Un saggio di Tom Nichols, professore di Harvard, afferma che le persone sono «orgogliose di non sapere le cose». Purtroppo la politica non è da meno.
Un saggio di Tom Nichols, professore di Harvard, afferma che le persone sono «orgogliose di non sapere le cose». Purtroppo la politica non è da meno. Qualche tempo fa il mio amico Riccardo Ruggeri menzionò, nel quadro di una delle sue insuperabili analisi politiche, un libro appena uscito in Italia, La conoscenza e i suoi nemici. L'era dell'incompetenza e i rischi per la democrazia (Luiss). Scritto da Tom Nichols (professore all'Università di Harvard, all'Us Naval War College, consigliere politico ai più alti livelli statunitensi) è un saggio sull'arroganza dell'ignoranza e - naturalmente - sui pericoli che ne derivano. Ruggeri ne coglieva spunto per ribadire una tesi che ci divide da quando ho avuto la fortuna di conoscerlo: la dittatura dell'establishment, che tanti danni ha causato al mondo (tutto, Europa e Stati Uniti non fa differenza) volge finalmente alla fine; è arrivato il tempo dei buzzurri, con alla testa il re di essi, The Donald. Saranno loro a rimettere le cose a posto, a ripristinare quello che lui chiama (raramente ho incontrato una sintesi così felice) l'«ascensore sociale», a proteggerci dall'invasione del terzo mondo (quello che il buzzurro Trump -copyright Ruggeri, anche questo felicissimo - chiama shitholes countries, Paesi di merda), a riportare all'onor del mondo i cittadini e a scacciarne i «consumatori». Che questa tesi ci divida non è proprio esatto: concordiamo sul fatto che tutto stia andando malissimo e che la colpa è -ovviamente - di chi ha governato, dunque dell'establishment. Dove proprio non ci troviamo d'accordo è nell'accordare fiducia ai «buzzurri»: io non riesco a capire come gente che mia madre (professoressa di lettere) chiamava «ciucci e presuntuosi» possa salvare il mondo.Sia come sia, Riccardo Ruggeri non ha valutato favorevolmente il libro di Nichols; ma le sue critiche mi hanno invogliato a leggerlo. L'ho fatto due volte e ne sono uscito annichilito. La situazione non è solo uguale a quella che io sostengo da tempo e che mi contrappone all'amico Riccardo; è molto peggiore. Tanto peggiore da farmi davvero disperare in una soluzione, quale che sia. E comunque, dopo aver letto e riflettuto, ho trovato davvero difficile aderire al suo ottimismo.Il libro è scritto in uno stile semplice e scorrevole, mi ricorda il testo di diritto penale su cui ho studiato, del professore Francesco Antolisei. Tanto semplice che ti sembra di aver capito tutto subito; poi, alla fine, non ti ricordi nulla e devi rileggere con attenzione; che è quello che ho fatto. Riassumo qui una sintesi del pensiero di Nichols, tralasciando l'analisi di come l'arroganza dell'ignoranza ha potuto prodursi: basterà dire che - come già spiegato da Umberto Eco - la colpa è di Internet («I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli. Prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel»).Nichols comincia con il constatare l'esistenza diffusa di un equivoco. L'uguaglianza tra i cittadini propria di un sistema democratico significa che tutti hanno uguali diritti politici; «uno vale uno», per dirla con gli inventori di questo slogan di successo. Che vuol dire - naturalmente - che ogni voto conta come qualsiasi altro. Ma - spiega Nichols - ciò si è rapidamente trasformato nella convinzione che «avere diritti uguali significhi anche che l'opinione di ciascuno su qualsiasi argomento debba essere accettata alla pari di quella di chiunque altro»; il che comporta la «convinzione irrazionale secondo cui tutti sono altrettanto intelligenti di chiunque altro». Il fenomeno non è strano, a pensarci bene. Secondo Nichols le persone sono «orgogliose di non sapere le cose. Arrivano a considerare l'ignoranza una vera e propria virtù. Rifiutare l'opinione degli esperti significa affermare la propria autonomia, un modo per isolare il proprio ego sempre più fragile e non sentirsi dire che si sta sbagliando qualcosa». E ciò che lo preoccupa «non è tanto il fatto che la gente rifiuti la competenza, ma che lo faccia con una tale rabbia». Difficile arrestare questa involuzione, impossibile curarla. Il professore spiega perché: «Tutti siamo affetti dal bias di conferma, la tendenza naturale ad accettare soltanto prove che confermano ciò che già crediamo. La più grande fonte di conoscenza umana (Internet) dai tempi di Gutenberg (l'inventore della stampa) è diventata tanto una piattaforma per attacchi al sapere consolidato quanto uno strumento per difendersene».Confortato da un «esperto» di tale calibro, ho riproposto a una piccola cerchia di amici (che ho cercato di coinvolgere in questa analisi che mi spaventa, letteralmente) la querelle sulla necessità di somministrare vaccini ai bambini, intervenuta tra il professore Roberto Burioni e la Iena Dino Giarrusso. Avrei dovuto desistere subito, quando è apparso evidente che tutti sapevano chi era Giarrusso ma solo uno conosceva l'impressionante curriculum scientifico del microbiologo, virologo, infettivologo Burioni. Ma non l'ho fatto e ho raccontato la risposta dello scienziato al duello televisivo sui vaccini proposto dalla Iena: «Gentile Giarrusso, se parliamo di vaccini ci sono due possibilità: lei si prende laurea specializzazione e dottorato e ci confrontiamo. Oppure io spiego, lei ascolta e alla fine mi ringrazia perché le ho insegnato qualcosa»: mi hanno (tutti meno quell'uno) caricato di miserie: arrogante, presuntuoso, fastidioso; tutte aggettivazioni puntualmente riscontrate sul web e molti giornali cartacei. Solo quell'uno ha provato a dire che arrogante etc era stato chi nulla sapeva (a dispetto di ciò che credeva di sapere) e che tuttavia pretendeva un confronto con uno scienziato.Dal che emerge ancora una volta quanto il professor Nichols sia stato acuto e preveggente: «Se i cittadini non si preoccupano di acquisire un'alfabetizzazione di base sulle tematiche che influiscono sulla loro vita, rinunciano a esercitare il loro controllo su di esse. E quando gli elettori perdono il controllo di queste importanti decisioni, rischiano il dirottamento della loro democrazia da parte di ignoranti demagoghi o una più lenta e graduale decadenza delle istituzioni democratiche, fino a scivolare in una tecnocrazia autoritaria».Ora, che i cittadini italiani non abbiano nessuna intenzione di alfabetizzarsi mi pare evidente: infatti hanno eletto ignoranti demagoghi (in verità che siano demagoghi lo suppongo; che siano ignoranti emerge dal loro curriculum scolastico e lavorativo). È per questo che penso che l'amico Ruggeri non abbia poi così ragione; e che la «tecnocrazia autoritaria» sia tutto ciò che ci resta.
Il toro iconico di Wall Street a New York (iStock)
Democratici spaccati sul via libera alla ripresa delle attività Usa. E i mercati ringraziano. In evidenza Piazza Affari: + 2,28%.
Il più lungo shutdown della storia americana - oltre 40 giorni - si sta avviando a conclusione. O almeno così sembra. Domenica sera, il Senato statunitense ha approvato, con 60 voti a favore e 40 contrari, una mozione procedurale volta a spianare la strada a un accordo di compromesso che, se confermato, dovrebbe prorogare il finanziamento delle agenzie governative fino al 30 gennaio. A schierarsi con i repubblicani sono stati sette senatori dem e un indipendente affiliato all’Asinello. In base all’intesa, verranno riattivati vari programmi sociali (tra cui l’assistenza alimentare per le persone a basso reddito), saranno bloccati i licenziamenti del personale federale e saranno garantiti gli arretrati ai dipendenti che erano stati lasciati a casa a causa del congelamento delle agenzie governative. Resta tuttavia sul tavolo il nodo dei sussidi previsti ai sensi dell’Obamacare. L’accordo prevede infatti che se ne discuterà a dicembre, ma non garantisce che la loro estensione sarà approvata: un’estensione che, ricordiamolo, era considerata un punto cruciale per gran parte del Partito democratico.
2025-11-10
Indivia belga, l’insalata ideale nei mesi freddi per integrare acqua e fibre e combattere lo stress
iStock
In autunno e in inverno siamo portati (sbagliando) a bere di meno: questa verdura è ottima per idratarsi. E per chi ha l’intestino un po’ pigro è un toccasana.
Si chiama indivia belga, ma ormai potremmo conferirle la cittadinanza italiana onoraria visto che è una delle insalate immancabili nel banco del fresco del supermercato e presente 365 giorni su 365, essendo una verdura a foglie di stagione tutto l’anno. Il nome non è un non senso: è stata coltivata e commercializzata per la prima volta in Belgio, nel XIX secolo, partendo dalla cicoria di Magdeburgo. Per questo motivo è anche chiamata lattuga belga, radicchio belga oppure cicoria di Bruxelles, essendo Bruxelles in Belgio, oltre che cicoria witloof: witloof in fiammingo significa foglia bianca e tale specificazione fa riferimento al colore estremamente chiaro delle sue foglie, un giallino così delicato da sfociare nel bianco, dovuto a un procedimento che si chiama forzatura. Cos’è questa forzatura?
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.
Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.






