
A poche ore dalla scadenza dell’ultimatum, la coalizione Ecowas guidata da Lagos pianifica l’intervento e incassa «fermo sostegno» dalla Francia . Algeria e Ciad frenano: «Fare di tutto per soluzione pacifica».Ieri, il presidente nigeriano Bola Ahmed Tinubu ha informato il Senato che in seguito al colpo di Stato in Niger che ha rimosso l’amministrazione democraticamente eletta di Mohamed Bazoum la Nigeria sta valutando l’intervento militare per ristabilire l’ordine, oltre ad una serie di altre sanzioni. La comunicazione arriva dopo che nel corso della riunione dei capi di stato maggiore della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) ad Abuja, in Nigeria, il Paese che attualmente lo presiede, «sono stati definiti i contorni di un possibile intervento militare contro la giunta nigerina», come detto alla stampa da un funzionario dell’Ecowas. A questo proposito il commissario per gli affari politici e la sicurezza dell’Ecowas, Abdel-Fatau Musah, ha dichiarato che «tutti gli elementi di un possibile intervento sono stati elaborati in questa riunione, comprese le risorse necessarie, ma anche come e quando dispiegheremo la forza». Poi Musah ha aggiunto: «Vogliamo che la diplomazia funzioni e vogliamo che sia chiaro ai golpisti il messaggio che stiamo dando loro tutte le opportunità di fare marcia indietro». E qui occorre ricordare che l’ultimatum dato ai golpisti scadrà lunedì 7 agosto. Il Ciad, che rimane la principale potenza militare nel G5 Sahel (che comprende anche Mauritania, Mali, Burkina Faso e Niger) e che non è membro dell’Ecowas, ha ribadito che non parteciperà ad alcun intervento. Daoud Yaya Brahim, ministro della Difesa del Ciad che confina con Libia, Sudan, Camerun, Nigeria, Niger, Repubblica Centrafricana, ha dichiarato che «il Ciad non interverrà mai militarmente. Abbiamo sempre sostenuto il dialogo. Il Ciad è un facilitatore». Anche l’Algeria si è detta contraria a un intervento miliare in Niger e lo ha detto il ministro degli Esteri algerino Ahmed Attaf che ha ricevuto l’inviato speciale del presidente della Nigeria. Il ministro algerino ha parlato della necessità di attivare tutte le vie e tutti i canali diplomatici e pacifici «per evitare la scelta di ricorrere alla forza, che non farebbe altro che aggravare la situazione del Niger e dell’intera regione. L’Algeria respinge il golpe militare contro il presidente legittimamente eletto e ne chiede il ritorno alla carica costituzionale». L’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Sicurezza, Josep Borrell, ha parlato telefonicamente con Attaf e lo ha annunciato su Twitter lo stesso Borrell: «Telefonata importante sul Niger con Ahmed Attaf. Condividiamo la preoccupazione e la volontà di evitare un’escalation che avrebbe gravi conseguenze per una regione già fragile. Sosteniamo l’Ecowas e chiediamo un ritorno immediato all’ordine costituzionale». E la giunta militare che ha preso il potere a Niamey lo scorso 26 luglio? Secondo le nostre fonti in Niger il generale Abdourahamane Tchiani, capo dei golpisti, non risponde da giovedì scorso alle richieste della comunità internazionale così come non ha voluto incontrare o sentire telefonicamente i membri dell’Ecowas. Secondo Wassim Nasr, giornalista e ricercatore senior presso il Soufan Center che ha parlato all’Associated Press, la nuova giunta militare del Niger avrebbe chiesto aiuto ai mercenari della compagnia militare privata Wagner in vista della scadenza dell’ultimatum. La richiesta di aiuto alla Wagner sarebbe arrivata durante una visita di uno dei leader del golpe, il generale Salifou Mody, nel vicino Mali, dove avrebbe preso contatto con alcuni esponenti del gruppo di proprietà di Yevgeny Prigozhin. L’incontro sarebbe stato confermato da tre fonti maliane e da un diplomatico francese, secondo France 24. «Hanno bisogno della Wagner perché potrebbe assicurare loro il mantenimento del potere», ha affermato Nasr, aggiungendo che «il gruppo starebbe valutando la richiesta». Però bisogna fare molta attenzione perché un conto è valutare e un altro è entrare in Niger dove ci sono 2.900 militari tra i quali 1.600 soldati francesi, un migliaio di americani, 350 italiani e un centinaio di tedeschi che ad oggi non hanno certo ricevuto l’ordine di smobilitare. Ieri ha parlato a France Info e con toni risoluti il ministro degli Esteri francese Catehrine Colonna che ha dichiarato: «I golpisti in Niger hanno tempo fino a domani per concludere la loro avventura e farebbero bene a prendere molto sul serio la minaccia di un intervento militare da parte di una forza regionale. I colpi di Stato non sono più accettabili. È ora di farla finita». Ma in caso di intervento armato la Francia cosa farebbe? «Non ci siamo ancora» ha risposto Catehrine Colonna che ha però ribadito che la partenza dei soldati francesi già presenti in Niger «non è all’ordine del giorno», nonostante le richieste dei golpisti. Poi ha lanciato un messaggio sibillino ai golpisti: «La situazione è tranquilla per quanto riguarda le nostre forze armate ed è importante che rimanga tale», ha avvertito il capo del Quai d’Orsay. Intanto come raccontano i giornali della regione a Niamey, capitale nigerina, si respira un’atmosfera a dir poco surreale a poche ore dalla scadenza dell’ultimatum. All’Agence France-Presse (Afp) alcuni cittadini hanno detto di auspicare la fine della spirale di tensione «per evitare una catastrofe» ma come racconta sempre l’Afp in diverse piazze della capitale operano «le brigate di vigilanza» istituite per decreto giovedì scorso «per monitorare la minaccia esterna». Nel decreto letto in diretta televisiva, la giunta golpista ha invitato «il popolo nigerino a essere vigile nei confronti di spie e forze armate straniere» e ha chiesto di «trasmettere alle autorità qualsiasi informazione relativa all’ingresso o al movimento di individui sospetti».
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Oggi, a partire dalle 10.30, l’hotel Gallia di Milano ospiterà l’evento organizzato da La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Una giornata di confronto che si potrà seguire anche in diretta streaming sul sito e sui canali social del giornale.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Il conservatore americano era aperto al dialogo con i progressisti, anche se sapeva che «per quelli come noi non ci sono spazi sicuri». La sua condanna a morte: si batteva contro ideologia woke, politicamente corretto, aborto e follie del gender.
Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?
Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)
Piergiorgio Odifreddi frigna. Su Repubblica, giornale con cui collabora, il matematico e saggista spiega che lui non possiede pistole o fucili ed è contrario all’uso delle armi. Dopo aver detto durante una trasmissione tv che «sparare a Martin Luther King e sparare a un esponente Maga» come Charlie Kirk «non è la stessa cosa», parole che hanno giustamente fatto indignare il premier Giorgia Meloni («Vorrei chiedere a questo illustre professore se intende dire che ci sono persone a cui è legittimo sparare»), Odifreddi prova a metterci una pezza.