2020-02-16
Nei gesti folli dei nostri giovani c’è un grido d’aiuto da ascoltare
Si moltiplicano gli atti di nichilismo violento o autodistruttivo da parte dei ragazzi: si tratta di segnali che la nostra società non sa intercettare, perché ama gli adolescenti solo quando ripetono facili slogan.Per capire come stanno i giovani italiani, vale forse la pena di dare un'occhiata alle cronache. Monza, ricca e tranquilla capitale dell'operosa Brianza, è scossa dai due suicidi in pochi giorni di studenti di un tranquillo liceo locale. Più a Nord Est, alla stazione di Bolzano, prima in Italia per reddito e «qualità della vita», due ragazzi sono balzati sulla coda dell'ultimo vagone del treno in partenza per Merano. Le teste incappucciate, il volto coperto da maschere di plastica, che gli assicurano l'indecifrabile fisionomia dell'alieno. Appoggiandosi al gancio di coda del treno, si sono issati sul tetto della carrozza e sporgendosi dall'alto hanno firmano i finestrini della carrozza: free.kidz. ragazzi liberi (è il nome della loro pagina Instagram). Hanno viaggiato aggrappati alla coda fino a quando, all'arrivo, sono fuggiti a perdifiato sui binari. Tutto filmato dalle fotocamere fissate sulla fronte e da un drone, azionato da amici più prudenti in una stazione intermedia. Il video, che registra parte dell'avventura, è intitolato Escaping reality. Che significa «fuggendo dalla realtà», ma anche «scampando alla realtà». Perché così facendo questi ragazzi pensano di sfuggire a una realtà mortifera, antivitale. Pescati su Instagram dalla Rai, hanno detto: «È una nostra forma di ribellione. Dobbiamo fuggire dalla realtà, perché siamo tutti prigionieri della società». Banale? Forse. Ma non è solo il vecchio train surfing, surf sui treni: superomismo adolescenziale che gira da qualche anno nelle stazioni delle province ricche, dove la noia è tanta e la sensazione di ingabbiamento forte. So cosa molti lettori pensano: mitomani, pazzi, senza cuore che non badano alla disperazione dei genitori se finisce male. Vero. Però non solo. Nelle storie di questi ragazzi, in queste oasi di benessere, c'è anche - va riconosciuto - dolore e disperazione. Sentimenti non più così frequenti tra giovani e giovanissimi, anestetizzati e istupiditi come sono da una certa abbondanza, e resi cinici da una società che fingendosi superbuona se ne frega quasi completamente di loro e li addormenta in ogni modo pur di non farsene carico (loro lo sanno, e ne soffrono). Chi coi disperati più o meno mascherati lavora, sa però che dolore e disperazione quando vengono visti, riconosciuti possono rivelarsi un prezioso strumento per togliersi le maschere di plastica e diventare persone libere. Così nascono i gesti pazzi. Fin che stai sdraiato nella tua cameretta a farti le canne, o ti ci chiudi dentro come un hikikomori, o ancora ti anneghi in una massa/branco di sardine che se la prende col capro espiatorio di turno (esempio: Matteo Salvini e Lega) per salvare il perbenismo di regime, puoi sempre nasconderti dietro qualche slogan. Dalla lotta agli stereotipi sessuali all'antifascismo, all'odio, alla morte delle api (che invece è grave davvero), e finché stai lì a gridarli fai contenti i direttori della prigione. Quando fai un'impresa folle, rischiando molto (forse tutto), cerchi, confusamente, di cambiare qualcosa, almeno in te stesso. L'accuratezza fotografica dei free kidz a documentare tutto parla di vanità e protagonismo, ma anche di disponibilità a vedersi; a legarsi al treno un po' come fa Ulisse col palo della nave, e ascoltare fino in fondo l'orrore delle sirene del momento, senza lasciarsi divorare. Certo è tutto ancora inconscio, ma ciò che appare nell'inconscio prima o poi può essere portato nella coscienza, mentre finché si rimane a canne e slogan non succede niente. A condizione che qualcuno aiuti questi ragazzi a capire, e smetta di usarli come massa di manovra per comandare.I free kidz, e gli altri che fuggono in modi ancora più distruttivi, vivono la società come una prigione. Sembra strano per un sistema sociale che si è imposto tagliando la testa ai re in nome della liberté. Però non lo è così tanto se si pensa che questa è anche la prima società che vuole sapere fin da quando sei piccolo quali siano le tue preferenze sessuali, consigliandoti insistentemente di dichiararle e startene poi a quelle senza cercare altro; che prescrive poi accuratamente quali parole devi usare, o come tu debba guardare le donne e quando. Soprattutto è la società umana storicamente più ricca di leggi, norme, regolamenti e proibizioni, che il personale politico sforna in continuazione. Riconoscerla per ciò che è ti può aiutare (se sei ancora vivo) a smettere con le canne, o bere, e diventare una persona libera, autentica, almeno interiormente. Altrimenti ricadi in una delle varie identità giovanili, i sottotipi dei nativi digitali descritti da chi i ragazzi li osserva, ci lavora insieme e li cura. Ad essi appartengono anche gli zombetti descritti nello scorso novembre dall'insegnante Livio Marchese sul mensile Gli Asini di Goffredo Fofi ( figura importante nella cultura della vecchia sinistra italiana), suscitando indignazione e proteste tra collaboratori e lettori della rivista. Gli zombetti coi quali lavora Marchese nelle scuole difficili del degrado romano sono la versione dell'Italia povera dei nativi digitali di tutto il mondo occidentale: «impossibilitati a stare fermi, si muovono però in maniera scomposta e disordinata; hanno orrore del silenzio, ma sono incapaci di comunicare; temono la noia ma sono privi di qualsiasi curiosità;... distratti e catturati dall'ennesima futilità di cui sono subito sazi». Sono tratti comuni ad ogni adolescenza, che però famiglia e scuola contrastavano impegnandoli nella ginnastica e negli sport, nell'individuare autentici interessi e vocazioni personali, e impegnarsi in quelle.Il fatto è che oggi «gli zombetti sono la prima generazione della storia di figli deprivati dell'amore genitoriale». I genitori non si occupano più, profondamente, di loro: «Sono palle-al-piede, un ostacolo al sereno svolgimento delle vite di genitori non “adulti" ma adolescenti decrepiti, eternamente frustrati, a caccia di soddisfazioni a breve termine per rattoppare il proprio ego». È severo Marchese, ma troppo spesso è così. A genitori infantili e egoisti si accompagna una scuola «trasformata in bambinopoli, ludoteca, oratorio, riformatorio, dove operano insegnanti riconvertiti in baby sitter, badanti, assistenti sociali, psicologi, animatori, sorveglianti e mandriani». «Nella migliore delle ipotesi», osserva, «si cerca di contenere la macelleria sociale», dove i più deboli vengono inesorabilmente fatti fuori. È qui poi che nasce la vena di disprezzo così frequente oggi in giovani e adulti, preferibilmente a sinistra, verso il popolo e «chi svolge onestamente il proprio, scarsamente retribuito, lavoro, e a pretendere che tutto sia loro dovuto. Ora e subito». Sono così anche le sardine che alla fine della campagna elettorale, per premio, vanno a fare merenda con Gilberto Benetton e Oliviero Toscani («a chi importa se crolla un ponte?»). Molta gioventù italiana non sta così bene. Non c'è da stupirsi. Ma la sua sofferenza e dolore vanno guardati in faccia, per poter essere trasformati in vita.
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