2021-10-19
Nell'archiviazione del Trivulzio le accuse dei pm a Speranza: «Circolari covid carenti e generiche»
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Nelle 30 pagine con cui i magistrati milanesi chiedono di archiviare l'inchiesta di epidemia colposa sulla Rsa di Milano, vengono messi in fila tutti gli atti dell'esecutivo durante l'emergenza coronavirus. In particolare quelli del 22 e del 27 gennaio. Vittorio De MIcheli, direttore sanitario Ats Milano: «Fino all'esplodere dei focolaio di Codogno e Alzano non avevamo notizia di situazioni di allarme sul territorio».Per mesi la regione Lombardia è stata condannata da giornali e politici di centrosinistra per la gestione del Pio Albergo Trivulzio durante la pandemia di covid 19 nel 2020. Ma dalle 30 pagine di richiesta di archiviazione dell'inchiesta che ne era scaturita (Repubblica parlò di «Mani pulite» sul Trivulzio), emerge un quadro molto diverso da quello tratteggiato lo scorso anno. Il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano - insieme con pm Mauro Clerici e Francesco De Tommasi -. ha chiesto l'archiviazione dell'indagine per epidemia colposa che riguarda il periodo tra il gennaio e l'aprile 2020. Sono state analizzate oltre 400 cartelle cliniche. E sono state raccolte decine di testimonianze tra i parenti delle vittime (riuniti in un comitato per la verità), e quelle di dirigenti e personale medico. Il nesso tra morti e condotte riprovevoli nella struttura non è stato trovato.Piuttosto, dalle indagini emerge invece «la straordinarietà della pandemia dello scorso anno» e viene spesso sottolineata anche le responsabilità a livello di governo, quando il presidente del Consiglio era Giuseppe Conte e c'era già il ministro della Salute Roberto Speranza. Non a caso vengono messe in fila tutte le circolari del ministero, comprese le loro contraddizioni, da quella del 22 gennaio fino a quella del 25 marzo. Nella richiesta di archiviazione i magistrati sottolineano come «la circolare del ministero della salute del 22 gennaio 2020» riportasse «informazioni limitate e generiche sull'epidemia a Wuhan» e riferisse «che il Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (Ecdc)» stimasse che il rischio di introduzione dell'infezione in Europa, attraverso casi importati» fosse «moderato». Non solo. Il 22 febbraio, un'altra circolare, «considera il rischio di diffusione dell'infezione in Europa ancora limitato» e «porta i primi suggerimenti per la gestione dei pazienti in ambito sanitario e i primi accenni a prevenzione in ambito generale». Il 27 febbraio una nuova circolare «riporta indicazioni del gruppo di esperti dedicato al Covid che sconsiglia uso di tamponi su soggetti asintomatici». Mentre solo il 25 marzo vengono date indicazioni dal ministero per dispositive di protezione a personale sanitario e anche assistenziale e per indagini sul personale con uso di tamponi». La conferma di mancanza di indicazioni da parte del ministero della Salute arriva anche dalle dichiarazioni di Walter Bergamaschi, direttore generale dell'Ats della città metropolitana. «C 'erano state comunicate le circolari del Ministero della Sanità in materia di allarme Covid 19, del 22 e 27 gennaio. La prima, in particolare, segnalava di prestare attenzione a casi di polmonite in quanto di possibile eziologia Covid 19. Successivamente con la circolare del 27 richiedevano di prestare particolare attenzione ai casi con tale sintomatologia se provenienti dal territorio cinese di Wuhan o comunque i casi che avevano contatti con persone provenienti da quel territorio» ha spiegato Bergamaschi ai magistrati tra il 24 e il 27 aprile del 2020. «Noi abbiamo trasmesso queste circolari ai medici di base con le indicazioni operative emesse dalla Regione. Abbiamo distribuito dei dispositivi di protezione individuale ai medici di continuità assistenziale, cosiddetta guardia medica. Il quantitativo era limitato e a quell'epoca nessuno sospettava l'evoluzione che ne è seguita»Anche Vittorio De Micheli direttore sanitario della stessa Ats, ha risposto alle domande dei pm sulle circolari del governo. «Mi si chiede come abbiamo reagito alia circolare ministeriale del 22 gennaio 2020. Al riguardo rispondo che quella circolare è stata considerata da tutto il mondo della prevenzione come un avvertimento in ordine a quanta stava succedendo in Cina ed un invito a prestare attenzioni a possibili casi d'importazione. Fino all'esplodere dei focolaio di Codogno e Alzano non avevamo notizia di situazioni di allarme sul territorio. Devo rappresentare che, a mio avviso, resta ancora inspiegabile dal punto di vista scientifico la velocità di diffusione dell'infezione in Lombardia». Ma De Micheli aggiunge anche un'altra cosa rispetto all'approvvigionamento di mascherine. «Per quanto riguarda i dispositivi di protezione individuate posso dire in via generale che vi è stata indubbiamente una forte carenza soprattutto nella fase iniziale» spiega De Micheli «originata da una mancanza di produzione propria a livello italiano con necessita di rifornirsi all'estero e da una richiesta fortemente aumentata a livello nazionale ed estero e anche da una concorrenza interna tra agenzie regionali e protezione civile; tutti fattori che hanno ostacolato l'approvvigionamento da parte delle strutture private accreditale tra le quali le Rsa che sovente hanno visto le Ioro forniture requisite».Tra le conclusioni della pubblica accusa, quindi, viene evidenziato come non sia state riscontrate - «a seguito dell'esame della documentazione anche clinica» - «carenze di assistenza sanitaria da parte delle strutture del Pat agli ospiti che sviluppavano la malattia». E ancora viene evidenziata la mancanza del nesso causale «tra il singolo evento dannoso e una specifica condotta riprovevole». Che infine «non è stata acquisita alcuna evidenza di condotte colpose o comunque irregolari – causalmente rilevanti nei singoli decessi – in ordine alla assistenza prestata. Anzi, con riguardo ai singoli casi, neppure sono state accertate evidenze di carenze specifiche, diverse dalle criticità generali già indicate, riguardo le misure protettive o di contenimento, che possano con verosimiglianza avere inciso sul contagio dei singoli soggetti».
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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