2021-04-17
La ’ndrangheta ha il suo Buscetta: si è pentito il boss Grande Aracri
Nicolino Grande Aracri (Ansa/iStock)
Il «padrino» della malavita gestiva dal Nord Italia i rapporti con la politica, la massoneria e il Vaticano. Il processo «Aemilia» ha svelato gli intrecci tra le cosche calabresi e importanti pezzi del Pd in Romagna.Il pentimento del mammasantissima della 'ndrangheta Nicolino Grande Aracri, il boss conosciuto col nomignolo «Mano di gomma» che ha esportato nelle regioni del Nord il modello della famiglia di Cutro, la città degli scacchi in provincia di Crotone, fa tremare la politica. Il Buscetta delle cosche calabresi, che poteva contare su un conto corrente con la disponibilità di 200 milioni di euro, ha scelto Nicola Gratteri come suo confessore e da un mese sta vuotando il sacco. Un verbale illustrativo, quello dei famosi 180 giorni entro i quali il propalatore deve rivelare tutti i fatti di cui è a conoscenza, non c'è ancora. Ma già le prime dichiarazioni, ovviamente segretissime, si annunciano come esplosive. L'ergastolano, principale imputato del processo Kyterion (nel quale è stato condannato alla massima pena per l'omicidio del capo della cosca avversaria Antonio Dragone), con una passione per gli ordini cavallereschi, tanto da fregiarsi del titolo di cavaliere e conservare in vetrina una spada templare, poteva contare su entrature di altissimo livello nella massoneria, in Vaticano, in Corte di cassazione e negli ambienti della politica. Come dimostrano le inchieste sulla presenza della 'ndrangheta in Veneto, in Lombardia, in Toscana e, soprattutto, a Reggio Emilia. Il boss che aveva ottenuto da mamma 'ndrangheta la delega alla Pubblica amministrazione, infatti, per dirla come i giudici del Tribunale emiliano che hanno ben compreso il peso e la portata assunti dalla mala calabrese nel cuore di una delle regioni più rosse d'Italia, aveva trovato il suo punto di forza «nella sua capacità di intessere relazioni con rappresentanti del mondo imprenditoriale e politico istituzionale». Parole, quelle della sentenza Aemilia, che hanno creato non pochi imbarazzi nel Partito democratico. Perché più si va avanti nella lettura delle 3.200 fitte pagine della sentenza, più compaiono, proprio come su uno degli scacchieri della tradizione cutrese, pezzi del Pd con ruoli e posizioni ben precisi. Anche perché in quelle carte a Graziano Delrio, uomo importante del Pd, viene affibbiato un ruolo. Un ruolo che non ha raggiunto una rilevanza penale (per questo non è stato indagato), ma che viene descritto a fondo in uno dei capitoli dell'inchiesta. Nel 2009 alcuni candidati sindaco di Reggio Emilia andarono a fare campagna elettorale proprio a Cutro. E tra gli aspiranti sindaco c'era Delrio, all'epoca primo cittadino poi rieletto. In quel modo, hanno valutato i giudici, i candidati si resero protagonisti di «comportamenti che oggettivamente hanno rafforzato la cosca». Una famiglia di 'ndrangheta che per fare affari al Nord e conquistare nuovi spazi nell'economia ha cambiato veste e, per dirla come i giudici di Aemilia, «ha vestito un abito nuovo, presentabile, pur rimanendo fedele alla sua consolidata fama criminale». E con l'abito della domenica Nicolino «Mano di gomma», nonostante il suo italiano stentato ma grazie a quanto ha appreso frequentando l'università della mala, è riuscito a intercettare «esponenti di rilevanti settori del contesto locale che non hanno indietreggiato dinanzi alla prospettiva di realizzare anche un profitto personale». Non sono pochi gli amministratori esenti da sferzate: «L'associazione», scrivono le toghe, «disponeva di consiglieri comunali eletti col voto della comunità calabrese nelle fila della maggioranza e dell'opposizione. Vale segnalare per tutti lo scioglimento del consiglio comunale di Brescello». Ma anche a Reggio Emilia si erano annidati i batteri della mala dei Grande Aracri. Per i giudici ci sono due vicende significative: «La campagna elettorale per l'elezione a sindaco di Reggio Emilia nel 2009 che fu tenuta dai candidati del tempo anche a Cutro, ove gli stessi si recarono alla festa del Cristo Redentore e dove fecero affiggere i propri manifesti elettorali». Comportamenti che «oggettivamente», sostengono i giudici, hanno rafforzato l'associazione; non si tratta di tenere conto delle legittime esigenze della comunità cutrese-reggiana onesta che vota a Reggio Emilia, ma del grave peccato di omissione nel non distinguere tra costoro e i mafiosi». Il secondo episodio di peso è l'incontro con il prefetto Antonella De Miro voluto nel 2012 da alcuni consiglieri di origine calabrese. Ad accompagnarli, anche questa volta, c'è il sindaco Delrio. «I consiglieri», scrivono i giudici, cercavano un «pretesto» per avvicinare il prefetto che era troppo rigido sulle interdittive. Non solo, davanti a un magistrato della Direzione nazionale antimafia Delrio avrebbe descritto come per nulla stretto il suo rapporto con la dirigente che volle all'Urbanistica, Maria Sergio, moglie dell'attuale sindaco di Reggio Luca Vecchi, chiamata più volte a testimoniare per aver acquistato la casa di famiglia da un personaggio indicato come prestanome di Grande Aracri. L'altro punto di forza dell'ex boss erano proprio i prestanome. D'altra parte don Nicolino l'aveva detto in una chiacchierata intercettata nella sua tavernetta: «A me mi servono i cristiani buoni, mi servono avvocati, ingegneri, architetti...». E, insieme ai politici, sono proprio loro a tramare ora che il boss ha saltato il fosso.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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