2025-10-14
Liberati centinaia di palestinesi. Fra loro anche feroci assassini
Restano in cella i fratelli Barghouti. Intanto Hamas continua con le esecuzioni.Ancora poche ore, poi si chiuderà l’operazione di rilascio dei detenuti palestinesi. I trasferimenti, già avviati, prevedono una sosta intermedia nelle carceri di Ketziot e Ofer, dove Israele sta completando le procedure. In tutto, saranno liberati 250 ergastolani: 63 appartenenti a Hamas, 159 di Al Fatah e gli altri a gruppi minori. Quindici di loro rientreranno a Gerusalemme Est, un centinaio in Cisgiordania e 135 verranno espulsi verso Paesi terzi disposti (Malesia, Paesi arabi e in Africa) ad accoglierli. A questi si aggiungono 1.722 palestinesi arrestati dopo il 7 ottobre ma non direttamente coinvolti negli attacchi di quel giorno. Tra i nomi più noti spicca Baher Badr, condannato a undici ergastoli per aver pianificato un attentato a una fermata di autobus costato otto vite. Torna libero anche Morad Bader Abdullah Adais, che a soli sedici anni uccise con un coltello l’infermiera israeliana Dafna Meir davanti ai suoi figli, nella colonia cisgiordana di Otniel. Insieme a loro ritrovano la libertà Nabil Abu Khdir, che assassinò la sorella accusandola di collaborare con lo Shin Bet, Muhammad Daoud, che bruciò viva una donna incinta con il suo bambino, e Ahmed Kaabna, autore nel 1997 dell’uccisione di due ragazzi che cercavano di scappare. Tra i detenuti in via di rilascio figurano anche Mahmoud Moussa Issa, responsabile del sequestro e dell’omicidio dell’agente di frontiera Nissim Toledano nel 1992; Ahmad Jamal Ahmad Qanba, che nel 2018 uccise il rabbino Raziel Shevach; Iyad al-Rub, dirigente della Jihad islamica e organizzatore di un attentato suicida a Hadera costato sei vite; e Mahmoud Atallah, accusato di aver violentato due soldatesse carcerarie. Restano invece esclusi dai negoziati Marwan e Abdullah Barghouti e Ahmed Saadat, leader politici considerati simboli della causa palestinese. Non verranno restituiti i corpi di Yahya e Mohammad Sinwar, fratelli che per anni hanno guidato Hamas e che sono stati uccisi tra l’ottobre 2024 e il maggio 2025. Yahya Sinwar era stato condannato a quattro ergastoli ma rimase in prigione solo ventidue anni, fino alla scarcerazione del 2011, nell’ambito dello scambio con cui Israele ottenne la liberazione del soldato Gilad Shalit. Nelle stesse ore Gaza è di nuovo teatro di violenze interne. Almeno ventisette persone sono morte nei combattimenti tra i miliziani di Hamas e gli uomini armati del clan Dughmush, uno dei gruppi familiari più potenti dell’enclave. Secondo testimoni locali, unità di Hamas mascherate e pesantemente armate hanno circondato i Dughmush nei pressi dell’ex ospedale giordano di Gaza City, dando il via a una battaglia che ha scosso la parte meridionale della città. Un alto funzionario del ministero degli Interni di Hamas ha spiegato che l’operazione era mirata ad arrestare una milizia ribelle e che otto membri delle forze di sicurezza sono rimasti uccisi. Le fonti mediche parlano di 19 vittime tra i Dughmush e di otto caduti tra i miliziani del movimento islamista. Gli scontri, cominciati nel quartiere di Tel Al Hawa, hanno provocato la fuga di decine di famiglie terrorizzate. «Questa volta la gente non scappava dai bombardamenti israeliani», racconta un abitante, «ma dalla propria gente». La famiglia Dughmush ha da tempo un rapporto conflittuale con Hamas e in passato si era già scontrata più volte con il gruppo. Ora il ministero degli Interni di Hamas ha dichiarato che intende ristabilire l’ordine, avvertendo che «qualsiasi attività armata al di fuori del quadro della resistenza sarà trattata con fermezza». Le versioni sull’origine della faida divergono: Hamas sostiene che i Dughmush abbiano ucciso due suoi combattenti, mentre la famiglia accusa il movimento di aver tentato di sfrattarli dall’edificio che occupavano per trasformarlo in una base militare. Secondo fonti locali, Hamas ha richiamato fino a 7.000 uomini delle sue forze di sicurezza per riaffermare il controllo sui quartieri abbandonati dopo il ritiro israeliano. Pattuglie armate (Hamas non ha nessuna intenzione di consegnarle), sono state viste muoversi in diversi distretti di Gaza City, alcune in abiti civili, altre con le uniformi blu della polizia. Per Hamas, la tregua rappresenta una pausa tattica e un mezzo per garantirsi la sopravvivenza politica. Il gruppo ha perso parte dei propri alleati e delle capacità militari, ma in mancanza di un’Autorità nazionale palestinese vera rimane l’unica forza in grado di esercitare un reale controllo, e non soltanto nella Striscia di Gaza quindi immaginare un disarmo circoscritto a Gaza è, di fatto, un’illusione.
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