Gli studenti, indifferenti al diritto allo studio minato dalle restrizioni Covid, all’improvviso si accorgono degli affitti cari e che fare i pendolari è insopportabile. Il Pd, che ha un patrimonio immobiliare gestito a prezzi di mercato, li strumentalizza contro Giorgia Meloni. E i fondi speculano.Mentre Milano registra il quarto stupro nell’arco di poche settimane, il dibattito di tv e giornaloni non tocca la sicurezza. Quella è solo una questione di percezione e le forze che sostengono Giuseppe Sala, gli altri sindaci dem e una buona fetta degli editori tricolore hanno deciso che il percepito è buono e accettabile. Al limite, come ha scritto La Repubblica, alla faccia della battaglia per le quote rosa nei cda delle quotate e delle partecipate pubbliche, si può consigliare alle donne che capitano alla Stazione centrale dopo le 23 di mettersi a correre. Archiviato il tema, ci si può concentrare sul caro affitti per gli studenti fuori sede e per tutti quei lavoratori che devono lasciare i piccoli centri per trasferirsi nei capoluoghi. I ragazzi hanno diritto agli alloggi a prezzi calmierati. Un problema che il quotidiano degli Elkann e il Corriere hanno scoperto all’improvviso. Dopo che una qualche sardina in scatola ha deciso di piantare una tenda nella piazza antistante il Politecnico di Milano. Da lì è stata tutta una corsa a comprare attrezzi da campeggio per installare canadesi davanti alle università e negli studi tv, o rincorrere studenti che denunciano l’impossibilità di fare i pendolari per poche decine di chilometri. È ovvio che quello in atto è un interessante tentativo di creare una cortina fumogena, far cadere il governo in un trappolone e apparecchiare il tavolo al banchetto della riforma delle case green voluta dall’Ue e a cui Giorgia Meloni, impegnata in troppi fronti a Bruxelles, non avrà la forza di opporsi. Proprio per questa premessa preoccupante vale la pena di sbrogliare la matassa, partendo dagli anni Ottanta. I governi che si sono succeduti hanno scelto la strategia delle università diffuse. Tanti siti in altrettante città. L’altra strada sarebbe stata quella di concentrare gli investimenti in pochi poli lungo la Penisola e spendere importanti somme pubbliche per creare housing sociale e studentati. Tutte e due le cose non si possono avere. Non si possono avere università ogni pochi chilometri e al tempo stesso garantire il diritto all’alloggio a prezzo calmierato. Se poi aggiungiamo che adesso molte forze politiche vorrebbero pure eliminare i voti e la concorrenza, significa che rischieremmo di mandare i giovani sotto casa e a chiacchierare. Praticamente al bar. Ecco che la spinta imposta dalla sinistra in queste ore non è mirata a creare nuovi posti letto pubblici (gli incentivi già esistono, magari funzionano poco), ma a ridurre la libertà di affitto e di gestione dei proprietari. Andata in fumo la riforma del Catasto voluta da Mario Draghi, sembra che qualcuno voglia accoppiare le future norme green, che imporranno pesanti svalutazioni e costi di ristrutturazione elevati, a una sorta di vincolo interno. Non solo i proprietari saranno tassati e i mutui diventeranno nei fatti più cari e meno accessibili, ma sempre più persone dovranno rinunciare al mattone e mettere in vendita le singole proprietà perché non avranno sufficiente liquidità per gestirle. In pratica è patrimonio contro debito. Ma nel senso contrario dei fondi sovrani. L’Europa ha deciso che il debito pubblico dovrà sgonfiarsi sulle spalle dei proprietari di case. L’inflazione sale, la borghesia sparisce sotto i colpi delle imposte green. Inutile dire che serve un racconto, anzi uno storytelling, sul modello Greta Thunberg. I giovani sono lo strumento. Con ciò non vogliamo dire che il problema non esiste, ma che dietro la cortina fumogena ci sono enormi interessi. E a svelare cui prodest è stata l’altra sera la nuova presidente di Poste, Silvia Rovere, che riveste ancora il ruolo di rappresentante di Assoimmobiliare. In occasione di un convegno la manager, moglie di Andrea Munari, numero uno di Bnl, è intervenuta a gamba tesa contro la proprietà immobiliare diffusa. «In Italia il 92% degli immobili appartiene alle famiglie, il che è una cosa positiva dal punto di vista della protezione sociale, ma non lo è sul piano della manutenzione e dell’investimento. Perché queste famiglie», ha aggiunto, «non hanno strumenti e mentalità per sostenere il patrimonio immobiliare». In pratica se i valori sono scesi del 15% negli ultimi anni è colpa dei privati che non hanno la mentalità imprenditoriale e non saranno in grado di gestire la transizione ecologica. Per la Rovere la strada è chiaramente un’altra. Quella dei fondi e delle proprietà concentrate. Peccato che nel ragionamento ci sia un conflitto implicito. Cioè il suo curriculum. Un passato in Aedes e un presente in una boutique che si occupa appunto di consulenze nel real estate. I fondi devono fare i propri interessi e realizzare utili. Ma giocare con la transizione green per creare due squadre di proprietari immobiliari promette male. È ovvio che i grandi fondi avranno la liquidità e le spalle grosse per sostenere le assurde norme Ue in arrivo. Ma lo schema promette un passaggio di ricchezza da una parte all’altra troppo brusco, un passaggio che creerà conseguenze nel tessuto stesso delle nostre città. Il giochino è semplice, gli studenti che stanno in tenda sono la versione statica degli ecoguerrieri ed ecovandali. Bisogna fermare il trucco finché siamo in tempo.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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