2024-05-01
Oggi sul lavoro lacrime di coccodrillo dem
Elly Schlein e Maurizio Landini (Ansa)
Oggi i dem ci inonderanno di retorica contro il governo. Ma è stata la sinistra, da Romano Prodi a Matteo Renzi, a incentivare la precarietà. E ora col salario minimo rischia di far peggiorare gli stipendi e far crescere i licenziamenti.Oggi è il primo maggio. Anche quest’anno la sinistra va in piazza per piangere sul lavoro versato che la stessa ha contribuito a frammentare, scomporre e rendere più povero. Un po’ come quando attacca il governo in carica per i tagli alla sanità che invece si sono susseguiti a partire dal governo di Mario Monti, tecnico ma a trazione Giorgio Napolitano. «Il primo maggio si torni a parlare di lavoro e disarmo, si torni a investire sulla qualità della vita», esordiva l’altro giorno Maurizio Landini, segretario della Cgil, proprio mentre decideva di non far aderire la sua sigla allo sciopero nello stabilimento di Pomigliano. Lo stesso dove opera Stellantis, l’azienda partecipata dagli Elkann che ogni mese smobilitano un pezzetto di produzione, ma che editano il quotidiano che ogni settimana tira la volata al lato politico di Landini. Ma a fare frizione con il lavoro non è tanto lo scarso interesse di chi dovrebbe difenderlo nelle fabbriche e nelle aziende, quanto le stesse azioni intraprese negli anni, fino al tentativo recente di introdurre il salario minimo, vera a propria mazzata potenziale ai dipendenti. Permetteteci, dunque, un veloce excursus. È stato il governo di Romano Prodi nel 1997 ad aprire al concetto di flessibilità, rompendo la rigidità dei contratti. Il «pacchetto Treu» approvato dalle Camere introdusse il Co.co.co (poi divenuto tale), il part time, la proroga e le figure chiamate atipiche. Bene, diranno in molti, la flessibilità serviva per il nuovo millennio e serve ancora. Quella legge, rilanciata però da Silvio Berlusconi, creò le agenzie interinali, peccato che oggi i servizi forniti dagli intermediari si fermino al 3% dell’offerta di lavoro. Per il semplice motivo che la sinistra non ha voluto correlare la flessibilità con la differenziazione degli stipendi. Così si è arrivati al 2011, quando Elsa Fornero, ministro del Lavoro di Monti, mise mano alla flessibilità in uscita. Stavolta venne eliminato l’obbligo di causale per i contratti a tempo e vennero riviste le norme riguardanti la reintegrazione. Poi è stato il tempo di Matteo Renzi e dell’introduzione del Jobs act. A firmare la riforma l’ex numero uno delle Coop diventato ministro, Giuliano Poletti. Va detto che il Jobs act ha perso pezzi sentenza dopo sentenza e che, a nostro avviso, aveva anche degli spunti interessanti, ma certo non è servito a frenare la precarietà, la frammentazione e nemmeno la perdita di potere d’acquisto. Certo, gli elementi in ballo sono numerosi e non riguardano solo gli aspetti contrattuali. Però anche basta con la solita solfa e la solita piazza. L’ormai consueta coppia Maurizio Landini ed Elly Schlein non potendo affrontare temi di petto né argomenti che tocchino i problemi reali insistono con il rifugiarsi negli slogan perfetti per nascondere 30 anni di politiche non certo a favore dei lavoratori. E non stiamo a entrare nei dettagli del salario minimo. L’ennesima bandiera falsamente pro lavoratori. E non lo diciamo solo noi. Così mentre Giuseppe Conte insiste con la raccolta firme (notizia di ieri), persino economisti come Tito Boeri e Roberto Perotti hanno vergato editoriali per spiegare che la norma finirebbe per abbassare le retribuzioni dove già esiste una media più alta (almeno 2 euro in più rispetto alla soglia dei 9 euro proposti dal Pd) e per mettere fuori mercato intere categorie. Migliaia di colf e badanti con le nuove norme finirebbero per costare cifre insostenibili e quindi per essere lasciate a casa. È buffo però immaginare perché il sindacato appoggi la proposta, quando ai tempi di Massimo D’Alema la stessa Cgil si era detta contraria a uno stipendio minimo. Lo scorso anno la proposta serviva a correlare la riforma all’obbligo di rappresentanza. Per cui quando il salario minimo rischiava di liberare le fabbriche dai sindacati sinistra e sigle si dissero contrarie, quando invece sarebbe dovuto servire a salvare i sindacati allora tutto bene anche se il conto poi tocca ai lavoratori.Invece, di temi da affrontare oggi, primo maggio, ce ne sarebbe più di uno. Ieri l’Eurostat ha diffuso i dati del Pil europeo, italiano e quelli dell’inflazione. La nostra economia cresce in linea con la media Ue, mentre l’inflazione migliora. Sempre ieri la Cgia di Mestre ha diffuso un dato estremamente positivo. Oggi rispetto al primo maggio del 2023 potranno festeggiare 300.000 persone in più, avendo nel cassetto un contratto di lavoro firmato. Benissimo. Ci sono però circa 6 milioni di lavoratori i cui contratti nazionali sono scaduti da tempo. In alcuni casi, da oltre quattro anni. Ecco, questo è il primo tema da affrontare. Se gli stipendi sono fermi da così tanto tempo come potranno mai sopportare l’inflazione? È vero che il costo del denaro sta scendendo, ma la fiammata del 2022 e 2023 ancora si sente, senza contare che le guerre premono continuamente sul portafogli delle persone. C’è poi in generale il tema della produttività e delle politiche del lavoro attive, che in Italia sono morte purtroppo il giorno in cui è stato assassinato Marco Biagi. La formazione è l’unico modo per avvicinare i lavoratori alle aziende e tutelare i primi evitando che diventino commodity, in quanto tali sostituibili con un clic. Oggi, insomma, un pensiero ai diritti ma soprattutto uno ai doveri. La vita è sacrificio, uno slogan che se si fa politica si preferisce non pronunciare. Oggi ricordiamo che per uscire da una crisi sociale servono leggi e norme (dello Stato) ma anche sacrificio e passione (da parte delle persone).
Volodymyr Zelensky (Ansa)