2025-10-14
Trump firma la fine della guerra. In Italia nasce il partito no-pace
Donald Trump (Getty Images)
Licei e università occupate, assalti alle aziende della difesa, scontri per far cancellare gemellaggi con Tel Aviv, proteste contro atleti e artisti israeliani, intellettuali sulle barricate. Ci avevano preso gusto, non si rassegnano.È scusabile il pessimismo dell’intelligenza. Ma almeno ci si conceda l’ottimismo della volontà. E invece, mentre Donald Trump firmava la fine della guerra in Medio Oriente, in Italia nasceva il partito dei no pace. Quelli che occupano e protestano perché il governo Meloni è «complice di un genocidio», perché la voce dei palestinesi è rimasta inascoltata, perché in Cisgiordania ci sono ancora gli insediamenti illegali degli israeliani. Sì: non si è aperta all’improvviso un’autostrada a cinque corsie. Ma gli ostaggi sono tornati a casa. Le bombe, su Gaza, non cadono più. Eppure qualcuno storce il naso. O peggio.In piazza della Scala, a Milano, nel pomeriggio di ieri sono comparsi centri sociali e Unione sindacale di base, per chiedere al Consiglio comunale di cancellare il gemellaggio della città con Tel Aviv (il Pd vuole gemellarsi con Gaza). La richiesta non è stata accolta. E la piazza non l’ha presa bene: scontri con la polizia, corteo improvvisato. La jihad è finita; quest’altra guerra santa continua. Mugugnano studenti e dottorandi di Bologna, che hanno occupato Palazzo Hercolani, sede di Sociologia e Scienze politiche. Eugenia Roccella non ha ragione, quando dice che «le università sono fra i peggiori luoghi di non riflessione»? Il ministro della Famiglia alludeva proprio all’ateneo emiliano, «in cui il senato accademico ha votato una mozione per non avere più nessuna collaborazione con le università israeliane». Ad animare l’ennesima rivolta sono stati i membri del collettivo Spazio di agitazione. Vogliono «dare carburante al movimento per la liberazione della Palestina». Accusano Roma di «continuare a vendere armi» a Benjamin Netanyahu, quando l’Istituto di statistica ha certificato che si stanno esaurendo persino i vecchi contratti che il nostro Paese stava onorando.Il ministro della Ricerca, Anna Maria Bernini, in una missiva ai rettori, ha manifestato disappunto per i blocchi imposti dai collettivi. La maggior parte dei dirigenti degli atenei le ha dato ragione. Non il rettore dell’Università per stranieri senese, Tomaso Montanari, che l’ha messo nero su bianco in una lettera alla Crui: se il dicastero, ha scritto, «ha a cuore la sostanziale attuazione del diritto allo studio», minacciato da chi interrompe le lezioni, «di bene altre cose dovrebbe occuparsi che non delle occupazione studentesche». Nemmeno di quella, surreale, del liceo nautico di Genova, iniziata ieri, «contro il governo italiano e per la resistenza palestinese»?Ci si può interessare, allora, agli assalti alle aziende del settore difesa? «I pacifisti armati», ha lamentato l’ad di Leonardo, Roberto Cingolani, «stanno demonizzando chi come noi sta sviluppando tecnologie per la sicurezza». Meno di una decina di giorni fa, squadracce di antagonisti avevano vandalizzato le auto dei dipendenti, parcheggiate fuori la sede torinese della compagnia. Era il congresso fondativo del partito no pace? A Udine, il Comitato per la Palestina lo ha dichiarato con franchezza: l’accordo Israele-Hamas «non cambia niente per noi». La partita della Nazionale contro la rappresentativa ebraica, prevista stasera, per loro non andrebbe giocata. E Israele andrebbe escluso dalla Uefa. I pro Pal si sono fatti sentire pure alla Festa del cinema di Roma: hanno esortato a boicottare film, autori, registi, produttori e rappresentanze coinvolti con le istituzioni israeliane. Nemmeno certi editorialisti, studiosi, intellettuali e attivisti hanno digerito il successo di Trump. Francesca Albanese, dalla Marcia Perugia-Assisi, ha espresso grosse riserve: «Dove sono i palestinesi? Vengono cooptati da tecnocrati. Dov’è la Cisgiordania? Dov’è la giustizia?». Purtroppo, i palestinesi fin qui non li aveva presi in considerazione nessuno. A cominciare da Hamas e dai loro presunti amici arabi, che non li hanno mai voluti accogliere da profughi. La Stampa è andata a pescare il presidente di Al-Haq, Ong di Ramallah sanzionata dal Tesoro statunitense. Secondo Shawan Jabarin, l’accordo «non mira a portare la pace», perché esclude i palestinesi e concepisce la ricostruzione «come un business». «Va fermata l’occupazione in Palestina». Sia chiaro: è una posizione in linea con le risoluzioni Onu e con il diritto internazionale. Ma chi invoca l’umanitarismo e i principi giuridici, in concreto, cosa propone di fare? La verità è che l’unico compromesso realizzabile, per ora, è quello suggellato in Egitto. Ci vorrà tempo sia per definire il destino di Hamas, il cui smantellamento è imprescindibile per evitare di replicare il pasticcio di Hezbollah in Libano, sia dello Stato palestinese. Che ad oggi non è neppure un’espressione geografica: non ha un territorio omogeneo; non ha un’autorità che, oltre a essere legittima, sia anche efficace; non ha un esercito regolare che a essa risponda; sorvoliamo su fisco e welfare. La pace di Trump non andrebbe bene perché non risolve in quattro e quattr’otto tutte le questioni in sospeso da ottant’anni, come pare argomentare Massimo Cacciari sul quotidiano piemontese? È già deciso che sarà un fallimento? O al massimo, una cinica operazione commerciale? Intanto, il genocidio, se di questo si è trattato, si è interrotto. Scusate se è poco. D’accordo il pessimismo dell’intelligenza. D’accordo che tocca riconoscere dei meriti al puzzone della Casa Bianca. Ma concediamocelo, l’ottimismo della volontà.
Giorgia Meloni e Donald Trump (Getty Images)
il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi (Ansa)
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Donald Trump (Getty Images)