2021-03-15
Obesità e sovrappeso. Come combattere gli effetti collaterali della quarantena
Impariamo a calcolare bene il nostro indice di massa corporeo e a seguire una dieta sana che non escluda l'assunzione di lipidi.Il chirurgo Diego Foschi: «Chi ha qualche chilo in più finisce spesso nelle terapie intensive e questo ha ingenerato ansia Cresce il fenomeno tra i più piccoli: siamo al secondo posto in Europa. Serve una campagna di prevenzione».Lo speciale comprende due articoli.L'associazione tra pandemia e allarme, «allarme covid», «allarme contagi», «allarme varianti», «allarme assembramenti» eccetera, è ormai il normale registro comunicativo di media, virologi e politici mainstream. Il messaggio pare essere che solo il virus Sars-CoV-2 responsabile del Covid-19 attenti alla nostra salute. In realtà, ci sono, ahinoi, tante altre occorrenze insalubri come e anche più di quella pandemica, sia da sole, sia se comorbili col Covid-19. Una tra le più preoccupanti è l'obesità. Il lemma «obeso» viene dal latino obesus, derivazione del participio passato di edere cioè «mangiare» rafforzata dalla particella ob e vuol dire «che ha mangiato troppo». Mangiare troppo e non smaltire è alla base dell'obesità primaria, quella secondaria, assai più rara, può dipendere da problemi tiroidei, ipofisari, surrenali, diabetici e genetici. In entrambi i casi, siamo di fronte a un accumulo di grasso corporeo che si misura tramite l'Indice di massa corporea (Imc), risultato della divisione dei kg di peso per il quadrato dei metri di altezza della persona. Per l'Oms, si è in sovrappeso con un Imc da 25 a 29,99 e obesi con Imc da 30 in su. Con Imc superiore a 40 o fra 35 e 40 più altri fattori di rischio si può ricorrere alla chirurgia bariatrica. Rispetto ai dati degli anni Ottanta, l'obesità nel mondo è raddoppiata: ci sono ragioni per allarmarsi, ma chi lo fa è sempre più sovente osteggiato. Sovrappeso e obesità sono infatti diventate oggetto di un singolare doppio status: da una parte seria patologia, dall'altro battaglia di area progressista contro una presunta discriminazione degli obesi tacciando anche l'allarme medico di essere discriminatorio. Nella prefazione a Grassi. Una storia culturale della materia della vita di Cristopher E. Forth, Costanza Rizzacasa d'Orsogna cita lo studio sull'evoluzione del pregiudizio implicito negli Stati Uniti di Tessa E. S. Charlesworth e Mahzarin R. Banaji del dipartimento di Psicologia di Harvard che ha esaminato 13 anni di preconcetti nei confronti di 6 indicatori: orientamento sessuale, razza, colore della pelle, età, disabilità e peso. Tutti i pregiudizi sarebbero diminuiti, quale più quale meno, mentre «quello contro le persone grasse è aumentato del 40%». Ancora: «La effe di fat è la nuova lettera scarlatta. Niente oggi è più demonizzato di un corpo extralarge. Un bullismo che la medicina stessa, per moltissimo tempo parte del problema, avalla». Su Fat shame. Lo stigma del corpo grasso di Amy Erdman Farrell, che insegna Women's Gender and Sexuality Studies al Dickinson College di Carlisle in Pennsylvania, campeggia una bandella di Maura Gancitano, fondatrice di Tlon, casa editrice del libro in Italia, dal testo allarmatissimo non per l'epidemia di obesità ma per la discriminazione dell'obesità poiché recita che «il primo saggio sulla grassofobia a uscire in Italia» ha «il compito di aprire una riflessione su quanto siano profondi i pregiudizi sociali nei confronti dei nostri corpi».Scherzano? No, pensate che esiste anche il movimento Fat feminism. L'accusa di grassofobia a chi, naturalmente rifiutando il bullismo verso qualsiasi corporatura, però ricorda a costoro che l'eccesso di grasso corporeo è un problema di salute, non sorprende: com'è accaduto per le minoranze etniche, religiose e di genere, la creazione dell'etichetta narrativa dei poveri vessati da una schifosa e fascistoide società, nelle cui vene non scorrerebbe sangue ma odio, ora anche per gli oversize, dà il via al solito carrozzone della silenziazione coatta di chiunque metta in discussione il diktat narrativo del «discriminato» e poi del business, dai vestiti sexy utili a esibire il fat pride a, appunto, i libri. Sul sito di Tlon è ben illustrato come il libro possa essere acquistato anche con Carta del Docente e 18app di istituzione renziana e nel menu «Cosa facciamo» è presente anche il link alla mail di Odiare ti costa dell'avvocato Cathy La Torre. Nessuno odia gli obesi e ingrassare troppo costa davvero: costa la salute e può costare la vita. Lo sanno bene le persone finite a chiedere aiuto al programma statunitense Vite al limite che mostra quanto sia dura uscire, perfino con l'aiuto della medicina, dalla condizione di grandi obesi, non ultima la «fat influencer» Vanilla Hippo, 441 kg, che guadagnava sui social network mangiando in diretta a pagamento. Naturalmente nei lidi progressisti si afferma che qualsiasi obiezione ai loro diktat della body positivity e della fat acceptance secondo i quali la Hippo, per esempio, non si stava autodistruggendo on line ma stava soltanto esercitando «la libertà di autodeterminare il suo canone estetico», sia solo la fascista affermazione di una norma discriminante. Ciò è falso. Si deve condannare (e non si deve esercitare) bullismo nei confronti di chiunque, ma è importante non trasformare l'obesità, che è una grave patologia, in una semplice opzione estetica senza conseguenze.Passare dall'estremo del palestrismo (dal quale discendono anoressia e grassofobia alimentare), affermatosi qualche decennio fa col culto del corpo magro e perfetto, all'obesismo è sciocco ed errato: bisogna trovare il giusto equilibrio. Non assecondiamo l'esaltazione dell'obesità, dunque, ma evitiamo anche l'opposto della grassofobia alimentare: un po' di grassi servono (proteggono e isolano gli organi, permettono l'assorbimento delle vitamine liposolubili come A, D, E, K, regolano la produzione di ormoni, nutrono il doppio di carboidrati e proteine con 9 calorie ogni grammo mentre quelli ne hanno circa 4). La dieta mediterranea prevede che circa il 25% dell'apporto calorico ideale per altezza ed età derivi dai lipidi: la «grassezza» dei grassi è un problema se esageriamo, perché in questo caso l'esubero sarà immagazzinato in riserve che ci condurranno al sovrappeso, all'obesità e all'obesità grave. Depatologizzare l'obesità non è una grande idea ed è una falsificazione della realtà. Il Fat feminism e compagnia se ne facciano una ragione.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/obesita-e-sovrappeso-come-combattere-gli-effetti-collaterali-della-quarantena-2651060758.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-covid-ha-aggravato-la-situazione-in-italia-a-rischio-molti-bambini" data-post-id="2651060758" data-published-at="1615749624" data-use-pagination="False"> «Il Covid ha aggravato la situazione. In Italia a rischio molti bambini» Diego Foschi è ordinario di Chirurgia generale presso l'Ospedale San Giuseppe (Università degli Studi di Milano) e presidente della Società italiana di Chirurgia dell'obesità e delle malattie metaboliche. Con lui abbiamo parlato di obesità, un argomento su cui l'attenzione mediatica - fortunatamente - negli ultimi tempi è andata costantemente aumentando. Quando una persona si può definire obesa? «È obeso chi ha un indice di massa corporea (comunemente indicato con la sigla Bmi, che si riferisce all'acronimo anglosassone) maggiore di 30. Calcolare il nostro Bmi è semplicissimo, basta dividere il peso in Kg per l'altezza in metri elevata alla seconda potenza. Un uomo di 86 Kg, alto 1,70 metri, avrà un Bmi pari a 86:2,89, cioè 29,7 e si collocherà all'estremo limite del sovrappeso. Chi si scopre obeso deve sapere che la comparsa di altre malattie come complicanza o comorbidità è molto frequente: l'ipertensione arteriosa, il diabete mellito di tipo II, le dislipidemie, le malattie cardiovascolari, del fegato e del rene, alcuni tumori e molte altre patologie colpiscono con grande facilità le persone affette da obesità». Sembra che l'obesità in questi anni sia aumentata anche in Italia. È così? «L'Italia paradossalmente ha un tasso ancora contenuto, circa il 10% della popolazione, mentre il sovrappeso interessa il 34% dei nostri concittadini. All'estremo limite, in Europa, c'è Malta con il 27% di obesità, mentre la Gran Bretagna si colloca al 20%. Spagna e Germania hanno valori intorno al 16% e la Francia intorno al 15%. È però vero che nel nostro paese l'obesità è andata aumentando negli uomini, mentre è sostanzialmente stazionaria nelle donne. Invece, e questo è il dato più preoccupante, siamo al secondo posto in Europa per l'obesità infantile; ed è molto probabile che un bambino obeso diventi un adulto obeso. Perciò se non saremo capaci di mettere in campo una campagna serrata contro l'obesità e soprattutto un'azione di prevenzione ben concertata ed eseguita, avremo nei prossimi anni un peggioramento netto della situazione». Perché questo aumento? «Se guardiamo all'Italia del secondo dopoguerra, dobbiamo ammettere che l'obesità era molto rara e in alcune comunità assente. Fino agli anni del boom economico la situazione è stata così, poi è progressivamente cambiata con un peggioramento che è giunto fino a noi e si prolungherà nel prossimo periodo. Sotto il profilo biologico, noi siamo rimasti quelli di 15.000 anni fa all'epoca dell'ultima glaciazione, solo che allora eravamo cacciatori-raccoglitori che vivevano in un territorio sconfinato, muovendosi continuamente in cerca di cibo. Siamo stati formati dalla selezione naturale per fare a meno del cibo in un mondo che ora ci offre un'abbondanza oltre ogni limite di mezzi di nutrizione: una combinazione veramente micidiale». Secondo lei l'obesità è un problema sociale? «L'obesità è una malattia sostenuta da un'organizzazione sociale che privilegia uno stile di vita fondato sulla cultura dell'abbondanza, del superfluo e dello spreco oltre che della quantità come valore prevalente sulla qualità. Non parliamo della difficoltà di mantenere un'alimentazione sana in un contesto industriale dove la necessità di sfruttare al massimo il tempo induce a mangiare cibi pronti e ipercalorici invece di cercare cibi sani e genuini. Sotto questo profilo temo davvero che l'obesità sia una malattia sociale». Che cosa ha comportato il Covid per le persone obese? «Paura, isolamento, aggravamento. Penso che si possa sintetizzare così la condizione psicologica, sociale e anche di salute delle persone con obesità che hanno attraversato il Covid. Col tempo si è capito che finivano più facilmente in rianimazione e morivano) gli ipertesi, i diabetici, i vasculopatici e i malati di cuore. Sono tutte condizioni legate all'obesità e diversi studi hanno dimostrato che i portatori di obesità hanno un maggior rischio di Covid e per di più in forma grave. Perciò la paura delle persone affette da obesità verso il virus è pienamente giustificata ed è stata la reazione (francamente saggia) più diffusa. Paura deve significare prudenza e questa è certamente un fattore positivo; ma se non ben gestita (e con la ridda di notizie contraddittorie cui siamo sottoposti non potrebbe essere diversamente) la paura genera ansia e, in concomitanza al distanziamento sociale, un isolamento irrimediabile. Tutto ciò ha portato a un aggravamento delle condizioni dei portatori di obesità». Come si possono concretamente aiutare le persone obese? «Le persone con obesità vanno aiutate riconoscendo la loro condizione di difficoltà e di malattia. Noi sappiamo che l'obesità è una malattia ma non siamo riusciti a trasmettere questa nozione elementare a livello sociale. In definitiva solo una persona su dieci è obesa ed è più facile ignorare il fenomeno che affrontarlo, anzi è comodo stigmatizzare, condannare il comportamento di questi malati come moralmente disdicevole. Sei malato perché ti comporti male: mangi troppo e non ti muovi abbastanza. E invece è il contrario! Quando devo spiegare a una persona con 50 Kg di troppo come può cambiare la sua situazione, gli faccio presente di come si sentirebbe una persona normale che andasse in giro con una gerla piena di 50 Kg di pietre. Io sicuramente crollerei prima di sera. Perciò se vogliamo curare delle persone malate, la soluzione è una sola: curiamole senza condannarle e senza compatirle. Non scandalizziamoci se la società li sostiene perché hanno diritto alla nostra solidarietà. E poi ricordiamoci che curare una persona con obesità costa alla comunità molto meno che assisterla senza curarla».