2020-06-14
Nessuna trasparenza e troppi ritardi: la cassa integrazione manda in tilt Tridico
In 400.000 li aspettano, ma il sito Inps non monitora l'erogazione dei sussidi. E il governo pasticcia sul buco di due mesi nella Cig.Pensioni: quota contributiva ridotta e indicizzazione nulla a causa del rovinoso crollo del Pil.Lo speciale contiene due articoli.Ancora una volta il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, raccoglie l'unanimità: dei dissensi, però, nel senso che, tra promesse senza riscontro, questioni di trasparenza e pasticci procedurali, imprenditori e lavoratori sono tutti infuriati.Si ricorderà che meno di una settimana fa, intervistato da Repubblica, Tridico non aveva trovato nulla di meglio da fare che insultare le imprese, tacciate di «pigrizia e opportunismo»: «Stiamo sovvenzionando con la Cig anche aziende che potrebbero ripartire, magari al 50%, e grazie agli aiuti di Stato preferiscono non farlo […]. Per pigrizia, per opportunismo, magari sperando che passi la piena e il mercato riparta come prima». E ancora: «In alcuni settori ci possono anche essere imprenditori che non affrontano le difficoltà della riapertura “tanto c'è lo Stato" che paga l'80% della busta paga. Adesso basta scrivere “Covid" e noi paghiamo, senza controlli, senza burocrazia, senza sindacati». Un'autentica provocazione: l'ente simbolo di caos e inefficienza, tra crash dei siti e ritardo nelle prestazioni, che si permette di accusare le aziende. Quindi c'è un imprenditore che già è in difficoltà, che non ha avuto sostegni veri (se non la lotteria dei 600 euro), non otterrà se non spiccioli a fondo perduto (appena il 20% della differenza tra il fatturato di aprile 2020 e quello di aprile 2019), è stato preso in giro con i presunti prestiti garantiti dallo Stato, si è comunque fatto carico della sorte dei suoi dipendenti, e - alla fine della fiera - viene pure svillaneggiato da Tridico. Con due ulteriori beffe: il fatto che, per ammissione della stessa Inps, ci siano ancora più di 400.000 domande (qualcuno fa stime ancora superiori) in attesa di essere liquidate, e il fatto che, in oltre la metà dei casi, siano state proprio le imprese ad anticipare le prestazioni a lavoratori che altrimenti non avrebbero visto un euro. Reduce da questa clamorosa gaffe, il 10 giugno Tridico ha solennemente promesso l'effettuazione dei pagamenti: «Entro questa settimana sono sicuro che azzereremo tutto». Siamo a domenica, la settimana è - di tutta evidenza - conclusa, ma dei pagamenti non si ha notizia né conferma. Semmai, ogni giorno giungono testimonianze di situazioni tuttora bloccate. E qui scatta un problema anche di trasparenza poiché, a meno di nostri errori e omissioni, anche sul sito Inps non è rintracciabile la situazione in tempo reale dei conguagli e dello smaltimento degli arretrati, cioè di quanti e quali siano i casi in cui l'impresa ha effettivamente anticipato ed è stata poi - come si dice in gergo - «conguagliata». A tutto ciò (e su quest'ultimo punto la responsabilità è tutta politica, e quindi riguarda non Tridico, ma il governo e la maggioranza), permane un pasticcio normativo che l'esecutivo annuncia di voler affrontare, ma la toppa che Nunzia Catalfo e Roberto Gualtieri si preparano a cucire lascerà un buco ancora ben visibile. Di che si tratta? L'altra sera, in una nota congiunta, i titolari dei due ministeri hanno rispolverato un grande classico giallorosso, il gerundio combinato con il futuro: «Il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e il ministero dell'Economia e delle Finanze stanno redigendo un decreto legge, che sarà all'ordine del giorno di un prossimo Consiglio dei ministri, che permetterà alle aziende che hanno esaurito le 14 settimane di cassa integrazione previste dai decreti finora approvati dal governo di anticipare le ulteriori 4 settimane previste. Ciò permetterà di garantire ai lavoratori la continuità del sostegno al reddito. In questo modo, accompagniamo la ripartenza delle imprese più colpite dall'emergenza epidemiologica tutelando i loro dipendenti».Occorre fare un passo indietro. Esistono aziende che stanno per esaurire le settimane di cassa integrazione, e che dunque, scadendo i tempi, sarebbero costrette a reintegrare i lavoratori, a maggior ragione esistendo fino a metà agosto il divieto di licenziamento. Si ricorderà che la normativa prevede 14 settimane (9 più 5) di cassa integrazione, più altre 4 per la cui domanda occorre però aspettare settembre. Morale: chi ha iniziato la cassa da tempo sta per esaurire le prime 14 settimane, e non può certo permettersi di attendere settembre. Da parte loro, i sindacati insistono affinché gli ammortizzatori abbiano copertura economica fino a fine anno, vista la situazione economica tutt'altro che rosea. E il governo che fa? Secondo il comunicato della Catalfo e di Gualtieri, si limita a permettere di anticipare a subito le ulteriori 4 settimane teoricamente previste a settembre. Ma ognuno capisce che è la stessa coperta corta: la si sposta un po' più in su o più in giù, ma qualcosa resterà fatalmente scoperto. E la fine dell'estate - tra esaurimento degli ammortizzatori, fine dello stop ai licenziamenti, e massacro fiscale del 16 settembre, quando occorrerà pagare tutte le tasse rinviate da marzo - rischia di portare con sé uno tsunami di licenziamenti e fallimenti.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/nessuna-trasparenza-e-troppi-ritardi-la-cassa-integrazione-manda-in-tilt-tridico-2646172300.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="a-gennaio-2021-scatta-la-tagliola-sulle-pensioni" data-post-id="2646172300" data-published-at="1592099241" data-use-pagination="False"> A gennaio 2021 scatta la tagliola sulle pensioni Chi andrà in pensione nel 2021 riceverà un assegno più leggero del previsto. Lo ha stabilito un decreto del primo giugno scorso relativo alla revisione triennale dei coefficienti di trasformazione della quota contributiva. Il decreto è stato pubblicato giovedì scorso in Gazzetta ufficiale. Fino ad ora, i coefficienti di trasformazione del montante contributivo erano compresi tra il 4,20% per chi lasciava il lavoro a 57 anni di età e il 6,513% per chi andava in pensione a 71 anni. Tali percentuali ora si riducono, rispettivamente, al 4,186% e al 6,466%. Il taglio delle quote contributive oscilla dunque tra uno 0,33% per chi ha circa 57 anni di età e uno 0,4767% per chi di anni ne ha 65, fino a giungere a un taglio dello 0,7216% per chi lascia il lavoro a 71 anni. Pallottoliere alla mano, un'impiegata statale che si ritira a 67 anni, con meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 e un montante contributivo di 681.000 euro percepirà un assegno complessivo di 63.700 euro e non più di 64.000, cioè 300 euro in meno di pensione. La situazione migliora nel caso cui siano stati accumulati almeno 18 anni di contributi entro la fine del 1995. In questo caso la quota contributiva viene calcolata dal primo gennaio 2012 e, prendendo a esempio un montante contributivo di 100.000 euro, calcolata sulla base di uno stipendio di 30.000 euro annui, la quota C (quella parte di pensione, calcolata secondo il sistema contributivo) scenderà da 5.604 euro l'anno a 5.575. Il taglio, sulla base di questa simulazione, sarebbe di 29 euro lordi. Purtroppo, però, questa non è l'unica notizia spiacevole per chi andrà in pensione a breve. C'è infatti il tema delle pensioni indicizzate al Pil per tutti i lavoratori che hanno iniziato a versare i contributi dal 1996 in poi, cioè solo con il sistema contributivo. La riforma Dini, che ha introdotto il sistema contributivo, prevede infatti i contributi versati si rivalutino con un tasso di capitalizzazione dato dalla crescita media del Pil dei cinque anni precedenti. Il problema è che il coronavirus ci ha messo lo zampino e quest'anno il Pil italiano avrà certamente il segno meno. In parole povere, chi andrà in pensione dal primo gennaio 2022 avrà la rivalutazione contributiva influenzata dal Pil 2020, cioè nulla, visto l'andamento difficoltoso dell'economia nazionale creato dalla pandemia in corso. Attenzione, però: il fatto che la rivalutazione sia nulla non significa che l'assegno previdenziale calerà. Semplicemente, non si apprezzerà. Questo problema si pose anche nel 2015, quando a seguito di un Pil negativo per gli anni 2012, 2013 e 2014, il governo Renzi si trovò a scegliere se applicare pedissequamente la legge dell'8 agosto 1995 o se introdurre un'eccezione a difesa del valore dei contributi versati dai lavoratori. In quell'occasione, con l'introduzione di un decreto legge, venne deciso che il montante in nessun caso potrà essere rivalutato per un coefficiente inferiore a 1.
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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