2019-02-22
New York si inventa il nuovo razzismo. Niente più commenti sui capelli dei neri
Nella Grande Mela, l'ultima follia politicamente corretta: multe fino a 250.000 dollari per chi «discrimina» le pettinature afro. Lanciato sui social l'hashtag #YourHairYourRight.Sono i capelli la nuova frontiera del politicamente corretto. E come era già accaduto con molte delle precedenti tappe della trionfale marcia del «diritto-capriccio»¸ l'ultima bizzarria viene dalla iper progressista New York. La locale Commissione per i diritti umani l'ha stabilito pochi giorni fa, lanciando sui social l'hashtag #YourHairYourRight: prendere di mira le persone «sulla base della loro pettinatura, sul luogo di lavoro, a scuola o in luoghi pubblici, sarà d'ora in poi considerato discriminazione razziale». E chiunque oserà macchiarsi dell'ennesimo psicoreato introdotto nella Grande Mela, sarà passibile di multe fino a 250.000 dollari. Anche se la severissima pena suona un po' curiosa: le linee guida della Commissione per i diritti umani, infatti, non sono state ancora recepite dal Consiglio comunale né dalle corti di giustizia. Insomma, hanno più o meno il valore del regolamento di un club di scacchi. Eppure, il suddetto organo potrà richiedere dei cambiamenti di policy a enti private e strutture che non si piegano al «capellosamente corretto». Al giorno d'oggi, per sanzionare i comportamenti razzisti, non serve alcuna legittimazione politica o giuridica. E alcuni commentatori hanno già coniato la nuova, odiosissima fattispecie: hairassment, un neologismo giocato sull'assonanza con il termine «molestia» (harassment, parola diffusissima nell'era del Me too) e sull'equivalente di «capelli», hair. A questo punto potreste dire: va bene che i liberal ci hanno abituato a tutto, va bene che alla fantasia non c'è mai fine, ma perché mai il razzismo, che pure a sinistra vedono ovunque, dovrebbe passare per i capelli? Semplice. La «pettinatura», cui si riferisce il regolamento del Consiglio per i diritti umani, non è una pettinatura qualsiasi. È quella tipica degli afroamericani: le famose treccine (o dreadlock), i nodi bantu, i rasta. In sostanza, il pretesto è innovativo: le acconciature. La solfa, tuttavia, è sempre la solita: poveri neri perseguitati, serve una nuova legge per proteggerli dai loro aguzzini. Secondo il New York Times, la decisione sarebbe stata presa in seguito alle lamentele di alcuni lavoratori dell'Upper east side e del Bronx, quartiere ad alta densità di afroamericani, che hanno denunciato presunte discriminazioni patite per via delle loro pettinature. E, anche se il Comune non si è ancora espresso ufficialmente, sicuramente avrà gongolato il sindaco democratico, Bill de Blasio, già bandiera del gay pride e dell'accoglienza degli immigrati. Il primo cittadino italoamericano, infatti, ha sposato una donna nera, dalla quale ha avuto due figli, entrambi di colore: il maschio porta un casco di capelli neri cotonati, la femmina ama spesso presentarsi in pubblico con le classiche treccine. Nessuno potrà permettersi di provocarli: «Pettinatevi come Cristo comanda». Sarebbe discriminazione razziale e, probabilmente, un attacco da fondamentalista cristiano.Guai, dunque, se un professore oserà riprendere un alunno per via dell'acconciatura troppo stravagante: sono finiti i tempi dei ragazzi con il caschetto e delle ragazze con i capelli legati. Guai se il gestore di un negozio chiedesse al proprio dipendente di presentarsi al lavoro con un taglio meno vistoso, per evitare effetti indesiderati sui clienti più diffidenti. Guai a una discoteca che pensasse di escludere un cliente per come porta i capelli. Si può imporre la camicia, ma non la chioma allisciata. Sì al dress code, no all'hair code. Eccola, la parolina magica: discriminazione razziale.Ora, è vero che il provvedimento della Commissione per i diritti umani di New York riguarda, sulla carta, tutte le razze e tutte le culture. Però, come hanno riconosciuto praticamente tutti i media americani, le linee guida sono state congegnate soprattutto tenendo a mente le capigliature afro. Vietato vietarle. Ma che ne sarà di un povero e reietto punk, che a causa della sua aggressiva cresta variopinta (la quale dovrebbe rimanere un suo diritto, come recita l'hashtag newyorkese), non riesce a trovare un datore di lavoro dalle vedute abbastanza larghe per assumerlo? Se ha i capelli verdi ma la pelle bianca, troverà scudo nella misura appena approvata a New York? Se sì, i cittadini finiranno con il ritrovarsi insegnanti d'asilo conciati da metallari e impiegati di banca con i rasta? Potranno, almeno, cambiare scuola e filiale, se non garbasse loro il look dei dipendenti? O sarà anche quella discriminazione razziale? Ancora peggio, c'è il caso limite. Ipotetico, ma possibile. La situazione su cui si arrovellerebbero giuristi e campioni dei diritti umani, nel tentativo di districarsi nella matassa trasudante tolleranza ed egualitarismo. Un parrucchiere alla moda cerca modelli per acconciature. Si presenta un nero pelato: «Buongiorno, sono qui per il suo annuncio di lavoro». «Scusi, ma lei non ha i capelli». «Mi sta forse discriminando? Guardi che io la denuncio alla Commissione per i diritti umani…».