
Le recenti decisioni dei tribunali hanno la tendenza a valorizzare in modo ideologico i nuclei «arcobaleno» perché marcati in senso «volontaristico». Ma la procreazione non può essere ridotta a un calcolo razionale.Cosa significa fare un bambino, oggi? È un atto d'amore? Nasce da un desiderio? E quei due che si incontrano, quel misterioso trovarsi cui poi il bambino spesso pensa come la sua origine, non senza turbamento... dove sono? Siete completamente fuori strada. Quella è roba di altri tempi, roba da poeti, forse un po' matti. No. Il bambino è (come dicono le sentenze dei giudici, numerose in questi giorni: Napoli ieri, oggi Pistoia) la realizzazione di un progetto di genitorialità condivisa. La parola «progetto» è forse la più frequente in queste sentenze, oltre a condiviso, consolidato, eterologa. Non siamo al business plan, ma piuttosto vicini. Nella sentenza di Napoli, ad avvalorare la serietà e pregio di tutta la vicenda, con la conseguente defenestrazione del padre e intronizzazione come genitori di due madri, si fa perfino presente che le stesse, alla nascita del bimbo, «hanno stipulato ciascuna una polizza vita, indicandosi reciprocamente, assieme al bambino, come beneficiarie». Né mancano ottime referenze professionali, aziende di proprietà, tutto quel che serve: programmare è una vocazione, non riguarda solo il nuovo modo di procreare. Dove comunque svolge un ruolo centrale, come bene spiegano queste illuminate sentenze.Dimenticate dunque innanzitutto la natura, infatti mai citata (è un documento giuridico, cosa andate a pensare?), anche se forse qualcosa c'entrerebbe: si tratta pur sempre di un bambino, anche se «nato da un progetto d'amore voluto e condiviso», come più volte ripetuto. Un principio è comunque chiarissimo: biologia, corpo, sesso non sono così importanti. Tradotto in sentenze: «la biologia non può prevalere sulla biografia». Il che significa poi: chi ha messo semi, gameti, affittato pance, eccetera, non ha nessuna importanza. Se siamo qui con il bambino, vuol dire che abbiamo regolato i relativi impegni. È il mercato, bellezza. Tanto queste sentenze assicurano che «nel superiore interesse del bambino» lo Stato non andrà a frugare sulle pratiche che hanno portato alla sua nascita, «anche se illegali in Italia». L'importante è portarsi a casa i bambini; sempre, naturalmente, «frutto di progetti» di una «genitorialità condivisa». Il cui riconoscimento non si nega a nessuno: è un concetto astratto, piuttosto astruso, sostanzialmente indimostrabile, a differenza degli elementi biologici, molto precisi.Questa è alla fine, la «biografia» di bambini di coppie omosessuali, che ha nella giurisprudenza spodestato la vecchia «biologia» fatta di attrazione tra diversi, pulsioni, passioni (a volte anche spintoni). In queste storie attuali, le madri e i padri originari, nel senso di chi ha messo il «materiale» biologico, sono alle spalle, chissà dove, non ha nessuna importanza. Al bimbo della sentenza napoletana è stato insegnato che lui «è frutto di un semino di un signore gentile e generoso che è stato unito all'uovo nella pancia della mamma». Basterà? Sappiamo bene che la rete è piena di figli che cercano padri fatti sparire con frasette altrettanto melense, e che per questo (e altre ragioni, biologiche appunto), l'Inghilterra proibì il donatore sconosciuto, anni dopo averlo autorizzato.Ma quella è la biologia: una materia arcaica, passatista come - dice la sentenza di Napoli- «la prima forma di procreazione, tradizionale... tuttora determinata, essenzialmente dal dato biologico-genetico (con particolare rilevanza quindi della gestazione e del parto)». In essa il «dato volontaristico è, evidentemente, del tutto marginale». Il giudice pensa forse qui che nella procreazione tradizionale ci si accoppi senza un barlume di coscienza, e poi arrivano i bambini? Magari no, ma le parole sono quelle. Certo dopo, invece, nella procreazione «evoluta» di queste sentenze, «l'elemento volontaristico / consensuale è assolutamente prevalente», scrive il giudice con la fierezza di partecipare a un processo di civilizzazione. In esso tutto è pensato e nulla lasciato al caso.È proprio questo il guaio, o così risulta a chi osserva e accompagna i processi psicologici di chi glielo chiede. Perché l'esistenza umana ha continuamente bisogno dello sviluppo del pensiero e della volontà, e insieme di apertura all'altro, alla sorpresa. È in quell'apertura, audace e nutrita dall'amore, non da una razionale progettualità, che si è collocata (finora) la procreazione. Che rinnova non solo la propria vita ma quella degli altri, del mondo attorno, della comunità. E naturalmente alimenta la vitalità del bambino e la sua spinta a conoscere e a lasciarsi sorprendere dalla vita attorno. Dare la vita non è «la genitorialità». E si fa in due.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





