2021-04-20
«Non aspettiamo miracoli dai vaccini. La normalità sarà una nostra scelta»
Il giurista abruzzese Natalino Irti: «La serenità è una conquista interiore, non verrà dall'esterno. La pandemia ha destato le coscienze, obbligandoci a decidere se obbedire o meno alle norme. Ma il fluire di decreti genera anarchia»Natalino Irti, professore emerito e accademico dei Lincei, è tra i più eminenti giuristi e filosofi del diritto. Da poco, è uscita la sua ultima fatica, Viaggio tra gli obbedienti (La Nave di Teseo). Un libro «arioso», come lo chiama lui, scritto in «un casale contadinesco in terra d'Abruzzi», durante il primo lockdown, per indagare l'eterno quesito politico: perché obbedire alle leggi? Professore, si deve obbedire anche se le leggi sono ingiuste?«La valutazione di ingiustizia solleva nel destinatario l'alternativa dell'obbedire o disobbedire. Si può invocare una legge superiore, emanata dagli Dei, eterna, e perciò - come Antigone - rifiutare obbedienza; o invece sentire il vincolo della coerenza e obbedire. La figura di Socrate appartiene a questa ultima scelta».Esistono criteri oggettivi per sostenere questa decisione? «Si consuma tutto in interiore homine. È la coscienza il giudice di ultima istanza».In questi mesi, il comportamento degli italiani rispetto alle norme anti Covid è stato sia elogiato, sia deplorato. Si può dire che, a un'obbedienza per paura - del virus e delle sanzioni - sia subentrata una disobbedienza occulta, per reagire a restrizioni percepite come inefficaci o, alla lunga, insopportabili?«Io ho avvertito quest'altra transizione: all'obbedienza per paura, del morbo, della morte, delle sanzioni, è subentrata un'obbedienza per speranza».Cioè?«Guardando al preannuncio delle aperture e del ritorno alla normalità, vi si trova una fervida ragione di obbedienza. Se dovessi lavorare a una seconda edizione del libro, che ho scritto durante la prima clausura del 2020, aggiungerei un capitolo su questo argomento».Ma l'obbedienza per speranza, come quella per paura, non è quella che più si presta agli abusi e alle manipolazioni del potere?«Non vedo governi tirannici, che utilizzino sanzioni, paura o speranza. Vedo dei governi chiamati a confrontarsi con una situazione imprevista: un eminente filosofo torinese, il professor Pietro Rossi, ha parlato di “lotta tra le specie". E, come in tutte le guerre, oggi si alternano sentimenti di paura e di speranza».Lei ha più paura o speranza?«Ho una visione diversa».In che senso?«Credo che la storia, e la vita dell'uomo, riservino tempi sereni e tempi nuvolosi, gioie e dolori. E dunque, anche la pandemia appartiene al nostro corso terreno».Ma noi, per lo più, viviamo di paure. Siamo una società che rifiuta il rischio? Sul Covid, come sugli effetti avversi dei vaccini?«Non possiamo attenderci una protezione del rischio dall'alto. E questo non vale solo per il rischio pandemico. Tutto dipende soltanto da noi. Non può esserci un'attesa inerte, passiva, di una tranquillità che ci sia regalata da altri. La serenità è una conquista di ciascuno di noi».Il ritorno alla normalità dev'essere una scelta individuale?«Certo. Il ritorno alla normalità dell'animo sta nel cammino di ciascun individuo».Non ci sarà un deus ex machina, foss'anche il vaccino?«Non ci sono miracoli nella storia umana. C'è quel che a mano a mano conquistiamo e poi perdiamo, o che prima raggiungiamo e poi ci viene tolto. In un certo senso, la pandemia è stata anche un appello, un risveglio della coscienza e della volontà individuale».Si spieghi.«Le nostre coscienze e le nostre volontà si sono ridestate, dinanzi ad alternative tragiche con cui ci siamo misurati. Non dico che la pandemia sia educativa, però presenta anche questo profilo. Gli individui sono posti di fronte a responsabilità e scelte radicali: come, appunto, obbedire o non obbedire».Viene in mente l'«immane potenza del negativo» di Hegel…«Ma è un negativo che va risolto nella positività di una decisione. L'imperativo, per ciascuno di noi, è proseguire. Le faccio un esempio».Prego.«Come presidente dell'Istituto italiano per gli studi storici, non ho deciso né sospensioni né interruzioni delle attività. Sì, siamo passati dalle lezioni in presenza a quelle a distanza, ma come in una operosa continuità. La pandemia era un ostacolo. Come tale, andava superato».Stiamo facendo anche esperienza di una nuova reciprocità con il prossimo: diffidenza, perché l'altro è un potenziale untore, ma anche responsabilità, nella misura in cui sentiamo il bisogno di proteggerlo da noi stessi.«Da un lato c'è il monito evangelico ad amare il prossimo; dall'altro, ci sono le prescrizioni sul distanziamento. Solo che “prossimità" significa vicinanza».E quindi?«Abbiamo vissuto, e viviamo, un tormento interiore. A ben vedere, quando sono distante, sono anche prossimo, perché salvo l'altro; la tutela si spiega nella reciprocità».Intorno a questi vincoli di solidarietà, si potrebbe ricostruire il senso di comunità, annacquato nell'orizzonte globale, che, scrive lei nel libro, ha reso obsoleto il principio dell'obbedienza «per cittadinanza»? «Questo stare distanti è anche uno stare insieme, appunto. Si può confidare che ne possa nascere un vincolo più profondo. Però non le sfuggirà che le misure anti Covid hanno diviso il nostro Paese in zone cromatiche; e anche la popolazione, in categorie e fasce anagrafiche. È tensione tra unità del destino comune e necessità di distinguere».Il pericolo è, quindi, che si esacerbino le fratture tra giovani e anziani, o tra garantiti e non garantiti?«Voglio sperare, però, che la lotta tra specie non si trasformi, o non si sia già trasformata, in una lotta all'interno della specie umana».Lo Stato nazionale si è preso la rivincita?«Nel libro l'ho scritto: la pandemia restituisce la sovranità agli Stati nazionali. Anziché stringerci insieme in un'unità, ha riprodotto le molteplicità dei singoli Paesi».Un paradosso?«La pandemia è planetaria, ma le risposte sono nazionali. Salvo qualche tentativo, più o meno riuscito, di coordinamento tra Stati».Professore, ma sarebbe filosoficamente lecito disobbedire a una misura anti Covid, se la si considera inefficace o incostituzionale?«Qui emerge un altro dei grandi temi suscitati dalla pandemia».Quale?«Se la vita appartenga soltanto all'individuo o anche alla comunità».Perché?«Se la vita appartiene solo all'individuo, è questi che decide se osservare o meno le misure restrittive, o se vaccinarsi oppure no. Ma se la vita appartiene anche alla comunità, si possono introdurre degli obblighi. E questa non è la prima occasione in cui si rivela il contrasto, che affiora spesso quando si parla di trattamenti sanitari».È un tema che emerge nel dibattito sul fine vita, no?«Ma anche per quei trattamenti sanitari, come le trasfusioni, che alcune confessioni religiose non ammettono».Quanto conta la configurazione formale della norma? Per mesi, è stata contestata la legittimità dei dpcm.«Nel libro, ho descritto il singolare rapporto che sussiste tra occasionalismo normativo e anomia».Dove vuole arrivare?«Semplice: un eccesso di norme può determinare assenza di norme».Il balletto infinito dei decreti?«Il fluire quotidiano, ininterrotto, di prescrizioni scientifiche o di decreti governativi. L'individuo si trova smarrito, spaurito. E il risultato è che, se non trova una strada, se la apre per conto proprio. È l'anomia di cui parlava Tucidide, quando descriveva la peste di Atene».Corsi e ricorsi storici?«L'occasionalismo delle norme non è una risposta efficace. Tutto il contrario: l'individuo si trova solo, incapace di orientarsi nel labirinto normativo e, allora, si dà regole da solo».Lei descrive vividamente la «gabbia» dell'«assedio tecnologico». Molti lavoratori l'hanno vissuta: lo smart working è significato anche snaturamento dei rapporti umani e smarrimento del confine tra vita privata e vita professionale. Eppure, persino il presidente della Repubblica ha celebrato la «nuova normalità», fondata su tale impulso tecnologico.«Da anni, gli studiosi di diritto del lavoro vanno segnalando la crisi della subordinazione».Cosa sarebbe?«Il lavoratore è ormai provvisto di una competenza tecnica tale, che il suo lavoro non è più mera obbedienza agli ordini dell'imprenditore».Quindi?«La questione è: l'apparato tecnico-produttivo richiede obbedienza come un atto della coscienza individuale, o funziona da sé?».E qual è la risposta?«La logica del sistema esige il funzionamento. La tua volontà di lavoratore non conta. Ecco perché il libro si conclude nell'elogio dell'obbedienza come virtù aristocratica, che si esercita rispetto a singoli comandi, e non all'interno del sistema produttivo. Il lavoratore, nel sistema, applica la propria competenza tecnica, ma non esercita atti di obbedienza in senso alto e nobile. Il soggetto, nell'apparato, funziona, non obbedisce».E nemmeno è libero, allora, no?«Questo non so. Forse, nell'apparato ci sono delle felicità nascoste o delle certezze appaganti…».
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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