2019-09-06
No, stavolta Mattarella non c’entra
Il Quirinale poteva rimandare «Giuseppi» al Parlamento, ma cosa sarebbe cambiato? Detesto i trasformismi, ma stavolta il capo dello Stato ha fatto il notaio della crisi.L'incarico concesso per la seconda volta a Giuseppe Conte si basa su anomalie procedurali Il presidente della Repubblica avrebbe dovuto rinviare il premier alle Camere.Lo speciale comprende due articoli. Caro Carlo, dai retta a me, che di presidenti della Repubblica me ne intendo: Mattarella non è quello stupratore della Costituzione che tu descrivi. Credimi. Nel passato ho misurato la perfidia e l'ipocrisia di un baciapile come Oscar Luigi Scalfaro, per aver criticato il quale e averne descritto le manovre anticostituzionali venni licenziato quand'ero direttore de il Tempo. Più tardi, per aver preso per i fondelli quel campione di democrazia che risponde al nome di Giorgio Napolitano, invece venni indagato per ben due volte, con l'accusa di vilipendio al capo dello Stato: la prima inchiesta non ottenne il via libera del Guardasigilli, la seconda invece fu fermata dal giudice per le indagini preliminari, che confermò il diritto di critica sancito dalla Costituzione e non quello – incostituzionale – di Re Giorgio I, imperatore del Quirinale.Dunque, premesso che per giudicare gli inquilini del Quirinale credo di avere titolo, ti spiego perché la tua tesi non mi convince. Quando il capo della Lega ha aperto la crisi e ha indotto Giuseppe Conte alle dimissioni, Mattarella che poteva fare se non prendere atto che un esecutivo era caduto e una maggioranza si era squagliata? Dopo di che, com'è nella prassi della Repubblica da oltre 70 anni, è iniziato il rito delle consultazioni, con gli ex presidenti e i presidenti e il balletto di delegazioni che si porta dietro. Fosse stato chiaro che nessun accordo politico per dare vita a un nuovo governo era possibile, il presidente aveva l'obbligo di prenderne atto e dichiarare chiusa la legislatura, sciogliendo le Camere. Ma all'appuntamento sul Colle i leader del Movimento 5 stelle e del Pd si sono fatti precedere da dichiarazioni che lasciavano presagire un accordo e per di più sul nome del presidente appena giubilato da Salvini. Che doveva fare il capo dello Stato? Per quando fosse ripugnante l'accoppiamento fra due partiti che fino a ieri si detestavano e che ora, per paura delle elezioni, erano costretti ad abbracciarsi, Mattarella ha dovuto dare loro il tempo necessario affinché procedessero all'imbarazzante alleanza. Lo so, il nuovo esecutivo fa schifo e più ancora fanno schifo tutti quelli che fino a ieri giuravano che mai vi avrebbero partecipato e dato il voto. Ma la politica, più che l'arte del possibile, è l'arte della menzogna e del mercimonio e, all'ombra della Costituzione, 5 stelle e Pd vi si sono applicati con spregiudicatezza. Certo, Mattarella avrebbe potuto rispedire alle Camere Giuseppe Conte e farlo sfiduciare da un voto parlamentare. Ma che sarebbe cambiato se poi i partiti dell'inciucio gli avessero ripresentato lo stesso nome? E poi, che sarebbe accaduto se a votare a favore del governo fosse stato il Pd al posto della Lega? Purtroppo, non essendoci vincolo di mandato, i parlamentari sono banderuole e premono il pulsante là dove gli conviene. Ricordi quando Gianfranco Fini cercò di disarcionare Silvio Berlusconi? Un intero partito, Futuro e Libertà, passò all'opposizione, ma il suo posto venne rimpiazzato dai Responsabili, con il risultato che il governo rimase in piedi, senza che Napolitano – che pure destava il Cavaliere – lo potesse mandare a casa. Sì, certo, il capo dello Stato può sciogliere le Camere e anche una di esse. Ma se non c'è una maggioranza, non se non gli piace la maggioranza. Mattarella può gradire o no il Conte bis (e probabilmente gradisce), ma non tocca lui decidere se rispedirlo al mittente oppure no.Credimi Carlo: detesto quanto te i voltagabbana e i trasformisti e in questo governo ce n'è una certa dose. Detesto anche un certo tartufismo quirinalizio, che non a caso ho più volte criticato. Però questa volta, pur auspicando che il governo caschi in fretta e che domani, al posto di Mattarella, non salga un altro cattocomunista ma un presidente che rappresenti quell'Italia moderata che da anni non ha un interprete al Quirinale, ti devo dire che non posso mettere il capo dello Stato sul banco degli imputati. Non solo perché ci finirei io, ma perché almeno per una volta il presidente mi pare aver fatto il mestiere che la Costituzione gli assegna: ovvero il notaio della crisi. Maurizio Belpietro<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/no-stavolta-mattarella-non-centra-2640216780.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-colle-ha-forzato-la-costituzione" data-post-id="2640216780" data-published-at="1758153192" data-use-pagination="False"> Il Colle ha forzato la Costituzione Bisognerà pur dirlo: il Conte bis nasce dallo stupro della Costituzione. Il nostro presidente della Repubblica stavolta non ha dato prova di equilibrio costituzionale. Purtroppo il decennio di Giorgio Napolitano ha stratificato una prassi che fa del Quirinale non il garante, ma la regia delle istituzioni ispirandosi in ciò a un regime oligarchico. Premesso che la Costituzione nulla dice né sulle dimissioni né sulla formazione del governo medesimo (le consultazioni e le prassi consolidate) bisogna domandarsi se Mattarella non abbia forzato le sue prerogative. Conte si è dimesso non a seguito di un voto di sfiducia delle Camere (l'unica fattispecie prevista dalla Costituzione per la caduta del governo ex articolo 94), ma per atto volontario. Vi è un principio generale di diritto pubblico secondo cui le dimissioni sono sottoposte ad accettazione dell'organo a cui vanno pronunciate. Se ne ricava dunque che Mattarella avrebbe dovuto rinviare alle Camere Giuseppe Conte per veder dichiarata la sfiducia al suo gabinetto. Solo le Camere a rigore di Costituzione possono determinare le dimissioni del governo sfiduciandolo. E nel caso in cui Conte fosse andato alla Camera e non fosse stato sfiduciato dalla Lega bensì dai pentastellati si sarebbe potuta oggi porre la sua seconda nomina a presidente del Consiglio? Seconda questione. Sergio Mattarella ha ritenuto di reincaricare Giuseppe Conte prendendo atto di un mutamento di orientamento politico e ponendolo a capo di una coalizione di segno opposto rispetto a quella precedente. Il presidente della Repubblica così facendo ha in parte dribblato il dettato costituzionale. Al comma primo dell'articolo 95 dalla Carta si legge: «Il presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del governo e ne è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri.» Giuseppe Conte non può dunque chiamarsi fuori da nessun atto del cosiddetto governo gialloblù. Da qui nasce l'opportunità cogente per il presidente della Repubblica di rinviare alla Camere Conte perché egli non può autosfiduciarsi. È solo nella prospettiva di evitare comunque un ricorso alle urne che si può spiegare il mancato rinvio. Peraltro la Costituzione nulla dice sulla necessità che si debba accertare se esiste una diversa maggioranza politica in Parlamento prima di sciogliere le assemblee elettive. A maggior ragione se Giuseppe Conte è responsabile di tutti gli atti compiuti dal suo governo come può egli medesimo ricercarsi una diversa maggioranza in Parlamento e per di più con la benedizione di Mattarella? E veniamo al terzo e più significativo aspetto. La Costituzione riconosce in questo ambito al capo dello Stato una sola prerogativa sancita dal primo comma dell'articolo 88: «Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse». Dunque l'unica potestà che ha Mattarella dopo aver rinviato alle Camere il governo e nell'ipotesi di sfiducia è quella di ricorrere alle urne. Si è detto da molti commentatori che però essendo la nostra una Repubblica parlamentare devono le Camere risolvere le crisi. Ma in questi giorni siamo in presenza non di atti parlamentari bensì di una gestione privatistica della crisi. Lo dimostra, con gravissima ferita al sistema democratico, il fatto di aver accettato che la nascita del nuovo governo fosse subordinata a una votazione esercitata dallo 0,2 per cento del corpo elettorale. Il voto sulla piattaforma Rousseau non è assolutamente assimilabile alla deliberazione degli appartenenti a un partito perché la Costituzione all'articolo 49 stabilisce: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». È fuori di dubbio che la piattaforma Rousseau per quanto riconducibile al Movimento 5 stelle non sia un partito. Tutto ciò si spiega solo con la necessità di rendere possibile lo schema Ursula sancendo che l'Italia è un Paese eterodiretto. Succede, quando si stupra la Costituzione.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)