2022-03-26
Dentro la Nato da «mediterranei». Più Magreb, meno Parigi e Berlino
Anziché omologarsi alle scelte di Francia e Germania, l’Italia deve riscoprire la sua naturale proiezione sul Nord Africa. Due esempi: una partnership con Washington per il gasdotto Eastmed e il ritorno in Libia.All’origine della guerra in Ucraina ci sono due fattori diversi tra loro ma con due elementi in comune: forza e deterrenza. Gli elementi si chiamano energia e nucleare. Più passa il tempo e più si comprende che il timore della Russia non sia la Nato, ma siano gli Usa e l’Europa. Evidentemente Vladimir Putin ha avuto consapevolezza prima di noi della volontà di tagliare il cordone del gas che unisce Mosca al Vecchio Continente.Da qui una invasione militare dell’Ucraina, con il risultato di far esplodere il bubbone ed evitare che il progetto si realizzasse in tempi ragionevoli e sostenibili per i compratori. Un discorso simile vale per le testate nucleari. Il 20 ottobre del 2018 Donald Trump ha deciso di uscire dall’accordo Inf sulla non proliferazione delle testate, firmato nel lontano 1987. La motivazione è stata di poche righe. Visto che Russia e Cina non lo rispettano, anche Washington se ne esce. La mossa non è per nulla da sottovalutare, perché ha creato un effetto cascata che cambierà i rapporti con l’Iran e ha modificato i rapporti di forza tra Est e Ovest. Per queste premesse è facile immaginare che lo scenario di rottura lungo l’asse Occidente e Oriente non sia minimamente riparabile nel breve né nel medio termine. Ci aspettano anni di guerra fredda, e forse un’Ucraina destabilizzata come la Siria. E a differenza del periodo pre Muro di Berlino maggiori sofferenze economiche per l’Occidente. Cina e India sono diventati concorrenti pericolosi, ricchi e agguerriti. L’aggressione russa rappresenta però il Rubicone. Non si torna indietro e di conseguenza l’Italia deve ripensare velocemente la propria posizione e la propria economia. Folle pensare di mantenere rapporti così come li abbiamo concepiti in passato perché non c’è posto per Roma fuori dalla Nato e neppure in contrapposizione totale con l’Europa. Lo dicono la nostra cultura, la tradizione e l’appartenenza a valori che non sono di certo orientali. Le stesse motivazioni che però ci impongono una riflessione storica e strategica.Se vogliamo recuperare un rapporto atlantico che ci garantisca crescita e non fame dobbiamo in questo momento sottolineare le differenze con gli altri Paesi Ue e le nostre peculiarità mediterranee. In fondo, nulla di nuovo. L’atlantismo italiano è sempre stato temperato con rapporti preferenziali con Paesi arabi e magrebini. Si tratta di ritornare lì. Per il semplice fatto che, anche se il mondo è cambiato drasticamente, la penisola non si è mossa. Lungo e attraverso lo Stivale passano le rotte, passano i cavi delle tlc, l’energia e numerosi commerci. Qui sta il nostro valore e solo questa posizione ci rende interlocutori magari privilegiati degli Usa. Il rischio invece - e si tratta di un pericolo concreto - è quello di guardare troppo a Nord e omologare le nostre scelte a quelle tedesche e francesi. Una strada terribile, perché ci renderà sostituibili e quindi molto più poveri.L’asse rivolto al Nord Europa in Italia passa principalmente dai socialdemocratici del Pd. Enrico Letta ne è l’esempio per antonomasia, ma anche il Colle si muove in questa direzione. Il centrodestra sembra aver perso l’occasione per dare un imprinting alternativo. Almeno per come si barcamena in questo momento. Forse, e c’è da augurarselo, un pezzo di Forza Italia e Fratelli d’Italia possono essere in grado di alzare l’asticella dell’atlantismo e al tempo stesso spezzare l’asse del Nord riaprendo la strada del Mediterraneo. Con la rielezione di Sergio Mattarella e con la presenza ingombrante di Ugo Zampetti sembra svanita anche la possibilità che il governo Draghi possa distanziarsi dalla sfera del Pd. Eppure una riflessione sarebbe da fare, e con urgenza. Le scelte dell’Ue sull’energia non prendono in considerazione gli schemi che tengono in piedi la nostra economia. Siamo trasformatori e quindi dipendenti dall’estero, sia sul fronte dell’energia sia da quello delle materie prime. Fare invece valere vecchi rapporti con il Magreb ci permetterebbe di garantire una adeguata sponda agli Usa e al tempo stesso di rifornirci tramite canali non mediati dall’Ue. Certo, significa prendere decisioni ostiche in Libia, e probabilmente immaginare interventi militari. Non spetta a noi a dirlo. Ma certo bisogna interrogarsi su chi possa traghettarci verso uno posizione di intelligente opportunismo.A questo proposito, ci sono almeno due pilastri di stabilità. Uno sicuramente è l’Eni, l’altro è la struttura militare con i piedi saldamente piantati nella Nato e nel concetto di tutela delle Istituzioni. Sono queste le due diplomazie a cui dovremmo affidarci. Come? Due esempi concreti. Primo, perché non bussare subito alla Casa Bianca per trattare una partnership e costruire assieme il gasdotto Eastmed che in soli quattro anni potrebbe portarci dall’Egitto e da Cipro 3.000 miliardi di metri cubi? Un giacimento quasi infinito di cui l’Eni possiede il 50%. Secondo esempio: un nostro ritorno in Libia garantirebbe importanti flussi di gas, ma sarebbe inimmaginabile senza le direttive dello Stato maggiore e senza la guida ispiratrice delle Forze armate che conoscono pesi e contrappesi dentro e fuori la Nato.
Donald Trump (Getty Images)
Andrea Crisanti (Imagoeconomica)