2021-05-05
        «Nel falso complotto Eni fui aiutato da Verdini con una interrogazione»
    
 
        Denis Verdini, Michele Vietti e Luigi De Ficchy (Ansa)
    
Piero Amara tira in ballo l'ex senatore nella gestione del depistaggio farlocco di Siracusa. Nei dossier sulla presunta loggia Ungheria, dopo Michele Vietti spuntano Luigi De Ficchy e Giancarlo Elia Valori. «Sicuramente sono legati a Ungheria Andrea Gemma, Antonino Serrao e il generale Toschi». Così, alla spicciolata, nel primo verbale di sette pagine, il 6 dicembre 2019, reso come persona indagata davanti ai pm Laura Pedio e Paolo Storari, l'avvocato siciliano Piero Amara, testa di ariete specializzato in accuse a magistrati e coccolato da più di una Procura, snocciola alcuni dei 40 nomi che afferma provenire dall'elenco dei presunti confratelli della loggia Ungheria. Un elenco che sostiene di possedere, ma che non ha mai consegnato agli investigatori. I 40, oltre a riunirsi a Roma in piazza Ungheria, avrebbero avuto pure una propaggine messinese, che amara definisce «cellula» e al cui vertice piazza, ammettendo che è per sentito dire, «Giancarlo Elia Valori». «È attraverso questa loggia», racconta Amara, «che ho conosciuto Michele Vietti e tale Enrico Caratozzolo, avvocato di Messina». Sarebbero stati Vietti e Caratozzolo, oltre al compianto ex capo del Dap Gianni Tinebra, a riferirgli del prestigioso incarico di Valori. Ma a cosa serviva questa fantomatica loggia, che ha prodotto l'iscrizione nel registro degli indagati proprio di Amara, del suo collega Giuseppe Calafiore e del loro collaboratore Alessandro Ferraro? Oltre all'asserito condizionamento delle nomine dei magistrati e alle confessate corruzioni giudiziarie, stando ad Amara venivano raccolte informazioni. Luca Lotti, che ha già smentito la versione dell'avvocato siciliano, gli avrebbe detto che aveva ricevuto da Claudio Granata, probabilmente il direttore delle risorse umane di Eni, «copia del cassetto fiscale di Domenico Ielo», dal quale risultava un incarico professionale da un'azienda. E sempre Lotti si sarebbe preso la briga di chiedere ad Amara di «utilizzare questo argomento» nella sua vicenda processuale «con l'obiettivo di screditare Ielo». Paolo Ielo è il procuratore aggiunto di Roma che era tra i pm delegati per l'inchiesta su Amara. Dopo averla definita con Granata «una bomba», Amara, però, a suo dire, si sarebbe confrontato con i suoi coindagati, Calafiore, l'ex pm di Siracusa Giancarlo Longo e l'imprenditore piemontese Ezio Bigotti. «Tra le possibilità», sostiene Amara, «c'era quella di portarla all'attenzione dell'allora procuratore di Perugia Luigi De Ficchy, che era persona alla quale io potevo arrivare perché faceva parte dell'associazione Ungheria». Fu Bigotti, secondo Amara, «a decidere di abbandonare questo argomento perché ritenne che si sarebbe alzato troppo il tiro e questo avrebbe potuto crearci più problemi che vantaggi». Domenico Ielo, contattato dalla Verità, ha detto di non conoscere Amara: «Non solo non l'ho mai incontrato, ma prima di leggere il suo nome sui giornali non ne avevo neppure sentito parlare». De Ficchy, Vietti e Valori, nonostante le ripetute chiamate e i messaggi, non hanno risposto.Ma i fatti di Perugia dimostrano ancora una volta che Amara è avvezzo alle rivelazioni a puntate nelle quali mescola pezzi di verità a menzogne per confondere le acque. E proprio a Milano tira fuori, sperando probabilmente di solleticare qualche particolare interesse, che «la rete relazionale di Ungheria fu utilizzata per condizionare la nomina del procuratore di Milano. Si sollecitarono candidature di persone amiche o alle quali si poteva in qualche modo accedere». Ma delle quali non ha fatto i nomi. Tranne uno: «Amato, che non fa parte dell'associazione, fu invitato a presentare la candidatura da Cosimo Ferri e Luca Palamara». La stampa si è occupata in modo approfondito del totonomine che impazzava in quel periodo. E Giuseppe Jimmy Amato era considerato «l'outsider idoneo a portare la questione fuori dall'impasse in cui rischiava di finire». Una questione che se per i magistrati milanesi avesse avuto qualche rilevanza sarebbe stata trasmessa alla Procura di Brescia, competente a indagare sulle toghe di Milano.Ma il 6 dicembre 2019, nella stanza del pm Storari, non si parla solo della loggia Ungheria. Quella mattina, infatti, vigilia di Sant'Ambrogio, Amara parla anche del «falso complotto» di Siracusa che in teoria avrebbe dovuto intralciare l'inchiesta sul giacimento nigeriano Opl 245. Amara, infatti, nelle sue dichiarazioni (tra il 2019 e il 2020 sarà sentito almeno sette volte) continua a insistere sulla creazione di «questo procedimento» che avrebbe dovuto portare avanti nell'interesse di Eni. Ma in realtà, leggendo le carte, il procedimento di Siracusa avrebbe avuto l'unico obiettivo di rimuovere Umberto Vergine da Eni Trading & Shipping (Ets) la società con cui la Napag dell'imprenditore Francesco Mazzagatti con cui sia Amara sia Vincenzo Armanna facevano affari vendendo petrolio dell'Iraq sotto embargo. Non a caso alla fine Vergine (che nel presunto complotto avrebbe dovuto prendere il posto di Claudio Descalzi) sarà rimosso. Così arriverà l'ex capo legal Massimo Mantovani, che sarà poi licenziato poi nel 2019 proprio da Eni per i suoi rapporti con Napag insieme con un altro di Ets, Alessandro Des Dorides. Alla fine se ne andrà anche Antonio Vella, ex numero due del Cane a sei zampe, che pare fosse anche lui in rapporti con Amara. Alla fine del 2019, quindi, Amara è con le spalle al muro. La stessa Eni ha presentato denuncia contro di lui, Mazzagatti e Armanna perché avrebbe trovato il canale dove sono finiti i soldi sottratti all'azienda, cioè a Dubai: si parla di almeno 100 milioni di dollari. L'avvocato siciliano inizia quindi a riempire i verbali di storie che come al solito è difficile comprendere se siano vere, verosimili o del tutto false. Lo fa per inquinare le acque e proteggere i soldi all'estero? Mentre Armanna, allo stesso tempo, inizia a riempire verbali per convincere i pm di Milano a far rientrare Amara nel processo Opl 245. Quella mattina del 6 dicembre Amara parla soprattutto di Denis Verdini e del senatore Lucio Barani. «Questo senatore di Ala nulla sapeva ovviamente di quello che vi era dietro, né lui chiese spiegazioni quando gli diedi la busta contenente l'interrogazione da me predisposta alla presenza di Denis Verdini». Barani il 9 febbraio del 2017 presenterà effettivamente un'interrogazione parlamentare al Mef. E Amara sostiene che la sua iniziativa sia stata in qualche modo pubblicizzata dal Giornale. «Io stesso andai a parlare col direttore Sallusti. Non dissi a Sallusti che si trattava di un procedimento da me costruito». Di questa vicenda si occupò già lo scorso anno Il Fatto Quotidiano, dopo che lo stesso Amara inviò una lettera al quotidiano di Marco Travaglio parlando proprio degli articoli sul Giornale. Ma quella mattina Amara spiega soprattutto il ruolo che Verdini avrebbe avuto nella vicenda complotto. E dopo l'interrogazione parlamentare, stando ad Amara, ci sarebbe stato un appunto che l'allora senatore di Ala gli avrebbe fatto arrivare tramite l'avvocato Abrignani. Su un foglio manoscritto Verdini «mi diceva di buttare a mare Vella e Mantovani, di stare tranquillo e sereno e che non sarebbe cambiato nulla». E anche nella relazione con Verdini non potevano mancare i soldi: «Successivamente ho incontrato Abrignani (che era anche un senatore di Ala) da Fabrizio Centofanti e Abrignani mi ha detto se volevo parlare con Verdini in quanto gli avevo consegnato 200.000 euro a titolo di finanziamento al suo partito e non 260.000, come invece io avevo dichiarato durante le indagini di Roma». E dopo essersi auto smentito sulla dichiarazione romana, Amara sostiene di essere intervenuto persino sul Copasir, quando il procuratore di Siracusa Francesco Paolo Giordano aveva ricevuto la richiesta da palazzo San Macuto di atti proprio sul complotto. Peccato che anche in questo caso di certezze non ce ne sia manco mezza.
        Benjamin Netanyahu (Ansa)