
La psicosi per i possibili contagi ha trasformato anche la prevenzione in una perversa forma di cura.Cento anni fa - giorno più, giorno meno - Jules Romain aveva già intuito come sarebbe andata a finire. La sua commedia intitolata Knock (il cui testo, formidabile intuizione, è stato prontamente ripubblicato nel 2020 da Liberilibri) venne rappresentata la prima volta a Parigi, il 15 dicembre 1923, alla Comédie degli Champs-Élysées, per la regia di Jacques Hébertot; e con allestimento e scenografie di Louis Jouvet.A un certo punto del secondo atto, il protagonista - Knock, medico senza scrupoli interessato ad arricchirsi oltremisura - ha un intenso confronto con il farmacista del paesino in cui è appena giunto per esercitare la professione. E gli illustra la sua visione: «Ammalarsi», spiega, è un «concetto sorpassato, che non può resistere di fronte all’avanzare della scienza moderna. “Salute” è solo una parola, che senza alcun danno potrebbe essere eliminata dal nostro dizionario. Quanto a me, conosco solo individui più o meno affetti da malattie più o meno disparate e con esiti più o meno rapidi. Naturalmente, se dite loro che stanno benissimo, non chiedono di meglio che credervi. Ma così li ingannate. L’unica scusante può essere quella d’avere già troppi malati per caricarvene di nuovi».Knock ha elaborato un sistema geniale. Fingendo di avere a cuore gli abitanti del suo paesello, chiede: «Ma chi mi aiuterà a debellare la malattia, a stanarla, chi istruirà questi poveretti sui pericoli che ogni istante insidiano il loro organismo? Chi ficcherà loro in testa che non si deve aspettare di essere morti per chiamare il medico?».Il malefico dottore istituisce visite gratuite, e tiene conferenze aperte a tutti. Una si intitola «I portatori di germi». «Vi viene dimostrato», dice, «chiaro come il sole e con l’appoggio dei casi presi in esame, che si può anche andarsene in giro con una faccia rubiconda, una lingua rosea, un appetito eccellente, e covare in tutti i meandri del proprio organismo milioni di bacilli d’estrema virulenza, capaci d’infettare un dipartimento intero. Con l’avallo sia della teoria che dell’esperienza, mi arrogo il diritto di presumere che chiunque incontro sia un portatore di germi». Knock, in buona sostanza, ha compreso come fare soldi, molti soldi: basta curare i sani dopo averli convinti di essere malati. Niente di più facile: bastano un poco di pubblicità e la giusta pressione mediatica, e in breve tempo anche i cittadini più riottosi si possono persuadere. Un secolo dopo, in effetti, le cose vanno più o meno così. Con un po’ di ritardo rispetto a Jules Romains, l’industria farmaceutica si è adattata, e i media si sono regolati di conseguenza, anche perché spesso sono stati ben remunerati. Cambiamenti di strategia aziendale e cambiamenti culturali si sono intrecciati e sostenuti a vicenda. Da una parte Big pharma premeva - anche comprensibilmente - per medicalizzare ogni aspetto della vita. Dall’altra la civiltà occidentale si abbandonava volentieri alla medicalizzazione: timorosa della morte come mai prima, ha cominciato a disinfestare e disinfettare tutto, dagli oggetti alle parole. L’ossessione per la performance ha fatto il resto: il corpo deve sempre funzionare alla perfezione, a comando. Non sono ammesse cadute di tono, dunque - come ripeteva un tempo la pubblicità - prevenire è meglio che curare. Il risultato è che la prevenzione diviene essa stessa una perversa forma di cura, e per timore del contagio ci siamo rinchiusi da soli nel Grande Ospizio Occidentale (così Eduard Limonov). Soldi e paura: così è andata. E negli ultimi dieci anni circa è avvenuta la stretta finale. Risulta incredibile che ancora nel 2014 un quotidiano come Il Sole 24 Ore potesse pubblicare un articolo intitolato «I sani nel mirino delle cure», firmato da Donatella Lippi, docente di Storia della medicina all’università di Firenze. «Per poter mantenere inalterato il mercato degli anni passati, sostenuto da mutualismo e gratuità, l’industria della salute deve rivolgersi alle persone sane», scriveva la studiosa. «Questo fenomeno prende il nome di disease mongering ed è una pratica insidiosa, spesso invisibile, che può comportare il rischio di scelte terapeutiche inadeguate, malattie iatrogene e danni alla sostenibilità economica del sistema sanitario, sottraendo risorse utili».Spiegava la Lippi che «tre sono i piani su cui queste strategie morbigene agiscono: il piano quantitativo, che prevede l’abbassamento dei parametri che definiscono la frontiera del patologico (a esempio, nel caso di ipercolesterolemia, ipertensione, diabete); il piano temporale, che consiste nella promozione e nella diffusione di pratiche di screening, la cui efficacia è incerta oppure non ancora dimostrata; il piano qualitativo, che trasforma in condizioni medico-sanitarie situazioni che dovrebbero far parte della normalità della condizione umana. Anche la vecchiaia, come già diceva Terenzio (Senectus ipsa morbus est) è diventata un morbo...».Oggi stampare frasi del genere equivarrebbe a farsi inserire di imperio nel novero dei no vax e terrapiattisti nemici della ragione. Sono lontanissimi i tempi in cui editori della sinistra istituzionale stampavano i volumi di Hans Ruesch, antivaccinista impenitente: il culto del numero e la scienza elevata a pseudo religione dominano la scena. Poiché non ci resta altro che il corpo - essendo l’anima disgregata già da tempo - il solo pensiero che possa danneggiarsi ci atterrisce. Dunque preveniamo e preveniamo e vacciniamo e vacciniamo, e guai a chi si oppone. Abbiamo reso radicalmente vera l’intuizione di Knock: più che curare i sani, abbiamo eliminato la categoria. Siamo tutti malati in potenza che tentano inutilmente di prevenire la morte. Peggio: siamo tutti già morti, ma asintomatici.
Nadia Battocletti (Ansa)
I campionati d’atletica a Tokyo si aprono col secondo posto dell’azzurra nei 10.000. Jacobs va in semifinale nei 100 metri, bronzo nel lancio del peso per Fabbri.
Ansa
Partita assurda allo Stadium: nerazzurri sotto per due volte, poi in vantaggio 2-3 a un quarto d’ora dalla fine. Ma la squadra di Chivu non riesce a gestire e all’ultimo minuto una botta da lontano di Adzic ribalta tutto: 4-3 Juve.
Maria Sole Ronzoni
Il ceo di Tosca Blu Maria Sole Ronzoni racconta la genesi del marchio (familiare) di borse e calzature che punta a conquistare i mercati esteri: «Fu un’idea di papà per celebrare l’avvento di mia sorella. E-commerce necessario, ma i negozi esprimono la nostra identità».
Prima puntata del viaggio alla scoperta di quel talento naturale e poliedrico di Elena Fabrizi. Mamma Angela da piccola la portava al mercato: qui nacque l’amore per la cucina popolare. Affinata in tutti i suoi ristoranti.