
Fino a ieri, per gli Usa, l'Iran è stato alleato funzionale alla lotta contro l'Isis. Ma l'eliminazione dell'alto papavero segna una svolta coincisa con l'avvicinamento strategico alla Turchia. Sterzate tipiche della nuova lotta al terrore: o ci si adegua o si rimane ai margini.Pochi giorni fa, dalle pagine di questo giornale, evidenziavo come l'ingresso militare della Turchia in Libia avrebbe dovuto leggersi nel quadro drammaticamente ampio del conflitto globale in corso. In particolare, sottolineavo l'utilità di fare la propria guerra in casa d'altri e della necessità di rivedere le ormai inutili regole del diritto internazionale in caso di conflitto.Pochi giorni dopo possiamo dire che Libia e Iraq vanno a braccetto. Infatti, Recep Erdogan e Donald Trump hanno scelto di esacerbare la minaccia, alzarla ai massimi livelli giocando bene le loro carte alla faccia di ogni regola, politica o morale, a cui finora si osava fare riferimento: a conferma che non ci sono più regole ma solo opportunità da cogliere.Mentre gli uffici stampa solennemente dichiaravano come i due presidenti avessero condiviso al telefono, subito dopo l'avvallo parlamentare turco all'invio di truppe a Tripoli, «l'importanza della diplomazia nel risolvere le questioni regionali», i due protagonisti si accordavano nella celebrazione del binomio che doveva dinamizzare lo scenario. Non si può pensare che due interventi di questo livello, distanti una manciata d'ore l'uno dall'altro, non siano stati condivisi. Insomma: Turchia e Usa hanno interpretato sulla esclusiva base dell'interesse nazionale, una comune visione militare e una spartizione del Mediterraneo allargato. Le minacce della Turchia alla Libia di Khalifa Haftar e le minacce degli Usa all'Iran degli ayatollah affermano la primazia dei due Paesi Nato ma soprattutto escludono tutto il resto del mondo. Il binomio si è mostrato gettando la palla nel campo avversario che sta preparando la risposta, avendo già la sicurezza che comunque il danno maggiore, conseguente la reazione, non sarà subito dal binomio ma dagli esclusi. Tralascio il gioco delle previsioni del «cosa farà l'Iran?». Mi aspetto, al contrario di molti, che il rischio sia stato calcolato e, al di fuori di una necessaria esasperata minaccia verbale e azione cinetica limitata, non ci sia altra iniziativa nel breve periodo. Diverso è invece lo scenario sul medio-lungo periodo, non solo per la possibile paziente azione più confacente agli ayatollah, ma soprattutto per le implicazioni ampie che l'attivismo turco e americano mostra.La maggior parte delle interpretazioni, infatti, non abbandona i paradigmi abituali per decrittare il conflitto. Io non sostengo che queste interpretazioni siano sbagliate, ma fornisco una visione diversa che parte dalla necessità di cambiare il modo con cui si guarda il mondo. Soprattutto la guerra che, soffrendo della necessità di essere esorcizzata, non viene affrontata con lo spiacevole realismo che permette di combatterla.Dopo l'uccisione di Qasem Soleimani si sottolinea la funzionalità del generale, fino a pochi mesi addietro, quale grande collaboratore nella guerra contro lo Stato Islamico: la sua compagine causò gravi perdite ai tagliagole islamisti e, fino a che ebbe questa funzione, venne più che tollerata dagli americani. Fu l'alleanza, funzionale nel momento specifico in cui determinava vantaggi per tutti i partecipanti, che nella Guerra Ibrida non ha ragione di andare oltre quel momento e quello scenario. Le alleanze non si fanno né in nome dell'amicizia né dell'onore, ma per un patto di reciproca utilità. Che è poi venuta a mancare.Sulla medesima linea «ideologica» si pone il ragionamento di chi insiste sulla legittimità dell'atto contro Soleimani, definito da molti come «terrorismo di Stato», e sul non rispetto delle norme internazionali nella sua esecuzione. Direi che siamo fuori tema. Il terrorismo è frutto di una definizione politica non condivisa ad alcun livello normativo, se non nella forma più generale che la rende oggi impraticabile dal punto di vista operativo: è inutile per gestire le cose. Non solo: il terrorismo è una forma di conflitto legittima della «guerra ibrida», che dobbiamo imparare a riconoscere nella sua specificità e, se non nella sua legittimità morale, nella sua praticabilità sul campo. In questo contesto, un atto di terrorismo non è valutato sul piano etico ma rispetto allo schema di norme accettato fino a prima di compierlo. E ancora, non solo: le norme, soprattutto quelle internazionali, oltre che a essere ormai totalmente obsolete, non hanno mai determinato l'esercizio della forza ma sono sempre state il risultato successivo alla organizzazione del potere affermato con la forza. Richiamarsi al non rispetto del diritto internazionale nelle «guerra ibrida» è retorica inutile.Infine, che le argomentazioni di cui sopra siano sempre di più la foglia di fico che riveste le narrative di quei Paesi che ancora non hanno capito che l'assenza dalla presa di decisioni determina una esclusione perdente al pari di una sconfitta militare, è mostrato dalla discussione intorno al cosiddetto patto sul nucleare firmato a Vienna nel 2015. La sua obsolescenza si è dimostrata con il progressivo ritirarsi degli attori principali, oggi l'Iran che conferma una scelta già presa di proseguimento nell'arricchimento dell'uranio supera la necessità di compartire il rischio del Califfato emergente che aveva consolidato l'alleanza impossibile.Oggi siamo a un punto importante del conflitto in atto, ma non a punto di svolta.E dunque, se siamo tutti d'accordo che sia un atto morale evitare la guerra, io credo che sia un atto morale vincerla quando ci si trova a combatterla.
Nel riquadro una foto tratta da Google Maps del Parco di Tor Tre Teste, a Roma (iStock)
I due giovani sono stati accerchiati e rapinati. Poi la violenza. Caccia agli altri membri.
Hanno abusato sessualmente di una giovane di appena 18 anni che si trovava in auto con il suo fidanzato. La notizia della terribile violenza sessuale si diffonde nel giorno in cui si celebra la Giornata contro i femminicidi e qualsiasi violenza contro le donne. Mentre in tutta Italia si svolgono cerimonie ed eventi, il Paese viene a conoscenza dell’ennesimo, brutale episodio di violenza sessuale.
Nichi Vendola, candidato al consiglio regionale della Puglia per Avs, mentre vota al seggio di Terlizzi (Ansa)
La Puglia rinnega il suo ex presidente «mammo», che con Avs è fuori dal Consiglio. Flop in Campania per la donna incubo di Sangiuliano: 160 voti. Veneto, Rizzo delude.
Chiusi i seggi, conti fatti. La lunga corsa delle Regionali 2025 è terminata, adesso è il momento dei riequilibri di potere. Dentro alle coalizioni così come dentro ai partiti. Il Veneto va al centrodestra, per dirla meglio, al Carroccio. Alberto Stefani ottiene il 64,39% dei voti. Lega, primo partito, ottiene il 36,28% (pari a 19 seggi all’interno del Consiglio regionale). Fratelli d’Italia il 18,69% (nove seggi). Forza Italia il 6,3%, tre seggi. Noi moderati con l’1,12% non ottiene alcun seggio.
Matteo Renzi (Imagoeconomica)
Il «Rottamatore» insiste per una Casa riformista, ma gli elettori non vogliono entrarci.
Cerco un centro di gravità permanente, cantava Franco Battiato e diceva (parafrasiamo, non fate i pignoli) il consigliere di Sergio Mattarella, Francesco Saverio Garofani, nel famoso pranzetto romanista. Il centro, o una lista civica nazionale, o un partito moderato, o la nuova Margherita, fate voi: quello che manca al centrosinistra per diventare competitivo alle prossime Politiche del 2027 è una specie, per dirla molto semplice, di «Forza Italia di sinistra», un partito moderato che riesca a raggranellare un 8-10% di voti da portare in dote al centrosinistra attuale, che poi in realtà è una sinistra-sinistra a trazione Landini-Schlein-Conte-Bonelli-Fratoianni.
Il candidato del centrodestra sconfitto in Campania, Edmondo Cirielli, insieme al premier Giorgia Meloni (Ansa)
Nei test del Mezzogiorno la coalizione deve rimproverarsi il ritardo nella scelta dei candidati. Giocare d’anticipo nelle tornate locali è fondamentale: fra poco più di un anno si vota a Milano, Roma, Torino e Napoli. Sarebbe utile prepararsi per tempo.
Forse vincere in Campania era difficile. E probabilmente spuntarla in Puglia era impossibile. Però, nonostante le condizioni non fossero proprio favorevoli, il centrodestra alle recenti regionali ci ha messo del suo. Non giudico i candidati, di cui non so quasi nulla. Edmondo Cirielli l’ho incontrato mesi fa a Napoli, mentre di Luigi Lobuono non conosco neppure la faccia. Probabilmente si tratta di candidati degnissimi, anche competenti. Ma il tema non è la qualità delle persone scelte per il posto di governatore, bensì l’indecisione che ha preceduto la loro designazione






