2022-06-05
Non taglieremo il cuneo senza sfidare l’Ue
Ursula von der Leyen (Ansa)
Dal 1° luglio addio a «decontribuzione Sud»: per prolungare la misura serve l’ok dell’Europa, però le trattative sono ancora in corso. Tutti vogliono alzare gli stipendi netti senza fare debito, ma finché ascolteremo gli ordini di Bruxelles avremo le mani legate.Da qualche giorno è tutto un affollarsi di illustri dottori al capezzale del grande malato: il potere d’acquisto dei percettori di salari, stipendi e pensioni falcidiato da un’inflazione che purtroppo si è rivelata transitoria solo per gli economisti della Bce, che avevano forse confuso i loro desideri con la realtà. Il dibattito è incentrato intorno a due poli: gli imprenditori rifiutano di incrementare le retribuzioni lorde paventando, se non accompagnate da aumenti della produttività, perdite di competitività; lo Stato dice che non ci sono risorse per la riduzione del cuneo fiscale e quindi o si tagliano altre spese o si aumentano le tasse, con Maurizio Landini che corre a chiedere patrimoniali varie e assortite.Intervenire sul cuneo - cioè imposte e contributi che si frappongono tra costo aziendale e retribuzione netta - viene ritenuta la soluzione migliore per aumentare il peso della «busta» senza innescare la temuta spirale prezzi-salari. Purtroppo bisogna passare attraverso le forche caudine di Bruxelles: invarianza dei saldi di bilancio e divieto di aiuti di Stato, su cui vigilano il presidente Ursula von der Leyen e i commissari Paolo Gentiloni e Margrethe Vestager. Ed è proprio tale divieto che rischia di distruggere ciò che è stato già fatto. Perché una misura di riduzione del cuneo fiscale ci sarebbe già, e pure molto rilevante, almeno per otto regioni del Centro Sud del nostro Paese. Stiamo parlando della «decontribuzione Sud», cioè la riduzione del 30% dei contributi a carico del datore di lavoro, varata con il lontano decreto Agosto del 2020. Dopo una prima fase sperimentale è stata rifinanziata con le leggi di bilancio 2021 e 2022 fino al 2029 con percentuali decrescenti. Tutto già inserito nei saldi di bilancio e quindi senza timore di cadere sotto la spada di tagli per eccessivo deficit.Stiamo parlando di una misura che, a regime, vale circa 5 miliardi di mancato gettito e che va a beneficio di quasi tutti i datori di lavoro delle regioni interessate, senza distinguere tra rapporti di lavoro già in corso o nuove attivazioni. Una cifra ragguardevole, che interessa centinaia di migliaia di imprese e milioni di rapporti di lavoro.Tutto rischia di svanire nel nulla all’alba del prossimo 1° luglio: la legge di bilancio aveva agganciato la decontribuzione al Quadro temporaneo del marzo 2020, con cui venivano sottratti al divieto una serie di aiuti, tra cui quello qui in esame. Quel Quadro temporaneo cesserà di fornire una copertura il prossimo 30 giugno e quindi la decontribuzione richiede una nuova approvazione da parte della Commissione. È un caso disciplinato dagli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento della Ue, poiché presenta il carattere di selettività geografica. Qui comincia il già visto balletto tra Roma e Bruxelles, dove non si capisce dove finiscano le negligenze dei nostri rappresentanti e dove comincino le responsabilità della Commissione. Un balletto di cui abbiamo già visto le tragiche conseguenze in occasione della risoluzione di Banca Etruria e altri tre istituti nel novembre 2015. Risale infatti al febbraio scorso la prima interrogazione a risposta scritta da parte dell’europarlamentare copresidente del gruppo Ecr-Fdi, Raffaele Fitto, finalizzata a sapere dalla Commissione se dall’Italia fosse stata avanzata una proposta per rendere strutturale fino al 2029 la decontribuzione. Il 27 aprile il commissario al lavoro Nicolas Schmit ha risposto che non vi era stata alcuna richiesta da parte dell’Italia. Così lunedì scorso Fitto è ritornato alla carica chiedendo alla Commissione se «ha ricevuto una proposta riguardante la misura in oggetto o sono in corso negoziati in merito e, in caso affermativo, se ritiene che tale misura rispetti i criteri per essere autorizzata ai sensi del quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato».Nel frattempo, il 18 maggio scorso, rispondendo alla Camera a una interrogazione a risposta immediata, il ministro per il Sud Mara Carfagna ha dichiarato che «stiamo ora lavorando - e di questo ho avuto modo di parlare anche con la commissaria Ferreira qualche giorno fa - per agganciare la misura al nuovo recente Quadro sugli aiuti di Stato introdotto per il secondo semestre del 2022. È un lavoro che, ovviamente, abbiamo già iniziato e che intensificheremo nelle prossime settimane con un tavolo permanente con le amministrazioni nazionali, finalizzato a offrire alla Commissione europea una soluzione concreta». Da ultimo, fonti di Palazzo Chigi hanno confermato che il negoziato è ben avviato.A tre settimane da una scadenza nota da più di un anno, siamo ancora al «tavolo», finalizzato peraltro a mettere la testa sotto la ghigliottina di un altro Quadro temporaneo. Mentre gli imprenditori del Sud non sanno ancora quale sarà il loro costo del lavoro a luglio. E dire alla Ue che le nostre imprese e i nostri lavoratori sono più importanti di quelle regole assurde, imparando la tecnica negoziale da Polonia o Ungheria?
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