2019-01-03
«Nei miei gialli c’è una storia d’Italia di cui tutti tacciono»
Roberto Costantini, il padre del commissario Balistreri: «Se avessi scritto un saggio sarebbe stato ignorato. Ai lettori risolvere il caso non basta più».Siamo un popolo di giallisti. Centinaia di autori trovano spazio sugli scaffali delle librerie, sempre più capienti, a scapito degli altri generi, e molti di loro hanno conquistato un posto di rilievo anche all'estero. È il caso di Roberto Costantini, nato a Tripoli nel 1952, che ha presentato prima di Natale il suo ultimo romanzo, Da molto lontano. Il sesto di una saga, tradotta in tutto il mondo, incentrata su un personaggio che non ha eguali nel panorama del giallo all'italiana, il commissario Michele Balistreri, un passato in Ordine nuovo e una visione della vita fuori dagli schemi. In realtà, i meccanismi del giallo stanno stretti a Costantini, che, da buon ingegnere (è un dirigente della Luiss Guido Carli di Roma, dove è direttore dell'Orientamento), costruisce moduli narrativi che si incastrano tra loro, sul filo della memoria e del tempo. Come per il suo collega - ingegnere e scrittore - Carlo Emilio Gadda, il giallo è una finestra su una realtà dai mille volti, di cui i delitti svelano l'intrinseca fragilità.Com'è nato il personaggio del commissario Balistreri?«È nato in tanti anni, non all'improvviso. C'era nella mia testa l'idea di raccontare la storia d'Italia degli ultimi cinquant'anni da una prospettiva diversa da quella ufficiale. Ho pensato che se avessi scritto un saggio, non lo avrebbe letto nessuno, così ho deciso di scrivere questa storia attraverso dei gialli e mi serviva quindi un personaggio che avesse un occhio particolare su cinquant'anni di storia italiana».Qual è l'aspetto delle vicende storiche che ti premeva portare alla luce in una chiave nuova?«Secondo Balistreri, nella scelta classica tra il sangue e lo Stato, tra il bene della famiglia e il bene comune, l'italiano sceglie sempre il sangue. Cesare Beccaria in Dei delitti e delle pene scriveva che la morale domestica “comanda un continuo sacrificio di sé stesso a un idolo vano, che si chiama bene di famiglia, che spesse volte non è il bene d'alcuno che la compone", mentre la morale pubblica “insegna di servire ai propri vantaggi senza offendere le leggi". Negli altri Paesi c'è uno Stato da 500, 600 anni e i cittadini sanno che il bene comune e il bene individuale devono essere bilanciati». Rispetto ai tanti poliziotti che imperversano nella letteratura italiana più recente e nelle serie televisive, cosa connota Balistreri e affascina i lettori?«Quello che connota Balistreri è il dramma profondissimo legato alla mancanza della famiglia che lo ossessiona per tutta la vita. Una mancanza causata proprio dal dissidio tra famiglia e patria».C'è un personaggio letterario che si avvicina a lui?«Balistreri è vicino a Philip Marlowe di Raymond Chandler o, in Italia, al Duca Lamberti di Giorgio Scerbanenco».Anche il Duca Lamberti appare, a prima vista, come un personaggio negativo perché è stato radiato dall'Ordine dei medici, poi invece si scopre la sua umanità e il suo profondo senso morale.«L'aspetto geniale di Scerbanenco è la critica spietata alla società di quel momento, unita a una formidabile capacità di predire quello che sarebbe accaduto. Quando ha scritto I ragazzi del massacro ha descritto con straordinaria lucidità quello che sarebbe poi accaduto, ha colto i germi di un fenomeno, quello della violenza giovanile, che sarebbe esploso successivamente». Avevi presente dei modelli cinematografici?«L'unico modello cinematografico è legato a C'era una volta in America perché Sergio Leone è il regista che ha gestito meglio la questione dei piani temporali. I miei romanzi sono su tre piani temporali, anche se io ne unisco due: l'adolescenza, la fase dei trent'anni e la terza età, gli stessi piani temporali di C'era una volta in America». Ti sei domandato quale sia l'identikit del tuo lettore?«Adesso lo so perché ormai ne conosco tanti, mi scrivono, so qual è l'elemento che hanno in comune: il desiderio di leggere qualcosa che vada al di là dell'intreccio».Non è un fatto generazionale?«No, mi scrivono e vengono alle mie presentazioni persone che hanno dai 15 ai 65 anni».Quando hai iniziato a scrivere?«La Trilogia del male era nella mia testa da molti anni, solo che non trovavo il tempo e l'energia di scrivere, poi, nel 2008-2009, per una serie di motivi contingenti, è capitato un momento in cui dormivo poco la notte e ho cominciato a scrivere Tu sei il male. Scrivere è un lavoro che consuma molto tempo, molte energie, quindi per scrivere bene occorrono due cose: il tempo e la grandissima voglia di farlo, altrimenti scrivi malissimo. Questo è il motivo per cui gli scrittori che ci hanno lasciato solo bei romanzi ne hanno scritti pochi. I romanzi di Chandler sono tutti bellissimi, ma sono pochi».Come procedi nella scrittura? Prepari una scaletta?«La scrittura su più piani temporali richiede necessariamente una scaletta. La connessione tra i piani temporali deve essere chiara all'autore, se no le cose non si tengono assieme. Tutta la storia raccontata nei sei libri, la storia di Balistreri, era scritta, non erano scritti i singoli gialli, ma l'intreccio giallo per me è una chiave per intrattenere il lettore. Io cerco di scriverlo bene, anzi, secondo me, il meccanismo giallo, nei miei romanzi, è persino eccessivo. La complessità del giallo all'Agatha Christie non premia, molti lettori sono più interessati alla storia trasversale di Balistreri che alla risoluzione del giallo».Quanto tempo hai impiegato a scrivere Tu sei il male?«Qualche mese».E dopo averlo scritto cosa hai fatto?«L'ho mandato a Marsilio, insieme a una sinossi degli altri due. Sapevo fin dall'inizio che Tu sei il male sarebbe stato il primo romanzo di una trilogia e avevo scelto di spedirlo a Marsilio perché aveva fatto molto bene il lavoro di posizionamento dei romanzi di Stieg Larsson. Mi sembrava l'editore più adatto per pubblicare una trilogia noir su una storia di un Paese, così come la trilogia di Larsson è una trilogia noir sulla storia della Svezia. Fortuna ha voluto che in una settimana lo abbiano letto e mi abbiano risposto, comprando l'intera trilogia. I diritti in quindici Paesi sono stati venduti prima che Tu sei il male uscisse in Italia».Poi hai sviluppato gli ulteriori capitoli della storia.«Sempre con lo stesso principio: che siano capitoli utili a chiarire, attraverso la storia personale del personaggio, aspetti particolari della storia d'Italia. Per l'ultimo romanzo, Da molto lontano, ho scelto, come piano temporale, il 1990 perché chiude i gloriosi anni Ottanta, che nella curva di crescita dell'Italia rappresentano il picco positivo, prima di Mani pulite. È la fine della Prima Repubblica».Il 1990 si identifica con il Mondiale di calcio in Italia, così come già nei precedenti romanzi il tempo era scandito da altri grandi eventi sportivi.«Gli italiani sono “nazionalpopolari", lo dico in senso positivo. Per il 1982, se tu citi un qualsiasi evento, nessuno o pochi se lo ricordano. Se dici: “La notte in cui l'Italia ha battuto la Germania...", tutti si ricordano se erano fidanzati, se erano sposati, con chi stavano quella sera, è l'unico elemento di datazione universale, persino con le donne che, anche se non sono tifose di calcio, risentono dei loro uomini. Poi, in alcuni casi, l'evento calcistico è anche funzionale al giallo. Nell'ultimo romanzo utilizzo i mondiali del 1990 perché creano grande felicità e poi finiscono malissimo per noi». Quanto c'è di autobiografico, condividendo tu e Balistreri la medesima origine libica?«Separiamo l'autobiografico dalla conoscenza delle situazioni. La prima parte del secondo romanzo, Alle radici del male, è ambientata nella Libia degli anni Sessanta prima e dopo l'arrivo di Muammar Gheddafi. Per scrivere quelle cose decentemente c'è un solo modo: le devi aver vissute personalmente. È vero che siamo in un Paese in cui c'è gente che pensa di sapere tutto e scrive di tutto, anche cose di cui non ha la più pallida idea, ma io non mi permetterei di parlare, per esempio, della guerra in Iraq senza esserci mai stato. Non c'è nulla di autobiografico, io sono fondamentalmente diverso da Balistreri. Di autobiografico c'è solo l'ambientazione libica perché quella richiedeva una conoscenza personale e poi la storia della Libia si intreccia con la storia d'Italia».Scrivi sempre di notte...«Scrivo di notte, nei weekend, durante i viaggi. I viaggi in treno sono l'ideale, scrivo benissimo. Svolgo un lavoro che mi piace molto, con i giovani, e devo bilanciare il tempo che dedico a loro con quello dedicato alla scrittura. Ho la fortuna di fare due lavori entrambi belli. È una grande fortuna!».
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