2025-10-30
I sindacati che tifavano per l’obbligo ora riscoprono la libertà vaccinale
Le principali sigle scrivono alla Asl 1 ligure contro l’incentivazione a inocularsi mediante lotteria: «È un atto sanitario che deve fondarsi su libera scelta». Ma durante il green pass chiedevano l’imposizione per legge.La Asl 1 Liguria organizza una campagna vaccinale per i dipendenti con un incentivo fatto di premi assegnati con estrazione a sorte. Quali siano questi premi non è dato sapere. E neppure i sindacati confederali (Fp Cigl, Cisl Fp e Uil Fpl) lo sanno. Insieme ad altre sigle hanno inviato una lettera di vibrante protesta al direttore generale della Asl - che ha competenza nelle aree di Imperia, Sanremo e Bordighera -, al direttore amministrativo, al direttore sanitario e al direttore socio-sanitario. La lettera tocca molti punti. Non si promuove la vaccinazione «mediante incentivi economici o meccanismi di gioco». Ben detto. Poi, si discriminano i lavoratori escludendo dal premio chi non possa vaccinarsi. Si configura, insomma, «una disparità di trattamento». Bravi. I sindacati mettono in guardia il management che organizzare la lotteria, non è uno scherzo. E non gli è dato conoscere se la Asl abbia fatto tutto quanto previsto dalla normativa. Giusto. I sindacati ravvedono una criticità nel trattamento dei dati personali dal momento che, una volta che si conoscerà il nome dei partecipanti alla lotteria, automaticamente si saprà se si saranno vaccinati. Naturale. La protesta investe anche l’aspetto finanziario, ancorché non si conosca l’entità del premio. La Asl 1 afflitta da una «gravosa situazione debitoria» non dovrebbe ricorrere a questi strumenti. Applausi. Ma è soprattutto su un punto che la protesta delle organizzazioni lascia stupefatti. Ed è peraltro messa in testa all’elenco delle lagnanze. «La vaccinazione», sostengono, «è un atto sanitario che deve fondarsi su libera scelta, consenso informato e responsabilità individuale». Come? Come? Come? Ma qui salutiamo la vibrante protesta dei sindacati con un bel «buongiorno, principessa!». Ma sono quegli stessi sindacati che ad agosto 2021, in pieno delirio vaccinista, incontrano l’allora premier Mario Draghi fresco di una delle sue più brillanti performance. Quella del «non ti vaccini, ti ammali, muori», ma anche «non ti vaccini, ti ammali, contagi, lui/lei muore». Indimenticabile. Sono ancora emozionato. Pièce superata solo, ma non è pacifico, dalla gag del «condizionatore spento e della pace accesa». O viceversa. Quegli stessi sindacati che dopo quell’incontro scrivono a Draghi e al sottosegretario Garofoli. E concludono la lettera - dove si parlava del solito Pnrr e di lavoro - con queste testuali parole: «In particolare le ribadiamo il nostro assenso a un provvedimento che, in applicazione della nostra Carta, il governo decida di assumere finalizzato a rendere la vaccinazione obbligatoria quale trattamento sanitario per tutti i cittadini del nostro Paese». Erano i giorni i cui era da poco entrata in vigore la sperimentazione del Green pass. I sindacati stavano in pratica esortando il governo a rendere la vaccinazione obbligatoria per tutti. Secondo loro il green pass non era il più clamoroso sfregio inflitto alla nostra Costituzione ma soprattutto alla nostra libertà. I sindacati intravedevano certo - senza poterlo esplicitamente ammettere - che si stava infrangendo il primo articolo della Costituzione. Quello in cui si ribadiva che la Repubblica è fondata sul lavoro. Cioè l’articolo uno comma uno. Più costituzione di questo? Ed anziché difendere i propri associati, perché questo avrebbe significato tenere testa a Draghi, i sindacati scelsero la strada comoda del «caro governo, obbliga tutti per legge alla punturina magica. Così non dovremo protestare contro di te a difesa dei lavoratori». Messaggio che con la lettera inviata alla Asl 1 ligure sembra accantonato. Anzi rinnegato. Ce ne rallegriamo. Per carità, in quei giorni era una gara a chi si inventava gli obblighi più assurdi. Una corsa al sorpasso nella corsia più a sinistra, facendo i fari, con la freccia e il clacson bitonale. Modello Vittorio Gassman ne Il Sorpasso di Dino Risi. Confindustria pressava il governo affinché il green pass diventasse la quotidianità in azienda. Da questa lunga storia che si è dipanata negli anni di pandemia se ne ricavano in finale due lezioni. La prima è che le strategie di vaccinazione massiva possono prevedere il bastone o la carota. Tenetevi forte: la «strategia carota» ha raggiunto in quegli anni vette difficilmente superabili. Nello Stato di Washington si prevedeva addirittura la consegna di marijuana a chi si vaccinava contro il Covid-19. Probabilmente disegnando un ideale e graduale percorso di disintossicazione che passa prima dalla siringa e poi alla canna. A Monte San Savino in Toscana, invece, «porchetta e vaccino». La porchetta è il leggendario panino con la carne di maiale arrosto. Cosa avete capito? Ah, no. Fermi tutti. Avete licenza di fraintendere. Perché a Vienna veniva previsto il bordello gratis per mezzora in cambio del braccio siringato. Insomma, sulla strategia carota ci sarebbe da farsi del riso amaro. Per citare un altro capolavoro cinematografico. Ma a noi uomini liberi di questo non frega un accidente. Ci siamo battuti contro il bastone del green pass. E qui viene la seconda lezione. Ai sindacati piaceva solo il bastone. E oggi rifiutando la carota lo confermano.
Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)
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