2023-08-31
Non c’è solo il Superbonus. Ecco tutti i «regalini» dell’era Conte & Draghi
Fondi ridotti per colpa di truffe, Superbonus (che impatta sul deficit), e del buco legato agli extraprofitti energetici. A cui si aggiunge il nodo Rdc: abolirlo del tutto significherebbe aprire un altro fronte con l’Ue. Ma così resta meno spazio per tagliare il cuneo fiscale.Nel dicembre del 2021, il presidente del Consiglio Mario Draghi puntò il dito per la prima volta sul sistema degli incentivi all’edilizia sul modello 110%, creazione del precedente esecutivo a guida giallorossa. Nella conferenza di fine anno parlò di 4 miliardi di euro bloccati per operazioni di cessione e sconto fatture. Si limitò a rinnovare il Superbonus con alcune limitazioni. Non voleva, forse, contraddire l’azionista grillino. Nei mesi precedenti Draghi aveva cercato di affossarlo di nascosto, aumentando il livello di burocrazia insito alle pratiche. Inutilmente, viene da dire. Visto che la convenienza del 110% è finita con il travolgere ogni ostacolo. Per questo motivo, il governo Meloni a novembre del 2022 ne decreta lo stop e la riduzione degli incentivi a percentuali sotto la soglia del 100%. Proseguire per la medesima strada avrebbe finito con il creare un deficit spropositato per il Paese finendo con l’assorbire qualsivoglia legge finanziaria. Al tempo stesso i flussi non sono stati interrotti. Perché molte imprese (ci riferiamo alla stragrande maggioranza degli onesti) aveva già preso impegni. Risultato: non potendo buttare né il bambino né del tutto l’acqua sporca, siamo arrivati a un ulteriore deterioramento della situazione. A marzo 2023, Ernesto Maria Ruffini, numero uno dell’Agenzia delle entrate, ha calcolato in 9 miliardi le frodi relative ai bonus edilizi. L’ex comandante della Gdf, Giuseppe Zafarana, aveva spiegato che le irregolarità si aggirano intorno al 5% delle pratiche e che alla data del 22 febbraio la Gdf aveva bloccato circa 7,2 miliardi.Non stupisce che l’altro ieri Giorgia Meloni abbia tirato le somme stimando il totale delle irregolarità in una cifra vicina ai 12 miliardi. Un macigno che pesa anche ai fini della finanziaria. Perché sono somme bloccate che rischiano di non generare nemmeno un ritorno sull’economia reale e che si sommano all’effetto negativo ai fini del deficit già insito nello schema Superbonus. Per spiegare meglio usiamo le parole dei tecnici della Camera. L’ex numero uno dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro, già alla fine del 2021 lanciava l’allarme ricordando che il saldo negativo per l’Erario sarebbe stato di almeno 61 miliardi. Il 21 febbraio, in un’audizione in Senato, il capo del servizio Assistenza e consulenza fiscale della Banca d’Italia, Giacomo Ricotti, dichiarava che «anche tenendo conto delle imposte e dei contributi sociali versati a fronte dell’aumento dell’attività del settore, gli oneri della misura per il bilancio pubblico restano comunque ingenti». Così, al vincolo di bilancio si sommano pure le frodi. Eppure i grillini proseguono imperterriti e su questo fronte il precedente governo, che ne aveva colto chiaramente i rischi, non è intervenuto certo con coraggio. Eppure questa non è l’unica eredità di bilancio che l’attuale esecutivo si ritrova. C’è anche quella relativa agli extraprofitti delle società energetiche. E qui è tutta farina del governo Draghi che aveva messo a bilancio 10,6 miliardi di gettito. Ne sono stati incassati un terzo. Dei 7 miliardi di buco, più o meno la metà è già stata attualizzata dai consuntivi successivi e non rischia di acuire il deficit. Resta però il fatto che il minore incasso, pari a circa 3,5 miliardi, dovrà in qualche modo essere coperto, privando altre voci dei fondi necessari.Comprendiamo benissimo il gioco e il ruolo delle opposizioni. La realtà però è che nessuno a parte la Meloni avrebbe preso il guanto di sfida da Draghi. Tutti sapevano che l’inverno tra il 2023 e il 2024 sarebbe stato quello più freddo e complicato. C’è da ridiscutere il Patto di stabilità, c’è il vincolo interno del Pnrr che rende di per sé impossibile destinare miliardi a investimenti strategici, investimenti che questo governo ritiene tali. Non un dettaglio, se si vuole governare e rivendicare il proprio ruolo politico. A ciò si aggiungono i due vincoli ereditati da Giuseppe Conte e dallo stesso Draghi. Il Superbonus, al di là dei buchi, come abbiamo visto mette in difficoltà chi deve gestire il rapporto tra deficit e Pil. C’è poi un altro vincolo che va sotto il nome di Reddito di cittadinanza. Come tutti sanno, l’Rdc è una invenzione del governo Conte cresciuta fino a pesare sui conti dello Stato 9 miliardi l’anno. C’era la pandemia ed è sembrato il modo più facile di distribuire prebende da un lato e sostegno finanziario a chi ne ha veramente bisogno. Il predecessore del Rdc, il Rei, tanto per fare un paragone, non arrivare ai 4,5 miliardi di spesa complessiva. Con l’avvento di Draghi il Reddito ha subito un ulteriore ampliamento. La spesa è salita di un altro miliardo e soprattutto l’intervento è diventato permanente. Calcolato fino al 2028 e poi stabilizzato negli anni a seguire. La manovra finanziaria dello scorso inverno (la prima della Meloni) si è limitata a togliere il miliardo aggiuntivo messo da Draghi. Nulla di più. Il difficile è intervenire a ritroso, per due motivi. Primo, sociale. Togliere denaro e nel frattempo spiegare alla popolazione che si cerca di stimolare il lavoro è molto più difficile che erogare denaro a pioggia. Soprattutto, secondo motivo, se questa strategia del reddito universale è sostenuta da istituzioni finanziarie internazionali e dalla stessa Commissione Ue. È chiaro che si tratta di uno schema ideologico: sempre più sussidi per sostenere lavoro a basso costo. Il problema è che cambiare strada implicherebbe un braccio di ferro con Bruxelles, che a sua volta ha in mano la spada dalla parte del manico nella trattativa sul Patto di stabilità. Spendere 27 miliardi per il Reddito di cittadinanza nei prossimi tre anni rende il taglio del cuneo fiscale più sottile. Lo stesso vale per la futura flat tax o semplicemente la scelta intermedia di rimodulare le aliquote. E l’elenco dei tagli pro impresa, drenato dalle altre voci, potrebbe andare avanti a lungo.
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