2022-05-08
L’Occidente ignora la realtà della guerra e tifa in stile stadio
L’orrore arriva filtrato e ricorda un videogame: si moltiplicano iniziative farsesche e gadget pro Kiev da comprare online.Come è possibile che una civiltà spiaggiata e anestetizzata quale quella occidentale - che ha fatto della soppressione della fatica e del dolore una sorta di perversa religione - manifesti un tale amore per la guerra? Certo, potremmo supporre che il conflitto in Ucraina sia diventato uno sfogatoio di pulsioni in fondo incontrollabili, e di sicuro conta qualcosa il fatto che Vladimir Putin incarni il Nemico Assoluto, l’Avversario per eccellenza del mondo liberale, capace di attirarne l’odio più affilato. Ma ancora non basta. L’esaltazione bellicista si diffonde anche, probabilmente, per un motivo ulteriore: la scomparsa della realtà. C’è chi spinge per la guerra, insomma, perché non riesce a comprenderne la vera portata distruttiva, perché non si rende conto di che cosa significhi davvero sperimentarla sulla carne e nelle ossa.La sensazione è che i più appassionati sostenitori della «resistenza fino all’ultimo ucraino» stiano vivendo lo scontro come se si trovassero all’interno di un videogioco. Come se la battaglia si svolgesse su un piano del tutto immaginario, da cui si può uscire a piacimento quando si è stanchi. Sono talmente abituati alla metafora bellica - sfruttata in ogni campo, da quello sanitario a quello lavorativo - da credere che combattere significhi impegnarsi un po’ distrattamente e per un tempo limitato in una delle tante cause oggi disponibili sul mercato delle illusioni. Per qualcuno, guerreggiare significa acquistare su Amazon una maglietta grigioverde simile a quella utilizzata da Volodymyr Zelensky o qualcuno dei numerosi altri gadget disponibili, di cui Daniela Ranieri sul Fatto ha fornito sconfortante elenco nei giorni scorsi. Con poco meno di 20 euro si può comprare una T-shirt con la foto del presidente ucraino e la scritta «warrior»: una piccola dose di eroismo che viene via con poco, e permette di sentirsi un pochino guerrieri mentre si sorbisce lo spritz. Ciascuno, a seconda dei denari disponibili, può scegliere la sua quota di partecipazione al conflitto rimanendo comodamente seduto a casa. Da Christie’s a Londra, ad esempio, Boris Johnson ha fatto da battitore per l’asta in cui la felpa kaki indossata da Zelensky in una diretta tv è stata venduta per 90.000 sterline (105.000 euro o giù di lì).Ce n’è per tutti i gusti e tutte le tasche. Una piccola azienda di Chicago, ad esempio, ha raccolto quasi 160.000 dollari vendendo figurine Lego del leader di Kiev, con tanto di bottigliette molotov come accessorio. Ma si trovano anche tazze, cover per cellulari, accendini… Per chi preferisce le emozioni forti, la rete mette a disposizione simpatici souvenir del reggimento Azov. I più intellettuali possono invece optare per uno dei tanti libri umanitari in circolazione, tipo quello edito da Chiarelettere che raccoglie i discorsi di Zelensky e li impreziosisce con la prefazione di Walter Veltroni (un argomento in meno a favore della tesi «l’Ucraina può vincere»). Al di là del discutibile aspetto biecamente commerciale, tutto ciò prova che la guerra è appena meno concreta di un torneo calcistico: gli altri giocano, noi si sta in tribuna con la maglietta giusta. E se gli ucraini segnano un gol (riprendono un quartiere di Kharkiv), festeggiamo come se avessimo segnato noi. Il differimento del reale - della sofferenza, della devastazione, della morte - è totale. I confini tra vero e immaginario si sfilacciano, si perde la differenza tra litigare con un conoscente al bar e vedere una casa distrutta da un colpo di mortaio. La guerra è tornata a essere una «festa crudele» (nella splendida definizione di Franco Cardini), solo che la dimensione giocosa se la godono gli euroatlantici imborghesiti, mentre la brutalità è riservata a chi disgraziatamente si trova sul campo. Chi annaspa nel mondo reale ha bisogno di cibo, acqua, carburante, vestiti puliti, ambienti sicuri. Chi è seduto dinnanzi allo schermo può invece dilettarsi a immaginare scenari dei più assurdi. A Milano, per dire, dal 17 al 19 giugno si terrà il primo Festival del ciclo mestruale (sic). Per l’occasione verranno raccolte donazioni che permetteranno, tra le altre cose, di inviare alle ucraine bisognose confezioni di assorbenti. Ai sarmat, è noto, si risponde con i tampax. Oddio, meglio un tampone che niente. Da un certo punto di vista è quasi più ridicola un’altra campagna, organizzata da We stand with Ukraine, e rilanciata ieri da maestri d’impegno quali Ermete Realacci e Leonardo Becchetti. Consiste nella diffusione di un manifesto che richiama la celeberrima foto dei marines che issano la bandiera americana a Iwo Jima. Però, al posto dei militari, ci sono alcune persone che alzano una pala eolica sul suolo ucraino. «Mostra il tuo supporto all’Ucraina e diffondi il messaggio che la transizione verso l’energia pulita è cruciale nella nostra battaglia per la pace. Firma per ricevere il poster», recita il testo di presentazione dell’iniziativa. Cristallino: andiamo avanti a radere al suolo l’Ucraina, poi la ricostruiremo e ne faremo un paradiso green, con «più sole, più vento, più pace». Ma certo, il primo pensiero della popolazione martoriata va sicuramente ai pannelli solari e alla riduzione delle emissioni… Chiaro, si tratta di grottesche manifestazioni collaterali, le quali però contribuiscono alla distorsione complessiva. Il dramma è che più si perde tempo con queste idiozie distopiche, più si perde di vista la necessità immediata di porre fine alle ostilità. Chi promuove queste campagne, purtroppo, non chiede trattative e pace. No, chiede che la guerra continui, che l’Ucraina vinca. Molti, intrappolati nel videogame, pensano di contribuire alla lotta versando qualche obolo: coi loro soldi lo Stato spedisce armi distruttive, ma loro son tranquilli perché hanno partecipato fornendo assorbenti. Persino le dichiarazioni dei politici belligeranti talvolta appaiono galleggiare sulla superficie videoludica. Da un lato i russi invocano la denazificazione dell’Ucraina, dall’altro il segretario di Stato americano Antony Blinken ripete che gli Usa «difendono la libertà come contro i nazisti». Proprio come nei videogiochi di guerra, sono tutti in guerra contro il Reich, anche se combattono fra loro. Intanto lo spargimento di sangue continua, e non si arresta certo con gli assorbenti.