2018-05-03
O il Pd rottama
il rottamatore o muore
Il caos di questi giorni, con l'impossibilità di formare un governo, ha un responsabile. Il colpevole però non va cercato fra i 5 stelle, sebbene Luigi Di Maio abbia dato un contributo importante al naufragio della trattativa con la Lega, insistendo in maniera petulante sia a rivendicare per sé l'incarico di presidente del Consiglio, sia a chiedere un passo indietro di Silvio Berlusconi. Le colpe non possono neppure essere addebitate a Matteo Salvini, il quale semmai ha il solo torto di aver voluto essere coerente con l'impegno preso con gli elettori, tenendo unita la coalizione di centrodestra nonostante le tensioni. Né si può imputare al Cavaliere il peccato originale di esistere, di essere il capo riconosciuto di Forza Italia e di non essere sparito a gentile richiesta dei grillini. No, a nessuno dei componenti della schiera di vincitori può essere rinfacciata l'incapacità di formare l'esecutivo come qualcuno pretende. Anche perché la persona che ha costruito con pazienza la complicata situazione sta altrove e ha un nome e cognome: Matteo Renzi. Nonostante la sicurezza ostentata in campagna elettorale, l'ex segretario del Pd sapeva con ragionevole certezza che il 4 marzo avrebbe preso una scoppola formidabile. Da mesi, dopo la débâcle delle amministrative, si parlava della sconfitta del Pd e i sondaggi che davano il partito in caduta libera erano noti a tutti. Le elezioni sarebbero state l'ultimo tassello di una discesa agli inferi annunciata: dopo la perdita di Roma e Torino, il disastro del referendum e la ritirata in alcuni capoluoghi da sempre roccaforte della sinistra come Genova e L'Aquila, il voto di inizio primavera doveva celebrare l'uscita di scena di Renzi. Il quale però di ritirarsi a vita privata non aveva affatto intenzione, ma anzi coltivava con determinazione la volontà di rimanere attaccato alla poltrona.Di qui la scelta di un sistema elettorale che evitasse la vittoria dei concorrenti e gli consentisse di ritornare a Palazzo Chigi anche in caso di sconfitta. Un gioco piuttosto scoperto, che puntava tutto sulla possibilità di allearsi dopo il voto con Forza Italia. Il partito del Cavaliere avrebbe dovuto fare da stampella al Rottamatore rottamato, consentendogli di riconquistare anche da perdente Palazzo Chigi. Ma, come si sa, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi e dunque i calcoli del senatore semplice di Scandicci si sono rivelati quasi tutti sbagliati, perché neppure mettendo insieme una maggioranza con Forza Italia sarebbe possibile formare un governo. Risultato, a seguito delle ambizioni e dell'ansia di rivincita di Renzi, il Paese è nel caos, senza l'ombra di una maggioranza che possa dare stabilità al Paese.Tuttavia, questa non è la sola conseguenza della decisione di non arrendersi. La fase politica di stallo sta infatti determinando anche l'implosione dello stesso Partito democratico, diventato terra di contesa fra fazioni sempre più armate l'una contro l'altra. Il Pd è di fatto ostaggio di Renzi e, nonostante una parte stia provando a ribellarsi, è assai difficile che riesca a uscire dal pantano in cui il suo segretario l'ha cacciato. Pur essendosi dimesso dopo una serie di sconfitte che avrebbero cancellato qualsiasi leadership, l'ex presidente del Consiglio rimane l'unico e incontrastato leader del partito. Avendo disegnato a sua immagina e somiglianza liste e direzione del partito, Renzi è di fatto il padrone di ciò che resta del principale raggruppamento della sinistra. Infatti, non solo al momento di gettare la spugna, lasciando la guida del Nazareno, ha dettato la linea al suo successore, ma nelle settimane succedute al 4 di marzo ha di fatto impedito ogni discussione e ogni valutazione delle ragioni della sconfitta. Dopo aver dichiarato di voler rimanere in silenzio, Renzi si è rifatto vivo con interviste e apparizioni ogni qual volta sia stato necessario tappare la bocca ai compagni di partito. È accaduto con un'intervista al Corriere della sera quando la direzione doveva discutere le sue dimissioni. Ma la scena si è ripetuta anche quando il Movimento 5 stelle ha aperto al Pd, chiedendo di sedersi al tavolo. Per l'occasione l'ex segretario si è fatto trovare in piazza, con la bicicletta, circondato da presunti elettori, ma soprattutto giornalisti, e lì ha svolto un suo personale sondaggio sul governo con i 5 stelle. In vista della direzione che doveva prendere atto del dialogo con Di Maio, il senatore semplice di Scandicci ha ritrovato la parola, facendosi intervistare da Fabio Fazio.Oggi la direzione del partito è convocata per la decisione finale e dovrà prendere atto della linea imposta dal dimissionario o delle aperture del segretario reggente. Maurizio Martina ovviamente rispetto a Renzi è un peso piuma e dunque se si dovesse valutare da quale piatto penderà la bilancia non avremmo dubbi. Ma in questo caso, la scelta non è fra l'ex presidente del Consiglio e l'ex ministro dell'Agricoltura. In gioco c'è anche la sopravvivenza stessa del Pd. Oggi infatti si decide se il partito è ancora tale e avrà un ruolo nella politica dei prossimi anni, o se è una succursale di un gruppo di potere con base a Firenze. La questione potrebbe sembrare cosa da poco, ma negli equilibri di un'area politica che comunque rappresenta il 20 per cento degli italiani non è poi così marginale. Anche perché dal voto odierno, dipendono le scelte che Renzi potrebbe fare nei prossimi mesi e questo riguarda anche gli equilibri di altri partiti e forse anche delle coalizioni al prossimo giro elettorale.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)