2019-05-24
L’ideologia «progressista» che culla l’orrore di Milano
A Milano un omicidio figlio del degrado prodotto dalla cultura progressista. Di cui lo scrittore Giovanni Testori aveva intuito il drammatico esito. Non c'è nulla da imparare dalla storia brutale di Aljica Hrustic - rom croato di 25 anni e infanticida - se non che il dolore è un pozzo senza fondo. Una massa gonfia e scura come i lividi del povero, piccolo Mehmed, 2 anni e 5 mesi, ammazzato di botte da questo padre molliccio e grassoccio, capace di violenza inaudita soltanto verso i più deboli. L'ha ucciso pestandolo perché gli dava fastidio, lo ha picchiato sulle gambette, sulla pancia, sul faccino fino alla morte. E la moglie, Silvija Zahirovic, 23 anni, non poteva far altro che guardare. Questi due hanno messo al mondo quattro figli, la donna ne aspetta un altro che nascerà fra tre mesi, e che non potrà comunque sostituire il fratellino massacrato. Non c'è nulla da imparare da questo schifo. Una cosa possiamo farla, però. Possiamo cercare di comprendere da che cosa sia scaturito questo degrado verminoso e mortifero. Possiamo esaminare gli elementi che hanno prodotto, e immaginare come sarebbe il mondo se certe tendenze si diffondessero. Aljica Hrustic, l'assassino di suo figlio, non è semplicemente un prodotto della povertà e del disagio. Anzi, i soldi li aveva e li esibiva: vestiti orrendi ma costosi, orologi d'oro, patacche lucenti ai polsi, macchine di lusso. E poi champagne, locali: la bella vita inutile del malavitoso, pagata con i crimini suoi e con i borseggi della moglie (che ha una bella collezione di precedenti anche lei). Quindi no, non è la povertà. È qualcosa di diverso e più subdolo. Hrustic è il prodotto di una cultura marcia, financo di un'ideologia che - se si diffondesse ulteriormente - produrrebbe altri mostri come lui. Qualche giornale, ieri, ha tentato di glissare sull'appartenenza dell'assassino alla minoranza rom. Ma il suo caso è il perfetto emblema del sopruso che si produce all'interno di quella minoranza. Hrustic non è un nomade, ma vive di espedienti e di reati. Riduce la giovane moglie a una macchina per figliare, educa lei e i figli a cazzotti, come un capo tribù che abbia perso la bussola. Non è il solo ad agire così, ma quando si solleva l'argomento ecco che si viene additati come razzisti dall'intellettuale progressista di passaggio. Ditelo oggi che i rom sono sempre vittime di discriminazione e di intolleranza, ditelo di fronte al cadavere tumefatto di un bimbetto.Poi ci sono gli altri elementi. Gli zingari (sono loro a definirsi così) quella casa popolare in zona San Siro a Milano l'avevano occupata abusivamente. Chissà, magari se li avessero sfrattati si sarebbe persino messo in mezzo qualche cardinale preoccupato per la sorte degli «ultimi», dei più deboli. Di nuovo, vediamo emergere dalla palude i frutti di una precisa ideologia. Gli Hrustic, prima di stabilirsi a San Siro, vivevano al Giambellino, proprio vicino allo stabile in cui, spiegava ieri il Corriere della Sera, «i gruppi anarchici hanno avuto per anni la sede di un'immobiliare clandestina delle occupazioni e hanno vissuto fianco a fianco con i rom che girano in Bmw». Eccola qua, la minoranza discriminata che ha diritto a occupare. Ecco quale orrore proteggono i «paladini degli ultimi». A leggere di questi luoghi ai margini della metropoli e della civiltà viene da pensare alle opere di un grande cantore delle periferie, il maestro milanese di scrittura chiamato Giovanni Testori. Nelle sue opere più celebri, ad esempio Il ponte della Ghisolfa, egli esaminava proprio il sottomondo in cui anche Aljica Hrustic si aggirava. Nei racconti di Testori, tuttavia, c'erano anche la voglia di riscatto, i sogni, le forze buone che si agitano in periferia. Nella storia del rom uccisore, invece, c'è soltanto la disperazione. Un Male che è senz'altro segno dei tempi. Il ponte della Ghisolfa, infatti, è del 1958, e in quel libro persino la mala ha connotati meno disumani, più innocenti. Lì dentro c'è una Milano povera, ma bella. Aljica Hrustic appartiene a un altro mondo, quello che Testori - abbagliato da una visione - raccontò molti anni dopo, precisamente in un libretto pubblicato nel 1992 e intitolato Gli Angeli dello sterminio, che Feltrinelli ha ristampato, per la prima volta dopo anni, proprio in questi giorni. È un testo apocalittico, nel senso che descrive proprio l'Apocalisse calata su Milano, città che stavolta è gloriosa ma «immonda».Tale Apocalisse origina dalla stessa ideologia che ha prodotto Aljica Hrustic, quel connubio letale di capitalismo sregolato e marxismo che chiamiamo «progressismo», di cui Testori vedeva i primi rantoli ma già intuiva il feroce approdo. «La disfatta clamorosa e dolorosa del comunismo e del capitalismo» che Testori descrisse in un'intervista a Natalia Aspesi si riverbera nella storia del rom omicida.Oggi «restare umani» viene ripetuto da chi vuol difendere a ogni costo le minoranze, ma Testori già nel 1989 ricordava che c'è «qualcosa in più d'umano che oggi invece la società e, lasciatemi dire, gran parte della società cristiana, ha buttato via. Per inseguire cosa? La mitologia di un perento, stramorto - salvo che nelle banche, nella finanza e nel potere - stramorto progressismo».Il progressismo che oggi protegge gli occupanti abusivi e le «culture altre» pure quando si rivelano criminali. Il progressismo che combatte la vita e, in nome della «libertà», propugna la droga libera. Negli Angeli dello sterminio, a scatenare l'Apocalisse a Milano sono i detenuti del carcere. Lo sfacelo origina da un ragazzo che muore malamente «vittima della droga» e da un suo compagno detenuto per avere «ucciso un minorenne». Entrambe le cose ritornano nella storia di Hrustic. Il quale, forse pensando di scaricarsi un po' di colpa dal groppone, ora spiega che era sotto l'effetto dell'hashish. «Quando mio marito fuma, va fuori di testa, perde il controllo», frigna la moglie del rom. La droga leggera, dicono i progressisti, e si battono per diffonderla. Testori aveva già visto le conseguenze di tutto ciò. Nel suo libro fiammeggiante e spaventoso ne mostra gli effetti a lungo termine: ci sono quartieri in fiamme, bimbi (e feti) morti, sofferenza ovunque. E mentre su Milano piovono fiamme, una figura ammira dal suo salotto il tramonto della civiltà: una donna elegante, raffinata, colta, che sorseggia champagne. «Assomiglia a Camilla Cederna», disse Testori, tirando in ballo la regina degli intellettuali dell'aristocrazia democratica. La stessa aristocrazia che oggi si erge a paladina dello sfascio in nome dei diritti.Testori, al solito immenso, chiamava questi bevitori di champagne «pasticceri del nulla». A noi, purtroppo, toccano i loro dolci velenosi.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson