unisce olio vergine o extravergine nella percentuale del 5-8%, ma tanti virtuosi arrivano fino al 30%. Poi, abbiamo la tipologia dell'Olio di oliva di sansa greggio, che si ottiene dai residui solidi della spremitura delle olive, in particolare bucce, polpa e nòccioli, detti «sanse», che contengono ancora olio in quantità variabile (determinata dal metodo estrattivo). Quest'olio si estrae tramite esano, lo stesso solvente usato per la produzione degli oli di semi, che poi viene separato dall'olio attraverso la distillazione. C'è poi la tipologia dell'Olio di oliva di sansa raffinato, che è olio di oliva di sansa greggio sottoposto a raffinazione per ridurre l'acidità ed eliminare le sostanze ossidate. Infine, abbiamo la tipologia dell'Olio di sansa di oliva, che si ottiene miscelando olio di oliva di sansa raffinato e olio di oliva vergine.
Procedendo all'analisi nutrizionale dell'olio di oliva, vediamo che 100 g di olio di oliva apportano circa 900 calorie, tutte sotto forma di lipidi. Non abbiamo carboidrati, né proteine, infatti usiamo l'olio come condimento di questi ultimi e non come cibo singolo. In particolare, nell'olio extravergine abbiamo 14,46 g di grassi saturi, 72,95 g di grassi monoinsaturi, fra cui 71,87 g di acido oleico e 0,79 g di acido palmitoleico, e 7,52 g di grassi polinsaturi, fra cui 6,79 g di acido linoleico e 0,73 g di acido alfa-linolenico. Invece, nell'olio non vergine abbiamo un po' più di grassi saturi, cioè 16,16 g, più grassi monoinsaturi, cioè 74,45 g composti da 73,63 g di acido oleico e 0,82 g di acido palmitoleico, e più grassi polinsaturi ossia 8,84 g di grassi polinsaturi, fra cui 7,85 g di acido linoleico e 0,99 g di acido alfa-linolenico.
L'olio di oliva è ricco di vitamina E, ben 22,4 mg ogni 100 g, e vitamina A retinolo equivalente, 36 µg. La vitamina E, o tocoferolo, è antiossidante e aiuta il rinnovamento cellulare, combatte i radicali liberi, previene i danni dell'inquinamento e del fumo e favorisce l'assimilazione delle proteine. La vitamina A aiuta la nostra vista, in particolare quella notturna, favorisce lo sviluppo e il rafforzamento delle ossa e dei denti e coadiuva il buon funzionamento del sistema immunitario. A ed E sono entrambe vitamine liposolubili, cioè accumulate dal fegato e rilasciate al bisogno, quindi non serve assumerle quotidianamente, però un po' d'olio di oliva ogni giorno ci aiuta a «rabboccare» la riserva organica. Quanto ai sali minerali, abbiamo 0,2 g di ferro e poi sodio, potassio, zinco, rame e selenio, ma solo in tracce.
Le sue proprietà
Considerato anche l'alto apporto di polifenoli, tirando le somme l'olio di oliva è un vero e proprio elisir di salute e benessere: può aiutare a prevenire alcune forme tumorali, in particolar modo quelle che riguardano il sistema digerente, è antibatterico, lassativo e fa bene al cuore, perché aiuta a combattere i problemi cardiovascolari influenzando i livelli di lipidi nel sangue e contrastando l'ossidazione delle Ldl: le lipoproteine Ldl, che servono a trasportare il colesterolo nel sangue come le lipoproteine Hdl, possono ossidarsi anche a causa dei radicali liberi. Da ossidate, possono stimolare l'insorgenza dell'aterosclerosi, causa di malattie cardiovascolari come infarto e angina pectoris.
L'olio di oliva ha anche proprietà estetiche. Non sono poche, infatti, le linee cosmetiche a base di olio di oliva: applicato puro sulla pelle umida è un emolliente molto efficace, anche in caso di dermatiti.
Il classico senza tempo con pomodori e pane
Lo chef inglese Hugh Fearnley-Whittingstall nel bellissimo libro 3 ingredienti perfetti per piatti Gourmand. Oltre 170 ricette creative per sperimentare in cucina, Gribaudo editore, spiega che bastano «tre cose buone» per fare una buona ricetta. Questa, Pomodori, pane, olio di oliva, considera l'olio di oliva una delle tre e l'assenza di troppi ulteriori ingredienti ci permette di assaporare al meglio il nostro prezioso amico grasso. Per 4 persone vi serviranno: 150 g di pane di lievito naturale (vecchio di 1-2 giorni), 5 cucchiai di olio extravergine di oliva, 500 g di pomodori (l'ideale è combinare vari tipi, forme e colori), 1 spicchio di aglio tagliato a metà (facoltativo), 1 manciata di foglie di basilico, 1 pizzico di zucchero (facoltativo), sale e pepe macinato fresco. Riscaldate il forno a 180 °C. Dividete il pane in pezzetti e metteteli in una terrina con 3 cucchiai di olio, sale e pepe, mescolate, disponete su una teglia da forno e cuocete fino a doratura 10-15 minuti. Mentre il pane si fredda, tagliate i pomodori a pezzetti. Strofinate l'interno di una ciotola con l'aglio sbucciato, aggiungete i pomodori, i 2 cucchiai restanti di olio, due terzi del basilico, sale, pepe e mescolate. Quando il pane è freddo, mescolatelo ai pomodori. Se gradite, aggiungete un pizzico di zucchero, mescolate e fate riposare da 30 minuti a massimo 2 ore. Mescolate ancora, cospargete col basilico rimasto e servite. Più un ingrediente: unite qualche oliva tritata grossolanamente. Più due, tre e quattro: aggiungete una cipolla rossa affettata finemente, qualche filetto di acciuga e dei capperi: otterrete così la classica panzanella.
Olive ascolane, ghiottoneria che piace a tutti
Per i fan di Carlo Verdone, la scena delle olive nel film Un sacco bello nella quale Mario Brega gli domanda «Come so' 'ste olive?» e lui risponde: «So' greche!» è leggendaria. Lo è anche quella del film L'ultimo capodanno nella quale la banda di ladri composta da Ricky Memphis, Giorgio Tirabassi e Natale Tulli discetta sulla provenienza appunto ascolana delle olive ascolane e sulla «jella» (sfortuna) di quando capita quella «coll'osso», cioè col nòcciolo erroneamente rimasto dentro. Per preparare 50 Olive ascolane, in un cucchiaio di olio soffriggete ½ cipolla, ½ carota e ½ costa di sedano tritati, aggiungete polpa tritata di manzo, maiale e pollo, 50 g d'ognuna, sfumate con ½ bicchiere di vino e cuocete finché sarà evaporato. Fate freddare, frullate, mescolate sale, pepe, noce moscata, chiodi di garofano macinati, un pizzico di ciascuno, la buccia di mezzo limone grattugiata, 20 g di mollica di pane ammollata e strizzata, 45 g di parmigiano reggiano grattugiato e 1 uovo piccolo, coprite, fate riposare mezz'ora. Sciacquate 500 g di olive grandi in salamoia. Liberate ogni oliva dal nocciolo tagliandola via col coltello a spirale, come se fosse un limone del quale dovete rimuovere la buccia lasciandola integra in un'unica lunga striscia. Riempite ogni oliva con 1 cucchiaino di ripieno, ricompattate la forma ovale premendo bene, passate in farina, uovo sbattuto (1 grande), pangrattato. Fate riposare mezz'ora, ripetete la sequenza di panatura. Friggetele in 1 bicchiere e ½ di olio evo bollente, scolatele con una schiumarola e ponetele in un vassoio foderato con carta paglia (o cucina) per assorbire l'olio in eccesso.
Le polpette che vi faranno sentire bambini
Pane, olio e sale, e poi pane, olio, sale e aglio, e poi ancora pane, pomodoro, sale, olio: pane e olio sono un abbinamento elementare e, allo stesso tempo, ancestrale. Perciò abbiamo deciso di dedicare a questa coppia tradizionalissima ben due ricette. Se per lo chef Hugh Fearnley-Whittingstall pane e olio sono due delle «tre cose buone» necessarie per una ricetta perfetta, per Pino Cuttaia, chef del Ristorante La Madia, di Licata, Agrigento, due stelle Michelin, l'abbinamento tra pane e olio, protagonista delle sue squisite Polpette di pane, «risveglierà alcuni ricordi della nostra infanzia». Direttamente dall'interessante libro Chef stellato per una sera. 50 ricette d'autore da ricreare a casa a cura di Andrea Biagini, De Agostini editore, che vuole dimostrare come sia possibile preparare a casa la ricetta di uno chef che abbia una o più stelle Michelin, ecco come preparare le Polpette di pane di, appunto, Pino Cuttaia. Per 6 persone vi serviranno: 250 g di pane raffermo grattugiato, 6/8 uova intere, 50 g di formaggio grattugiato, prezzemolo, olio extravergine di oliva e aglio quanto bastano. Procedimento: mettete in un contenitore capiente la mollica di pane, aggiungete le uova e impastate con una forchetta. Aggiungete all'impasto il formaggio, l'aglio tritato finemente e il prezzemolo. Con due cucchiai formate delle quenelle e friggetele in padella in olio evo, come se fossero delle polpette di carne. Potete mangiarle appena fritte o altrimenti immergerle nella passata di pomodoro. Il vino consigliato dallo chef è il Marlborough Pinot Noir 2017 Black Label, dell'azienda neozelandese Babich.
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L'Italia vanta 533 varietà di olive e ne siamo i primi consumatori al mondo. «L'oro del Mediterraneo» aiuta a prevenire i tumori, fa bene al cuore e alla pelle.Si potrebbe pensare che l'Olio di Roma sia una fake news ambientata nella capitale. Proprio come la vendibilità della Fontana di Trevi da parte di Totò e Nino Taranto nei panni di Antonio e Camillo al turista americano Decio Cavallo (Ugo D'Alessio) nel film Totòtruffa 62. Devono avere ipotizzato questo gli utenti Twitter che poco tempo fa hanno deriso il candidato sindaco di Roma per il centrodestra Enrico Michetti, unico tra gli aspiranti alla guida della capitale a dare rilevanza all'importante riconoscimento ottenuto dall'Olio di Roma: «Sapete che l'Olio di Roma da pochi giorni è stato riconosciuto al livello europeo come Igp? Il brand #Roma tornerà a prendersi il posto che merita!» ha twittato Michetti il 4 agosto. Lo ha subito ritwittato Carlo Calenda, non mostrando alcun entusiasmo per l'Igp, ma addirittura liquidando Michetti come la perdigiorno Cristina del film Ecce bombo: «Faccio cose, vedo gente», ha scritto nel retweet. La citazione era anche sbagliata, quella corretta è: «Giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose...». Ma i suoi followers, mentre si scagliavano contro Michetti, non se ne sono accorti: «Questo conosce l'olio come io conosco la virologia», «ma ha capito che città dovrà governare o si pensa di candidarsi al comune di Pescorocchiano?», «le olive de Roma.... mmmmeravijjòse!!»... E poi la solita equazione tra destra e regime fascista: «Hanno esperienza decennale di olio», «sarà ricino», «famoso olio di ricino» e così via. In realtà, questi calendiani hanno poco da sbeffeggiare. E forse dovrebbero informarsi di più: le olive di Roma esistono eccome e sono coltivate perfino nel Colosseo, il monumento più visitato d'Italia. L'uliveto di ParCo, il Parco archeologico del Colosseo, conta ben 189 antichissime piante di ulivo che dal 2019 sono state rivitalizzate in collaborazione con Coldiretti e Unaprol per produrre l'olio degli antichi romani, Palatinum, 120 litri il primo anno con un'etichetta ispirata all'antichissimo disegno di un pavimento a mosaico della Casa dei Grifi sul Palatino. In perfetta corrispondenza con la descrizione di Plinio il Vecchio che nella Naturalis Historia spiegava come nel Foro romano si trovassero «ficus, olea et vitiis», c'è anche il miele di ParCo, che si chiama Ambrosia del Colosseo, e si sta per impiantare l'uva pantastica per produrre anche il vino. Tutto questo «per valorizzare il ruolo che l'agricoltura ebbe nell'antichità e che fu alla base della ricchezza materiale ed etica dei romani», ha spiegato Alfonsina Russo, Direttore del ParCo. Il legame tra enogastronomia e cultura che ha acceso Michetti è spesso sottovalutato dai politici progressisti, ma l'olio di Roma non ha meno valore di altri oli italiani, infatti è stato riconosciuto Igp. Con questo riconoscimento, l'Italia, che vanta 533 varietà di olive, giunge a 43 Dop e 4 Igp di propri oli e concretizza un vero e proprio primato mondiale riguardo a quello che familiarmente abbreviamo come «olio evo», cioè olio extravergine di oliva (gli spagnoli hanno 70 varietà). Leggiamo le etichetteSecondo il Disciplinare di produzione, l'Olio di Roma Igp, extravergine di cultivar autoctone con sapore fruttato e note di pomodoro e/o carciofo e/o mandorla e/o erbaceo, si produce, ovviamente, non solo a Roma. La zona di produzione comprende quasi tutti i comuni della Città Metropolitana di Roma Capitale (107), tutti i comuni della provincia di Viterbo, 35 della provincia di Rieti, 27 in provincia di Latina e 87 in quella di Frosinone: 316 comuni, una produzione totale di circa 75.000 tonnellate di olive e 10.550 tonnellate di olio ogni anno, per un valore economico complessivo di quasi 52 milioni di euro. Il presidente di Coldiretti Lazio e vicepresidente nazionale David Granieri aveva già commentato l'Igp Olio di Roma con le stesse considerazioni di Michetti: «Un riconoscimento fortemente voluto da Coldiretti il quale va ad associare un nome evocativo come quello di Roma, che rappresenta un autentico patrimonio in termini di notorietà e di big data, a un prodotto di grande qualità che ha tutte le carte in regole per diventare l'ambasciatore del nostro territorio nel mondo». L'olio, in Italia, è identità e business: siamo i primi consumatori mondiali di olio di oliva con una media negli ultimi 5 anni di 504 milioni di chili (seguono Spagna con 483 milioni di chili e Stati Uniti con 320 milioni di chili), possediamo 250 milioni di olivi e 400.000 aziende agricole specializzate garantiscono una produzione che tocca i 255 milioni di chili, 9 famiglie su 10 in Italia consumano olio extravergine d'oliva tutti i giorni e c'è sempre più attenzione alla qualità. Da qualche anno, Assosommelier propone un corso di sommelier dell'olio extravergine di oliva alla fine del quale si diventa Degustatore Ufficiale Olio Extravergine di Oliva ed è anche nata la Scuola nazionale dell'olio extravergine d'oliva Evoo School Italia. Questo prodotto naturale è uno dei simboli della tradizione gastronomica del nostro Paese, oltre che un'autentica icona della dieta mediterranea che, ricordiamolo, è stata dichiarata dall'Unesco patrimonio culturale dell'umanità. Secondo un sondaggio Coldiretti, più di 8 italiani su 10 (l'82%) acquistano prodotti made in Italy per sostenere l'economia ed il lavoro italiani: continuiamo a farlo e facciamo attenzione, quando leggiamo le etichette delle bottiglie di olio di oliva, che sia non solo confezionato in Italia, ma anche prodotto in Italia con olive 100% italiane. Andiamo a conoscere meglio il nostro amico oleoso! L'olio di oliva è il succo della spremitura del frutto dell'albero di olivo (Olea europaea). Secondo il regolamento 2568/91 e successive modifiche della Comunità Europea, che deve essere rispettato da ogni lotto di olio di oliva prodotto in Europa, possiamo averne vari tipi, classificati in base alla modalità di estrazione, la composizione (la percentuale di acidità libera in particolare) e l'analisi organolettica.Quelli più pregiatiAbbiamo innanzitutto il gruppo dell'Olio di oliva vergine, ottenuto tramite spremitura esclusivamente meccanica che non deve subire alcun ulteriore trattamento oltre a lavaggio, decantazione, centrifugazione e filtrazione. Gli oli di oliva vergine si suddividono poi in base alla loro acidità libera, cioè il valore percentuale di acido oleico, acido grasso che è prevalente nell'olio di oliva. Più è alta l'acidità libera, più è bassa la qualità dell'olio: l'olio più pregiato è, quindi, quello meno acido. Essi sono: l'Olio extravergine di oliva, che ha caratteristiche organolettiche superiori, è privo di difetti, ha acidità libera, espressa in acido oleico, che non supera gli 0,8 grammi per 100 g e quindi la percentuale massima dello 0,8%. Poi, l'Olio di oliva vergine, che ha acidità libera in percentuale massima del 2%, non più di 2 grammi su 100. Poi, l'Olio di oliva lampante, che è un olio di oliva vergine non vendibile al dettaglio, con difetti organolettici e acidità libera superiore al 2% ossia a 2 grammi per 100 g. Si chiama così perché nel passato si usava per alimentare le lampade a olio e per poter essere consumato deve essere sottoposto a raffinazione per abbassare l'acidità libera ed eliminare aromi e colorazione sgradevoli, ma senza determinare altri cambiamenti strutturali. La tipologia successiva è quella dell'Olio di oliva raffinato, ottenuto dalla raffinazione dell'olio di oliva vergine. Questo processo industriale riduce l'acidità dell'olio ed elimina le sostanze ossidate. Il suo tenore di acidità libera, espresso in acido oleico, non supera il valore di 0,3 grammi per 100 g. Dopo la raffinazione, l'Olio di oliva raffinato non presenta più difetti ma prima di poter essere confezionato deve essere miscelato con olio extravergine o vergine per aumentare colore e sapore. Poi, abbiamo la tipologia dell'Olio di oliva, composto da oli di oliva raffinati e oli di oliva vergini. Non c'è una percentuale minima di olio vergine prevista dalla legge, di solito si unisce olio vergine o extravergine nella percentuale del 5-8%, ma tanti virtuosi arrivano fino al 30%. Poi, abbiamo la tipologia dell'Olio di oliva di sansa greggio, che si ottiene dai residui solidi della spremitura delle olive, in particolare bucce, polpa e nòccioli, detti «sanse», che contengono ancora olio in quantità variabile (determinata dal metodo estrattivo). Quest'olio si estrae tramite esano, lo stesso solvente usato per la produzione degli oli di semi, che poi viene separato dall'olio attraverso la distillazione. C'è poi la tipologia dell'Olio di oliva di sansa raffinato, che è olio di oliva di sansa greggio sottoposto a raffinazione per ridurre l'acidità ed eliminare le sostanze ossidate. Infine, abbiamo la tipologia dell'Olio di sansa di oliva, che si ottiene miscelando olio di oliva di sansa raffinato e olio di oliva vergine. Procedendo all'analisi nutrizionale dell'olio di oliva, vediamo che 100 g di olio di oliva apportano circa 900 calorie, tutte sotto forma di lipidi. Non abbiamo carboidrati, né proteine, infatti usiamo l'olio come condimento di questi ultimi e non come cibo singolo. In particolare, nell'olio extravergine abbiamo 14,46 g di grassi saturi, 72,95 g di grassi monoinsaturi, fra cui 71,87 g di acido oleico e 0,79 g di acido palmitoleico, e 7,52 g di grassi polinsaturi, fra cui 6,79 g di acido linoleico e 0,73 g di acido alfa-linolenico. Invece, nell'olio non vergine abbiamo un po' più di grassi saturi, cioè 16,16 g, più grassi monoinsaturi, cioè 74,45 g composti da 73,63 g di acido oleico e 0,82 g di acido palmitoleico, e più grassi polinsaturi ossia 8,84 g di grassi polinsaturi, fra cui 7,85 g di acido linoleico e 0,99 g di acido alfa-linolenico. L'olio di oliva è ricco di vitamina E, ben 22,4 mg ogni 100 g, e vitamina A retinolo equivalente, 36 µg. La vitamina E, o tocoferolo, è antiossidante e aiuta il rinnovamento cellulare, combatte i radicali liberi, previene i danni dell'inquinamento e del fumo e favorisce l'assimilazione delle proteine. La vitamina A aiuta la nostra vista, in particolare quella notturna, favorisce lo sviluppo e il rafforzamento delle ossa e dei denti e coadiuva il buon funzionamento del sistema immunitario. A ed E sono entrambe vitamine liposolubili, cioè accumulate dal fegato e rilasciate al bisogno, quindi non serve assumerle quotidianamente, però un po' d'olio di oliva ogni giorno ci aiuta a «rabboccare» la riserva organica. Quanto ai sali minerali, abbiamo 0,2 g di ferro e poi sodio, potassio, zinco, rame e selenio, ma solo in tracce. Le sue proprietàConsiderato anche l'alto apporto di polifenoli, tirando le somme l'olio di oliva è un vero e proprio elisir di salute e benessere: può aiutare a prevenire alcune forme tumorali, in particolar modo quelle che riguardano il sistema digerente, è antibatterico, lassativo e fa bene al cuore, perché aiuta a combattere i problemi cardiovascolari influenzando i livelli di lipidi nel sangue e contrastando l'ossidazione delle Ldl: le lipoproteine Ldl, che servono a trasportare il colesterolo nel sangue come le lipoproteine Hdl, possono ossidarsi anche a causa dei radicali liberi. Da ossidate, possono stimolare l'insorgenza dell'aterosclerosi, causa di malattie cardiovascolari come infarto e angina pectoris. L'olio di oliva ha anche proprietà estetiche. Non sono poche, infatti, le linee cosmetiche a base di olio di oliva: applicato puro sulla pelle umida è un emolliente molto efficace, anche in caso di dermatiti.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/olio-italiano-2654836393.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-classico-senza-tempo-con-pomodori-e-pane" data-post-id="2654836393" data-published-at="1630319206" data-use-pagination="False"> Il classico senza tempo con pomodori e pane Lo chef inglese Hugh Fearnley-Whittingstall nel bellissimo libro 3 ingredienti perfetti per piatti Gourmand. Oltre 170 ricette creative per sperimentare in cucina, Gribaudo editore, spiega che bastano «tre cose buone» per fare una buona ricetta. Questa, Pomodori, pane, olio di oliva, considera l'olio di oliva una delle tre e l'assenza di troppi ulteriori ingredienti ci permette di assaporare al meglio il nostro prezioso amico grasso. Per 4 persone vi serviranno: 150 g di pane di lievito naturale (vecchio di 1-2 giorni), 5 cucchiai di olio extravergine di oliva, 500 g di pomodori (l'ideale è combinare vari tipi, forme e colori), 1 spicchio di aglio tagliato a metà (facoltativo), 1 manciata di foglie di basilico, 1 pizzico di zucchero (facoltativo), sale e pepe macinato fresco. Riscaldate il forno a 180 °C. Dividete il pane in pezzetti e metteteli in una terrina con 3 cucchiai di olio, sale e pepe, mescolate, disponete su una teglia da forno e cuocete fino a doratura 10-15 minuti. Mentre il pane si fredda, tagliate i pomodori a pezzetti. Strofinate l'interno di una ciotola con l'aglio sbucciato, aggiungete i pomodori, i 2 cucchiai restanti di olio, due terzi del basilico, sale, pepe e mescolate. Quando il pane è freddo, mescolatelo ai pomodori. Se gradite, aggiungete un pizzico di zucchero, mescolate e fate riposare da 30 minuti a massimo 2 ore. Mescolate ancora, cospargete col basilico rimasto e servite. Più un ingrediente: unite qualche oliva tritata grossolanamente. Più due, tre e quattro: aggiungete una cipolla rossa affettata finemente, qualche filetto di acciuga e dei capperi: otterrete così la classica panzanella. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/olio-italiano-2654836393.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="olive-ascolane-ghiottoneria-che-piace-a-tutti" data-post-id="2654836393" data-published-at="1630319206" data-use-pagination="False"> Olive ascolane, ghiottoneria che piace a tutti Per i fan di Carlo Verdone, la scena delle olive nel film Un sacco bello nella quale Mario Brega gli domanda «Come so' 'ste olive?» e lui risponde: «So' greche!» è leggendaria. Lo è anche quella del film L'ultimo capodanno nella quale la banda di ladri composta da Ricky Memphis, Giorgio Tirabassi e Natale Tulli discetta sulla provenienza appunto ascolana delle olive ascolane e sulla «jella» (sfortuna) di quando capita quella «coll'osso», cioè col nòcciolo erroneamente rimasto dentro. Per preparare 50 Olive ascolane, in un cucchiaio di olio soffriggete ½ cipolla, ½ carota e ½ costa di sedano tritati, aggiungete polpa tritata di manzo, maiale e pollo, 50 g d'ognuna, sfumate con ½ bicchiere di vino e cuocete finché sarà evaporato. Fate freddare, frullate, mescolate sale, pepe, noce moscata, chiodi di garofano macinati, un pizzico di ciascuno, la buccia di mezzo limone grattugiata, 20 g di mollica di pane ammollata e strizzata, 45 g di parmigiano reggiano grattugiato e 1 uovo piccolo, coprite, fate riposare mezz'ora. Sciacquate 500 g di olive grandi in salamoia. Liberate ogni oliva dal nocciolo tagliandola via col coltello a spirale, come se fosse un limone del quale dovete rimuovere la buccia lasciandola integra in un'unica lunga striscia. Riempite ogni oliva con 1 cucchiaino di ripieno, ricompattate la forma ovale premendo bene, passate in farina, uovo sbattuto (1 grande), pangrattato. Fate riposare mezz'ora, ripetete la sequenza di panatura. Friggetele in 1 bicchiere e ½ di olio evo bollente, scolatele con una schiumarola e ponetele in un vassoio foderato con carta paglia (o cucina) per assorbire l'olio in eccesso. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/olio-italiano-2654836393.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="le-polpette-che-vi-faranno-sentire-bambini" data-post-id="2654836393" data-published-at="1630319206" data-use-pagination="False"> Le polpette che vi faranno sentire bambini Pane, olio e sale, e poi pane, olio, sale e aglio, e poi ancora pane, pomodoro, sale, olio: pane e olio sono un abbinamento elementare e, allo stesso tempo, ancestrale. Perciò abbiamo deciso di dedicare a questa coppia tradizionalissima ben due ricette. Se per lo chef Hugh Fearnley-Whittingstall pane e olio sono due delle «tre cose buone» necessarie per una ricetta perfetta, per Pino Cuttaia, chef del Ristorante La Madia, di Licata, Agrigento, due stelle Michelin, l'abbinamento tra pane e olio, protagonista delle sue squisite Polpette di pane, «risveglierà alcuni ricordi della nostra infanzia». Direttamente dall'interessante libro Chef stellato per una sera. 50 ricette d'autore da ricreare a casa a cura di Andrea Biagini, De Agostini editore, che vuole dimostrare come sia possibile preparare a casa la ricetta di uno chef che abbia una o più stelle Michelin, ecco come preparare le Polpette di pane di, appunto, Pino Cuttaia. Per 6 persone vi serviranno: 250 g di pane raffermo grattugiato, 6/8 uova intere, 50 g di formaggio grattugiato, prezzemolo, olio extravergine di oliva e aglio quanto bastano. Procedimento: mettete in un contenitore capiente la mollica di pane, aggiungete le uova e impastate con una forchetta. Aggiungete all'impasto il formaggio, l'aglio tritato finemente e il prezzemolo. Con due cucchiai formate delle quenelle e friggetele in padella in olio evo, come se fossero delle polpette di carne. Potete mangiarle appena fritte o altrimenti immergerle nella passata di pomodoro. Il vino consigliato dallo chef è il Marlborough Pinot Noir 2017 Black Label, dell'azienda neozelandese Babich.
Thierry Breton (Ansa)
«Condanniamo fermamente la decisione degli Stati Uniti di imporre restrizioni di viaggio a cinque individui europei, tra cui l’ex commissario Thierry Breton. Reagiremo», è stato il commento postato sull’account X della Commissione, «la libertà di parola è il fondamento della nostra forte e vivace democrazia europea. Ne siamo orgogliosi. La proteggeremo. Perché la Commissione europea è la custode dei nostri valori», ha cinguettato con piglio autoreferenziale Ursula von der Leyen, cui ha fatto eco la sua vice Kaja Kallas: «La decisione degli Stati Uniti è un tentativo di sfidare la nostra sovranità. L’Europa continuerà a difendere i suoi valori: libertà di espressione, regole digitali eque e il diritto di regolamentare il nostro spazio». Sembrerebbero parole giuste e coraggiose, se non fosse che il bersaglio della decisione di Rubio è la stessa persona che della libertà di espressione ha fatto strame, ideando la famigerata legge del Dsa (Digital services act), che impone alle grandi piattaforme misure di moderazione arbitrarie che di fatto limitano il free speech.
È Breton che il 12 agosto 2024 ha vergato di suo pugno, su carta intestata dell’esecutivo Ue, una lettera senza precedenti in cui, alla vigilia di un’intervista di Elon Musk a Donald Trump su X, ha minacciato Musk di «censura preventiva». Una pesante interferenza nella campagna elettorale Usa due mesi prima delle presidenziali, coronata dalla gravosa multa di 120 milioni di euro comminata dall’Ue a Musk tre settimane fa per violazioni di obblighi di trasparenza previsti dal Dsa, indicando tra i «problemi rilevati» perfino il design della «spunta blu». E non è tutto: a gennaio scorso, Breton non si è fatto problemi nel dichiarare che l’Unione «ha gli strumenti per bloccare qualsiasi ingerenza straniera, come ha fatto in Romania (dove le elezioni sono state invalidate su pressione europea, ndr) e come dovrà fare, se necessario, anche in Germania».
Che il Dsa uccida non soltanto il Primo emendamento ma anche le aziende americane è un altro dato di fatto: l’Unione europea incassa più dalle multe (a Meta, Google, Apple e X) che dalle tasse pagate dalle aziende tecnologiche europee. Per l’amministrazione Trump, però, la questione è soprattutto di principio: «Per troppo tempo, gli ideologi in Europa hanno guidato iniziative organizzate per costringere le piattaforme Usa a punire i punti di vista americani a cui si oppongono.
L’amministrazione Trump non tollererà più questi vergognosi atti di censura extraterritoriale», ha scritto senza mezzi termini Rubio. Christopher Landau, vice segretario di Stato, ha ricordato la missiva di Breton come «una delle lettere più agghiaccianti che abbia mai letto», mentre l’ambasciatore americano presso l’Ue, Andrew Puzder, ha ricordato che «ironia della sorte, le aziende statunitensi che stanno soffrendo delle politiche oppressive di Bruxelles, delle multe e dell’eccedenza normativa sono proprio le aziende che possono portare l’Ue nell’economia dell’Ia (…) investendo e creando posti di lavoro, ma non a rischio di multe paralizzanti (…) che censurano la libertà di parola e ostacolano la crescita economica».
La revoca del visto impedirà a Breton di partecipare agli eventi pianificati negli Stati Uniti, comprese le conferenze tecnologiche. Chi di censura ferisce, di censura perisce.
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A far risuonare le sirene d’allarme in Italia un po’ tutti i settori produttivi, che disegnando scenari apocalittici sono corsi a chiedere aiuti pubblici. Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire, senonché questa narrazione è stata smentita dai fatti, passati in sordina.
A fare un bilancio degli effetti dei dazi americani sul tessuto produttivo è uno studio della Banca d’Italia: «Gli effetti dei dazi statunitensi sulle imprese italiane: una valutazione ex ante a livello micro» (Questioni di Economia e Finanza n. 994, dicembre 2025). Un punto innovativo del report riguarda il rischio che i prodotti cinesi, esclusi dal mercato statunitense dai dazi, vengano «dirottati» verso altri mercati internazionali (inclusa l’Europa), aumentando la concorrenza per le imprese italiane in quei territori.
Dall’analisi di Bankitalia emerge che, contrariamente a scenari catastrofici, l’impatto medio è, per ora, contenuto ma eterogeneo. Prima dello choc, gli esportatori verso gli Usa avevano un margine medio di profitto del 10,1%. Si stima che i dazi portino a una riduzione dei margini di circa 0,3 punti percentuali per la maggior parte delle imprese (circa il 75%). Questa fluttuazione è considerata gestibile, poiché rientra nelle normali variazioni cicliche del decennio scorso. Vale in linea generale ma si evidenzia anche che una serie di imprese (circa il 6,4% in più rispetto al normale) potrebbe subire perdite severe, nel caso di dazi più alti o con durata maggiore. Si tratta di aziende che vivono in una situazione particolare, ovvero i cui ricavi dipendono in modo massiccio dal mercato americano (il 6-7% che vive di solo export Usa, con margini ridotti) e che operano in settori con bassa elasticità di sostituzione o dove non è possibile trasferire l’aumento dei costi sui prezzi finali.
I tecnici di Bankitalia mettono in evidenza un altro aspetto del sistema di imprese italiane: oltre la metà dell’esposizione italiana agli Usa è di tipo indiretto. Molte Pmi (piccole e medie imprese) che non compaiono nelle statistiche dell’export sono in realtà vulnerabili perché producono componenti per i grandi gruppi esportatori. L’analisi mostra che i legami di «primo livello» (fornitore diretto dell’esportatore) sono i più colpiti, mentre l’effetto si diluisce risalendo ulteriormente la catena di produzione.
Si stanno verificando due comportamenti delle imprese a cominciare dal «pricing to market». Ovvero tante aziende scelgono di non aumentare i prezzi di vendita negli Stati Uniti per non perdere quote di mercato e preferiscono assorbire il costo del dazio riducendo i propri guadagni. Poi, per i prodotti di alta qualità, il made in Italy d’eccellenza, i consumatori americani sono disposti a pagare un prezzo più alto, permettendo all’impresa di trasferire parte del dazio sul prezzo finale senza crolli nelle vendite.
Lo studio offre una prospettiva interessante sulla distribuzione geografica e settoriale dell’effetto dei dazi. Anche se l’impatto è definito «marginale» in termini di punti percentuali sui profitti, il Nord Italia è l’area più esposta. Nell’asse Lombardia-Emilia-Romagna si concentra la maggior parte degli esportatori di macchinari e componentistica, e siccome le filiere sono molto lunghe, un calo della domanda negli Usa rimbalza sui subfornitori locali. Il settore automotive, dovendo competere con i produttori americani che non pagano i dazi, è quello che soffre di più dell’erosione dei margini. Nel Sud l’esposizione è minore in termini di volumi totali.
Un elemento di preoccupazione non trascurabile è la pressione competitiva asiatica. Gli Usa, chiudendo le porte alla Cina, inducono Pechino a spostare la sua offerta verso i mercati terzi. Lo studio avverte che i settori italiani che non esportano negli Usa potrebbero comunque soffrire a causa di un’ondata di prodotti cinesi a basso costo nei mercati europei o emergenti, erodendo le quote di mercato italiane.
Bankitalia sottolinea, nel report, che il sistema produttivo italiano possiede una discreta resilienza complessiva. Le principali indicazioni per il futuro includono la necessità di diversificare i mercati di sbocco e l’attenzione alle dinamiche di dumping o eccesso di offerta derivanti dalla diversione dei flussi commerciali globali.
Questo studio si affianca al precedente rapporto che integra queste analisi con dati derivanti da sondaggi diretti presso le imprese, confermando che circa il 20% delle aziende italiane ha già percepito un impatto negativo, seppur moderato, nella prima parte dell’anno.
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Il punto è che l’argento ha trovato il modo perfetto per piacere a tutti. Agli investitori spaventati dal debito mondiale fuori controllo che potrebbe incenerire il valore delle monete, ai gestori che temono la stagflazione (il mostro fatto da inflazione e recessione), a chi guarda con sospetto al dollaro e all’indipendenza della Fed. Ma anche - ed è qui la vera svolta - all’economia reale che corre verso l’elettrificazione, la digitalizzazione e l’Intelligenza artificiale. Un metallo bipartisan, potremmo dire: piace ai falchi e alle colombe, ai trader e agli ingegneri.
Dietro il rally non c’è solo la solita corsa al riparo mentre i tassi Usa scendono fra le prudenze di Powell e le intemperanze di Trump. Il debito globale fa il giro del mondo senza mai fermarsi. C’è soprattutto una domanda industriale che cresce come l’appetito di un adolescente davanti a una pizza maxi. L’argento ha proprietà di conducibilità elettrica e termica che lo rendono insostituibile in una lunga serie di tecnologie chiave. E così, mentre il mondo si elettrifica, si digitalizza e si affida sempre più agli algoritmi, il metallo lucente diventa il filo conduttore - letteralmente - della nuova economia.
Prendiamo il fotovoltaico. Nel 2014 assorbiva appena l’11% della domanda industriale di argento. Dieci anni dopo siamo al 29%. Certo, i produttori di pannelli sono diventati più efficienti e riescono a usare meno metallo per modulo. Ma dall’altra parte della bilancia ci sono obiettivi sempre più ambiziosi: l’Unione europea punta ad almeno 700 gigawatt di capacità solare entro il 2030. Tradotto: anche con celle più parsimoniose, di argento ne servirà comunque a palate.
Poi ci sono le auto elettriche, che di sobrio hanno solo il rumore del motore. Ogni veicolo elettrico consuma tra il 67% e il 79% di argento in più rispetto a un’auto a combustione interna. Dai sistemi di gestione delle batterie all’elettronica di potenza, fino alle colonnine di ricarica, l’argento è ovunque. Oxford Economics stima che già entro il 2027 i veicoli a batteria supereranno le auto tradizionali come principale fonte di domanda di argento nel settore automotive. E nel 2031 rappresenteranno il 59% del mercato. Altro che rottamazione: qui è l’argento che prende il volante.
Capitolo data center e Intelligenza artificiale. Qui i numeri fanno girare la testa: la capacità energetica globale dell’IT è passata da meno di 1 gigawatt nel 2000 a quasi 50 gigawatt nel 2025. Un aumento del 5.252%. Ogni server, ogni chip, ogni infrastruttura che alimenta l’Intelligenza artificiale ha bisogno di metalli critici. E indovinate chi c’è sempre, silenzioso ma indispensabile? Esatto, l’argento. I governi lo hanno capito e trattano ormai i data center come infrastrutture strategiche, tra incentivi fiscali e corsie preferenziali. Il risultato è una domanda strutturale destinata a durare ben oltre l’ennesimo ciclo speculativo.
Intanto, sul fronte dell’offerta, la musica è tutt’altro che allegra. La produzione globale cresce a passo di lumaca, il riciclo aumenta ma non basta e il mercato è in deficit per il quinto anno consecutivo. Dal 2021 al 2025 il buco cumulato sfiora le 820 milioni di once (circa 26.000 tonnellate). Un dettaglio che aiuta a spiegare perché, nonostante qualche correzione, i prezzi restino ostinatamente alti e la liquidità sia spesso sotto pressione, con tassi di locazione da record e consegne massicce nei depositi del Chicago Mercantile Exchange, il più importante listino del settore.
Nel frattempo gli investitori votano con il portafoglio. Gli scambi sui derivati dell’argento sono saliti del 18% in pochi mesi. Il rapporto oro-argento è sceso, segnale che anche gli istituzionali iniziano a guardare al metallo bianco con occhi diversi. Non più solo assicurazione contro il caos, ma scommessa sulla trasformazione dell’economia globale.
Ecco perché l’argento oggi non si limita a brillare: racconta una storia. Quella di un mondo che cambia, che consuma più elettricità, più dati, più tecnologia. Un mondo che ha bisogno di metalli «di nuova generazione», come li definisce Oxford Economics. L’oro resta il re dei ben rifugio, ma l’argento si è preso il ruolo più ambizioso: essere il ponte tra la paura del presente e la scommessa sul futuro. E a giudicare dai prezzi, il mercato ha già deciso da che parte stare.
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