
A Torino, il centrodestra chiede di fermare il progetto, ideato dall'università e sostenuto dal Comune: dietro l'eliminazione degli «stereotipi» spesso si nasconde il tentativo di destrutturare l'identità dei piccoli.Non si placa la polemica per il progetto del cosiddetto «asilo gender», che sarà realizzato per i figli dei dipendenti dell'università di Torino e gestito dagli studenti di scienze della formazione, i quali avranno modo di sperimentare nuovi metodi educativi tesi alla educazione alle differenze e alla destrutturazione degli stereotipi. Insomma, stando alle indiscrezioni trapelate in questi giorni, in classe non ci saranno grembiulini rosa e azzurri o giocattoli con rigide suddivisioni dei ruoli sessuali. Al momento non è chiaro quali attività saranno proposte ai bambini ma qualche idea uno può farsela leggendo la presentazione fatta dal collettivo Studenti indipendenti, che ha proposto l'iniziativa ai vertici dell'ateneo: «Saranno infatti coinvolte associazioni […] che mirano a un'educazione basata sui valori della cura dell'ambiente, sul rispetto dell'altro, sulla decostruzione degli stereotipi e sulla partecipazione attiva».Se si escludono i singoli progetti di letture, lezioni e spettacoli gender portati in ogni scuola di ordine e grado tramite storie che presentano bimbi con due mamme e due papà o adolescenti che si sentono maschi e femmine a seconda delle giornate (come la pièce teatrale Fa'Afafine), si tratta del primo esperimento italiano che prevede un percorso prescolastico totalmente impostato sulla destrutturazione di quelli che certa cultura chiama stereotipi, ma che in realtà sono le differenze antropologiche e biologiche che presenta qualsiasi bambino nelle fascia di età dai 0 ai 3 anni. Insomma, visti i presupposti la vicenda è diventata subito un caso nazionale, con l'intervento di diversi esponenti politici del centrodestra convinti si tratti dell'ennesimo tentativo di colonizzazione ideologica ai danni del primato educativo del genitori. Il segretario della Lega, Matteo Salvini ha scritto su Facebook: «A Torino nasce il primo progetto di scuola dell'infanzia senza bambina e bambino. Niente grembiuli azzurri o rosa. Niente giochi maschili o femminili. Ma vi pare normale? Non è questo il futuro che ho in mente per i nostri figli. No al lavaggio del cervello, viva le differenze, viva i bambini e le bambine!».Sulla stessa linea il capogruppo della Lega al consiglio comunale di Torino, Fabrizio Ricca, che ha parlato di «lavaggio del cervello» da parte di «manovratori di menti che negano la libertà a chi non la pensa come loro, con un obiettivo: lavorare fin da piccoli all'annullamento delle differenze sessuali maschio-femmina». L'esponente del Carroccio in Sala rossa ha presentato un'interpellanza per chiarire il ruolo del Comune in questo progetto. È emerso infatti che l'amministrazione del capoluogo piemontese dovrebbe offrire gli spazi per la realizzazione dell'asilo nido dell'università. La giunta di Chiara Appendino dovrà dare una risposta agli interrogativi avanzati dalla Lega entro lunedì prossimo, in particolare dovrà chiarire «se condivide la natura del progetto», come la città «è coinvolta e in quale modo», «se lo ritengono un modo educativo adeguato» e «se hanno predisposto interventi per evitare lo snaturamento della differenza uomo-donna».Nel frattempo l'attenzione resta alta. Sabato scorso si è tenuto un flash mob davanti all'ingresso del campus Einaudi, organizzato dal movimento giovanile di Forza Italia e dal Popolo della famiglia. Alla manifestazione era presente anche la senatrice azzurra Maria Rizzotti. Dunque, mentre a Roma si lavora per un complicato accordo di governo a Torino va in scena uno scontro che vede i 5 Stelle schierarsi senza se e senza ma dalla parte dell'ateneo. «Mentre c'è chi, come l'università, lavora per innovare e progredire, ci sono forze politiche che non perdono occasione per dimostrare l'arretratezza e l'inadeguatezza delle proprie idee», attacca il gruppo consigliare del Movimento 5 stelle rispondendo su Facebook. Resta il fatto che per ora nessuno conosce il programma delle attività che saranno proposte ai bambini del nido. In altre parole, come si tradurrà tutto questo nel concreto? Al momento possiamo basarci sul fatto che i più accaniti sostenitori della cosiddetta «educazione alle differenze» il più delle volte sono quelli che, paradossalmente, hanno messo a punto progetti che hanno eliminato qualsiasi differenza, realizzando un contesto educativo e culturale asessuato, privo di culture, di etnie, di identità, di ruoli e gerarchie.Qualcosa del genere è stata già percorsa nei Paesi del Nord Europa. Il primato spetta alla Svezia, dove l'utopia del neutro si è spinta sulle sperimentazioni più estreme con alcuni asili e scuole che apostrofano i piccoli con il pronome neutro «hen» usato nei circoli femministi. Divieto assoluto, invece, per maestre e inservienti di appellarsi ai bimbi usando il pronome «lei» o «lui». Alla base del progetto sta, neanche a dirlo, la lotta alla discriminazione sessuale. Peccato che i risultati non siano quelli sperati: secondo un rapporto dell'Unodc (United nation office on drug and crime) nel 2015 la Svezia era il primo Paese europeo per numero di stupri, con 64,10 violenze sessuali ogni 100.000 abitanti, e il quinto Paese al mondo dietro Lesotho, Botswana, Saint Vincent e Grenadines e Swaziland. Quello che si chiedono tutti in Svezia è se questi progetti invece di sradicare tendenze sessiste hanno solo alimentato rabbia e frustrazione. L'Italia dal canto suo potrebbe evitare di ripercorrere gli errori di popoli che in fatto di stabilità emotiva e rispetto delle donne hanno poco da insegnare.
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Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.