2022-07-14
Renato Angelo Ricci: «Oggi le crociate politiche sul clima sono fatte ignorando la scienza»
Nel riquadro, il prof. Renato Angelo Ricci (Ansa)
Uno dei padri della fisica italiana: «Già con l’adesione al Protocollo di Kyoto si è presa la strada sbagliata Tre anni fa 1.200 scienziati sostenevano che l’emergenza non esisteva: Conte e Mattarella li snobbarono».Se non esistesse, Renato Angelo Ricci bisognerebbe inventarlo. Classe 1927, allievo dei premi Nobel Louis De Broglie e Joliot Curie, nei cui laboratori di ricerca, a Parigi, trascorse del tempo, senza trascurare quello, speso benissimo, di cercar moglie - e la trovò nella dolcissima Claudine, d’origine ebrea, il cui padre fu ucciso ad Auschwitz - Ricci è stato per 17 anni (eletto sette volte consecutive) presidente della Società italiana di fisica (ma lo è stato anche della Società europea di fisica), e ha diretto i laboratori di fisica nucleare di Legnaro, vicino Padova. Insomma, un padre della fisica italiana, accanto a Enrico Fermi, Edoardo Amaldi e Nicola Cabibbo. Ma, dicevo, bisognerebbe inventarlo perché, rara avis nell’accademia a quei livelli, l’impegno scientifico non è stato secondario a quello civico di voler porre al servizio della società la propria scienza. Il nostro Paese già si distingueva, unico nel mondo industrializzato, per l’aver messo al bando l’energia elettronucleare e l’uso degli Ogm in agricoltura, quando, per non farsi mancare niente, s’inventò un inesistente inquinamento - l’elettrosmog - e si apprestava a mettere al bando anche le antenne radiotelevisive e di telefonia mobile nonché le linee di trasmissione elettrica. E fu allora che Ricci, indignato da cotanta insipienza, in quattro e quattr’otto organizzò un movimento (lo chiamò Galileo 2001) e, presi penna e calamaio, scrisse al presidente della Repubblica, che allora era Carlo Azeglio Ciampi. Mentre questi dava il suo Alto patronato alle istanze del movimento, il governo Berlusconi del 2001 nominava Ricci commissario dell’Agenzia nazionale protezione ambiente (Anpa) che, a quel tempo, occupata dai migliori esponenti della congrega ambientalista nostrana, era entrata all’attenzione della magistratura per una inenarrabile sequenza di irregolarità. Così commissariata, l’Anpa produsse, cosa mai fatta prima, nove rapporti scientifici su altrettante questioni ambientali, a uso dei responsabili politici. Ne cito tre. Quello sull’inquinamento indoor ove, tra le altre cose, si suggeriva di estendere a tutti i locali chiusi le norme antifumo già in vigore nei cinema: il consiglio piacque al ministro Sirchia, e così sapete chi ringraziare per poter cenare in ristoranti senza sorbirvi il fumo passivo. Il rapporto sull’elettrosmog, che fece calare la pietra tombale su quell’inesistente inquinamento. E quello sui cambiamenti climatici.Professor Ricci, a proposito di cambiamenti climatici, cosa suggeriva allora al governo italiano il comitato scientifico dell’Anpa da lei presieduto?«Quel comitato - che avevo personalmente costituito, anche vincendo alcune pressioni esterne - era composto dalle migliori figure dell’accademia italiana. Allora l’argomento caldo in tema di clima era la sottoscrizione o meno da parte dell’Italia del Protocollo di Kyoto. In scienza e coscienza il comitato suggeriva la non sottoscrizione. Rammento che il ministro di allora - l’ottimo e purtroppo scomparso Altero Matteoli - ci spiegava che purtroppo le ragioni della politica a volte non sono le stesse della scienza. E così il consiglio non fu recepito e dopo pochi mesi l’Italia sottoscriveva quel Protocollo. Con esso la metà degli emettitori mondiali di CO2, entro il 2012, avrebbero dovuto ridurre le emissioni circa del 6% rispetto alle emissioni del 1990. Ma avevamo ragione: dopo miliardi di euro spesi, nel 2012 le emissioni erano del 40% in più di quelle del 1990, e oggi sono il 60% in più».Lei è attivo e impegnato ancora oggi: nel 2019 fu il primo a firmare una petizione, promossa da otto suoi colleghi, che avverte i responsabili politici che non v’è alcuna emergenza climatica. Che fine ha fatto la petizione?«Fu inviata al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e a quello del Consiglio, Giuseppe Conte, ma temo l’abbiano messa nel cassetto, se non cestinata. Eppure, da italiana era anche diventata internazionale, e fu sottoscritta da oltre 1.000 accademici tra fisici e geologi, con primo firmatario il premio Nobel per la fisica Ivar Giaever. Evidentemente aveva ragione il ministro Altero Matteoli. Vede, come uomo di scienza, ma anche come comune cittadino, vorrei che il problema sollevato da chi è convinto che l’uomo possa governare il clima fosse oggetto di un serio dibattito scientifico e invece ne hanno fatto una religione, ove chi solleva dubbi è zittito. Di clima è più quel che non sappiamo di quel che sappiamo. Ma una cosa è certa: esso dipende da decine di parametri, e pretendendo di governarlo controllandone uno solo - le nostre emissioni di CO2 - si rischia di non affrontare la cosa che a noi veramente importa, cioè difendersi dalle conseguenze avverse di un eventuale riscaldamento globale (che offre anche benefici). È come pretendere di proteggere le case in montagna dal peso della neve cercando di evitare che nevichi anziché costruendo spioventi i tetti».Allora gli sforzi per ridurre le emissioni di CO2 sono vani? «Peggio che vani: sono inutili perché non affrontano la questione vera, che è proteggersi da eventi climatici che sono mutevoli da che mondo è mondo. Ove vi sono siccità, inondazioni, smottamenti, è col governo delle acque e del territorio che vanno affrontate. Quanti parchi eolici e fotovoltaici sarebbero stati necessari per evitare la tragedia alla Marmolada?».Ma dicono che il 99% degli scienziati concordano che la colpa è delle emissioni umane.«L’affermazione è falsa e glielo dimostro subito: la petizione italiana che le ho citato prima è stata sottoscritta da 200 scienziati e quella internazionale da 1.000. Fosse vero quel che dicono, dovrebbero esserci 20.000 scienziati in Italia e 100.000 nel mondo a sostenere la causa antropica. Dove sono? Ma l’affermazione è soprattutto ascientifica: il metodo scientifico impone che il giudizio di attendibilità di una affermazione sia guidato dai fatti, non dal numero di chi la enuncia, e neanche dalla sua autorevolezza e men che meno autorità. E tutti i fatti, nessuno escluso, ci dicono che l’uomo col clima c’entra molto poco né ha speranze di governarlo».Un ultimo commento?«Ne avrei molti, ma visto che mi chiede le pongo una domanda di riflessione: come mai coloro che dicono di voler ridurre le emissioni di CO2 sono gli stessi che avversano il nucleare che non produce CO2? Come vede, qualcosa non torna nella narrazione che ci assilla da 30 anni».
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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Oltre quaranta parlamentari, tra cui i deputati di Forza Italia Paolo Formentini e Antonio Giordano, sostengono l’iniziativa per rafforzare la diplomazia parlamentare sul corridoio India-Middle East-Europe. Trieste indicata come hub europeo, focus su commercio e cooperazione internazionale.
È stato ufficialmente lanciato al Parlamento italiano il gruppo di amicizia dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sotto la guida di Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari esteri, e di Antonio Giordano. Oltre quaranta parlamentari hanno già aderito all’iniziativa, volta a rafforzare la diplomazia parlamentare in un progetto considerato strategico per consolidare i rapporti commerciali e politici tra India, Paesi del Golfo ed Europa. L’Italia figura tra i firmatari originari dell’IMEC, presentato ufficialmente al G20 ospitato dall’India nel settembre 2023 sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni.
Formentini e Giordano sono sostenitori di lunga data del corridoio IMEC. Sotto la presidenza di Formentini, la Commissione Esteri ha istituito una struttura permanente dedicata all’Indo-Pacifico, che ha prodotto raccomandazioni per l’orientamento della politica italiana nella regione, sottolineando la necessità di legami più stretti con l’India.
«La nascita di questo intergruppo IMEC dimostra l’efficacia della diplomazia parlamentare. È un terreno di incontro e coesione e, con una iniziativa internazionale come IMEC, assume un ruolo di primissimo piano. Da Presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-India non posso che confermare l’importanza di rafforzare i rapporti Roma-Nuova Delhi», ha dichiarato il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Il senatore ha spiegato che il corridoio parte dall’India e attraversa il Golfo fino a entrare nel Mediterraneo attraverso Israele, potenziando le connessioni tra i Paesi coinvolti e favorendo economia, cooperazione scientifica e tecnologica e scambi culturali. Terzi ha richiamato la visione di Shinzo Abe sulla «confluenza dei due mari», oggi ampliata dalle interconnessioni della Global Gateway europea e dal Piano Mattei.
«Come parlamentari italiani sentiamo la responsabilità di sostenere questo percorso attraverso una diplomazia forte e credibile. L’attività del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato a Riad sul dossier IMEC e pronto a guidare una missione in India il 10 e 11 dicembre, conferma l’impegno dell’Italia, che intende accompagnare lo sviluppo del progetto con iniziative concrete, tra cui un grande evento a Trieste previsto per la primavera 2026», ha aggiunto Deborah Bergamini, responsabile relazioni internazionali di Forza Italia.
All’iniziativa hanno partecipato ambasciatori di India, Israele, Egitto e Cipro, insieme ai rappresentanti diplomatici di Germania, Francia, Stati Uniti e Giordania. L’ambasciatore cipriota ha confermato che durante la presidenza semestrale del suo Paese sarà dedicata particolare attenzione all’IMEC, considerato strategico per il rapporto con l’India e il Medio Oriente e fondamentale per l’Unione europea.
La presenza trasversale dei parlamentari testimonia un sostegno bipartisan al rapporto Italia-India. Tra i partecipanti anche la senatrice Tiziana Rojc del Partito democratico e il senatore Marco Dreosto della Lega. Trieste, grazie alla sua rete ferroviaria merci che collega dodici Paesi europei, è indicata come principale hub europeo del corridoio.
Il lancio del gruppo parlamentare segue l’incontro tra il presidente Meloni e il primo ministro Modi al G20 in Sudafrica, che ha consolidato il partenariato strategico, rilanciato gli investimenti bilaterali e discusso la cooperazione per la stabilità in Indo-Pacifico e Africa. A breve è prevista una nuova missione economica guidata dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Tajani.
«L’IMEC rappresenta un passaggio strategico per rafforzare il ruolo del Mediterraneo nelle grandi rotte globali, proponendosi come alternativa competitiva alla Belt and Road e alle rotte artiche. Attraverso la rete di connessioni, potrà garantire la centralità economica del nostro mare», hanno dichiarato Formentini e Giordano, auspicando che altri parlamenti possano costituire gruppi analoghi per sostenere il progetto.
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