2021-05-13
Manuela Villa: «Non ho più rancore per il Reuccio ma esserne figlia è stato un danno»
Manuela e Claudio Villa (Getty Images)
Il grande cantante è stato obbligato al riconoscimento solo dopo una causa. «Venni a sapere chi fosse il mio genitore biologico da una suora. A Sanremo quando vedono il cognome je vengono le bolle: respinta 25 volte».Per Manuela Garofalo che, dopo la sentenza della Corte di cassazione del 2004, all'anagrafe è Manuela Garofalo Pica, la rivelazione appresa nell'estate 1978, per caso o per destino, come conseguenza della ritorsione di una monaca offesa, fu sconvolgente. All'epoca, colei che il grande pubblico oggi conosce come Manuela Villa, aveva 12 anni e, ospite in un convento in Sicilia, ebbe la ribalda idea, tradotta in fatti con la complicità di un'amica, di organizzare una burla ai danni della suora, infilandole nel letto un pupazzo, composto di pigiami e asciugamani, per simulare una presenza maschile. Durante la scaramuccia che ne sortì, la vittima della canzonatura, furiosa, consumò la sua invettiva, pronunciando una frase sinistra: «Tu che ridi tanto, devi ringraziare quell'uomo che ti mantiene…». Scura in volto, la fanciulla si diresse pertanto dalla zia, consorella della rivelatrice, interrogandola sul perché portasse il cognome della madre anziché quello del padre. «Non conta chi ti mette al mondo, ma chi ti ha fatto crescere». Questa fu la prima, cauta risposta. Nell'istante successivo, ottenne d'improvviso la verità. «Tuo padre è Claudio Villa». Per l'adolescente, quelle quattro parole messe in fila furono la fine e l'inizio di un nuovo mondo. In un colpo, seppe non solo che il suo padre naturale non era quello che lei, fino a quel momento, aveva creduto essere. Ma anche di essere figlia di una popolare star della canzone, non solo melodica, dato che Claudio Villa, all'anagrafe Claudio Pica, trasteverino, era dotato di voce da tenore, tanto da essersi avvicinato, pur con sporadiche interpretazioni, anche agli esigenti prosceni del teatro lirico. Manuela, classe 1966, nacque infatti dalla relazione che il celebre cantante, in fase di separazione dalla prima moglie, con la quale ebbe un figlio, avviò intorno al 1960 con la danzatrice di teatro Noemi Garofalo, siciliana, da cui vide la luce, nel 1961, anche il fratello Claudio junior, entrambi non riconosciuti dal cantante. Ne conseguì un'inevitabile crisi personale con ripercussioni familiari che, dopo un iniziale periodo di isolamento e ribellione, si risolse favorevolmente. La ragazza colse che la famiglia, compreso il fratello maggiore, l'aveva tenuta all'oscuro di quella delicata vicenda per amor suo. Non tutto di quel trauma, tuttavia, si è ricomposto, giacché Manuela, che vive a Roma e ha un figlio di 17 anni, Jacopo, studente di informatica, sconta gli effetti di due paradossi. Il primo è dover fare valere le proprie qualità artistiche indipendentemente dalla figura del padre naturale, rivendicandone orgogliosamente, tuttavia, il legame affettivo e di sangue, peraltro riconosciuto dopo un iter legale perdurato per 21 anni. E il secondo è dover ancora prendere atto della sua esclusione da alcuni palcoscenici che contano, come quello di Sanremo, sempre per la medesima ragione, essere figlia del «Reuccio», come lei stessa racconta. Volto noto della tv da almeno 25 anni, ha inciso vari album, tra cui gli ultimi due sono del 2019 (Roma… A modo mio ed È Natale) e singoli (due nel 2020, Sei nell'aria e L'amore è un frutto raro). Dopo un periodo di parziale lontananza dalle scene, riagguantò la vasta notorietà nel 2007, partecipando al reality L'Isola dei famosi e vincendo quell'edizione. In quell'anno scrisse un libro biografico, L'Obbligo del Silenzio (Armando Curcio Editore) e, il prossimo giugno, uscirà, con la stessa casa editrice, il romanzo L'Alimentatore. Iniziò anche a dilettarsi come attrice teatrale, con alcuni registi tra i quali Pier Francesco Pingitore. Come reagì nel momento in cui conobbe la verità?«Inizialmente mi arrabbiai molto. Provavo sentimenti contrastanti e negativi, che ho imparato a gestire. Scacciando i brutti pensieri, per i quali sentivo disgusto, e sostituendoli con quelli positivi, ho capito che si vive meglio. Ma è stato un lavoro duro e, papà Elio, che fortunatamente è ancora con noi e mi ha cresciuta, mi ha trasmesso un'immagine positiva della figura maschile, di aiuto anche nel rapporto con mio figlio. Quanto a mio padre Claudio Villa, non l'ho mitizzato né condannato, vedendolo non come un uomo nero, ma soltanto come un uomo. E apprendendo ad amarlo così com'era. Il rancore l'ho buttato nel secchio».Quando iniziò ad ascoltare le canzoni di Claudio Villa?«Molto tardi. Però a 5 anni ero già appassionata di musica e seguivo lezioni di pianoforte. Negli anni Ottanta, quando mi fu regalato un disco di Barbra Streisand, mi accorsi che avevo una voce decente e una buona estensione ma non pensavo a nulla. Non mi sono messa a cantare perché figlia di Claudio Villa. Tutto è accaduto gradualmente. A un certo punto sentii l'esigenza di interpretare le sue canzoni e accostarmi al suo genere, perché di mio padre mi rimaneva solo quello. Incoraggiata da mio fratello, iniziare a fare i duetti. Entravo in simbiosi con lui, non essendoci la possibilità di incontrarci. Era come respirare i suoi stessi respiri. Decidemmo di proporli».Quale fu l'accoglienza?«Negativa, anche da parte di famosi presentatori. Mi rispondevano: “Potresti dare fastidio". Nel momento in cui sembrava dovessi esibirmi, arrivavano fax e telegrammi che ostacolavano tutto. Ma Toto Cotugno, nel 1991, mi fece debuttare a Piacere Rai 1. Ringrazio anche Nilla Pizzi, Simona Marchini, Piero Badaloni, Fabrizio Frizzi e Rita Dalla Chiesa, che mi trattarono come una figlia. E soprattutto Paolo Limiti».Con Limiti, duettando ad esempio Granada con suo padre registrato nel chroma key, commosse l'ampia platea dei telespettatori e divenne famosa…«Paolo Limiti ebbe il coraggio di dare voce all'ingiustizia».Le diede problemi il fatto di utilizzare il cognome artistico Villa?«Molti. Anche perché il figlio del primo matrimonio di mio padre su questo mi attaccava. Un anno, nel 1993, il mio nome nel manifesto del Bagaglino dovette essere cancellato. Come si dice a Roma “le cattiverie se so' sprecate"». Quando incontrò per la prima volta suo padre?«Avevo 15 anni. E conservo di quel momento un ricordo stupendo. Accadde a Radio Lazio, dove lavorava. Mi accompagnarono mia madre e mio fratello, che già l'aveva conosciuto. Lui era emozionato e intenzionato ad altri incontri. Mi disse che gli potevo telefonare a casa. E così feci. La cosa durò 2 anni. Finché la governante iniziò a rispondere che era in tournée e poi subentrò la moglie, con frasi infelici. Daje e ridaje, un giorno mi arrabbiai: “Dica al signor Claudio che je faccio causa"».E così fu. Lui come reagì?«I rapporti, ovviamente, s'irrigidirono. Ci siamo visti, l'ultima volta, nell'86, quando abbiamo fatto l'esame peritale del sangue, così si chiamava all'epoca, dato che non esisteva ancora la prova del Dna. Risultò una compatibilità del 99,9 per cento. Lui provava a fare lo spiritoso ma non incrociò mai i miei occhi. Per la prima volta lo vidi debole e fragile. Oggi lo vedo con tenerezza. Compresi il perché di tante cose. Era accompagnato dalla moglie, che più avanti dichiarò a un giornale: “Sbugiardiamo quella sfacciata". Mio padre morì nell'87 e fu cremato».Di Claudio Villa, oltre al talento e all'ostinazione, viene ricordata la spavalderia, che non si fermò nemmeno di fronte alla morte. Sulla sua lapide fece scrivere: «Vita sei bella, morte fai schifo». Non che sia un granché questo epitaffio.«Io avrei messo il contrario. Perché, nella vita, molte cose sono un inferno. Lui, comunque, è stato religioso. Ce l'aveva con i preti, ma non con Dio. Devo dire anche che non so se quella frase l'abbia davvero voluta lui. Non ci metterei la mano sul fuoco».Nel 2000, in Piazza San Pietro, lei cantò in mondovisione la canzone The tree of faith and peace davanti a Giovanni Paolo II, in occasione del 50° anniversario del sacerdozio del pontefice. «Volle incontrarmi e gli consegnai una pergamena. Mi diede uno scafetto sulla guancia, dicendomi: “Dio benedica la tua voce"».Nel 1995 doppiò le parti canore di Pocahontas, nel film animato della Disney, ruolo confermato nel seguito del '99.«Furono fatti provini a personaggi quotati, con case discografiche alle spalle. Ma quando Alan Menkel (statunitense, compositore e autore di colonne sonore, ndr) mi ascoltò, disse: “Questa è la voce di Pocahontas". Non c'è stata alcuna intrusione».Ha un buon ricordo della sua partecipazione a L'Isola dei famosi?«Bella esperienza. Ci trovavamo in Honduras, fu l'edizione condotta dalla Ventura cui parteciparono anche Cecchi Paone, Malgioglio, Belmondo... Tutti si accorsero del mio carattere. So' dovuta andà a spaccà i cocchi per fa' capì che cantavo». Varie volte ha tentato di partecipare al festival di Sanremo.«Per quasi 25 anni ho proposto un brano. L'ho fatto anche quest'anno e l'anno scorso. Niente. Quando vedono il cognome Villa je vengono le bolle. Io a Sanremo ho cantato solo, nel 1994, una frase di Una vecchia Canzone italiana con il gruppo Squadra Italia. In quel caso gli servivo».Suo padre l'ha mai sentita cantare?«No, ho iniziato a cantare dopo la sua morte. L'ho fatto per disperazione. Quando se n'è andato ho pensato: “Non può lasciarmi così". È stato un altro abbandono. Chi sa, se fossimo andati insieme a una trasmissione magari avremmo fatto il botto. Ma lui non avrebbe potuto. E io non ero ancora preparata».Lui si sentiva in colpa per non aver riconosciuto la paternità?«Ne sono certa. Non era malvagio. Doveva mettere una toppa di qua e di là. La sua famiglia l'ha contrastato ed era quello un periodo nel quale i figli non si potevano riconoscere fuori del matrimonio. “Ho le mani legate", diceva».È stato supposto che Claudio Villa possa avere altri figli naturali da qualche parte…«Se ci sono altri figli non è un problema. È da mettere in preventivo. In tanti concerti mi è capitato che mi dicessero: “Sai, io sono stata fidanzata con tuo padre". Io ho imparato ad amare mio padre in ogni sua sfaccettatura». Manuela, è felice?«Lo sono stata quando non sapevo di esserlo».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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