2025-11-28
Faide etniche a Prato. Scontri fra bande con machete e pistola
Guerra aperta tra cartelli della droga pakistani, marocchini e albanesi. E i clan cinesi si contendono la prostituzione.A Prato la Procura guidata da Luca Tescaroli sta fissando su una mappa i gruppi di stranieri che si fronteggiano a colpi di machete, spedizioni punitive, regolamenti di conti e tafferugli. Non sono episodi isolati, ma tasselli di «una più ampia contrapposizione tra gruppi criminali». Su questa cartina geografica i magistrati ieri hanno puntellato un altro caso: pakistani, marocchini e albanesi si sono scontrati in «una vera e propria faida urbana». Che ha prodotto quattro arresti: due marocchini di 22 e 25 anni, un pakistano di 34 e un albanese di 38, accusati di aver partecipato alle spedizioni punitive. E che sembra confermare l’esistenza di due blocchi distinti (uno pakistano e uno composto da marocchini e albanesi) in lotta per il controllo di un pezzo della città, in particolare dei quartieri in cui circolano droga e denaro.Tutto comincia l’8 agosto davanti alla barberia Rasib Hair, in via Strozzi. Primo pomeriggio. Un pakistano di 34 anni e un marocchino di 22 aspettano un giovane di 21 anni. Quando arriva, lo aggrediscono a calci, pugni, poi tirano fuori un machete e un coltello. La vittima finisce a terra con ferite ovunque, danni permanenti a una gamba e lesioni che richiedono «almeno 74 giorni» di prognosi. Una spedizione fulminea che, secondo gli inquirenti, si inserisce in «un contesto di tensione già esistente», maturato dentro la comunità pakistana dopo un’aggressione familiare del 18 luglio. In pratica è la miccia che fa esplodere la reazione della fazione opposta. In Procura sostengono che il ragazzo picchiato sia un parente del ferito il 18 luglio. Una vendetta. Pochi giorni dopo, il 22 agosto, la seconda spedizione punitiva. Stavolta il bersaglio è un bar gestito dalla compagna del marocchino coinvolto nell’episodio dell’8 agosto. Un gruppo di almeno cinque persone arriva, armato, deciso a trovare qualcuno della fazione rivale. Dentro il locale scoppia il caos. A rimetterci è un pakistano di 25 anni, colpito con una violenza che lascia segni ovunque: «Un’emorragia con necessità di trasfusione, un’ampia ferita al capo, la quasi amputazione dell’orecchio destro, fratture all’avambraccio e al perone, e lesioni ai tendini della mano». Un altro uomo di 35 anni viene ferito in modo più lieve. È il livello di aggressività (ferite multiple, colpi mirati, uso di armi) a dimostrare che non si è davanti a una rissa, ma a un regolamento di conti programmato. Nel corso delle indagini spunta l’arsenale. Un machete lungo 50 centimetri, altri coltelli e soprattutto una pistola clandestina Blow TR34 calibro 7,65. Secondo gli investigatori, un pakistano di 25 anni se ne sarebbe andato in giro armato, puntando l’arma contro i rivali. Le telecamere lo avrebbero ripreso. La pistola viene sequestrata il giorno dopo dai carabinieri. La sintesi della Procura è netta: il mercato della cocaina e dell’hashish è la posta in gioco. Mentre la scia di sangue si allunga. Ma a Prato non c’è solo la faida tra il gruppo pakistano e il cartello marocchino-albanese: c’è anche l’altra guerra, quella del lavoro. Il 17 novembre, un altro capitolo si consuma nella stessa città. Questa volta all’Euroingro, al Macrolotto (un quadrante delicato quanto a logistica, produzione, ingrosso e manodopera straniera, con tensioni economiche e rivalità etniche che si intrecciano). Qui era in corso un picchetto dei Sudd Cobas, con una conferenza stampa convocata dal sindacato per parlare di «sfruttamento e lavoro nero». E qui è scoppiato l’ennesimo fronte. Intorno alle 11.30 oltre 15 cittadini cinesi aggrediscono alcuni agenti della Digos. Non per caso: secondo la Procura, il gruppo era «diretto a colpire i lavoratori presenti al picchetto» e non ha esitato a scagliarsi anche contro i poliziotti. Due agenti finiscono in ospedale. Tre cittadini cinesi (tutti regolari in Italia) vengono fermati. Per loro l’accusa è di «resistenza a pubblico ufficiale e lesioni». Le indagini continuano per identificare gli altri. Una volta tornata la calma, i Sudd Cobas spiegano perché erano lì: «Dopo due settimane di trattativa con quattro negozi presenti all’interno di Euroingro in cui lavoravano in condizioni di sfruttamento cinque persone iscritte al sindacato», ha spiegato il sindacalista Arturo Gambassi, «giovedì sera si sarebbe dovuti arrivare alla firma dell’accordo per stabilizzarli, accordo poi saltato». Poi ha aggiunto: «Non è possibile che per questi vestiti che vengono venduti a 2 o 3 euro al capo, paghino sulla propria pelle i lavoratori». La città è in preda a episodi violenti tra stranieri. Qui è più nota la «Guerra delle grucce», un affare da oltre 100 milioni di euro nel cuore del più grande distretto del fast fashion d’Europa. Dove gli appetiti sono legati anche alla logistica. Da circa due anni si contendono gli affari due bande cinesi contrapposte. Che sembrano avere, però, rapporti anche negli ambienti della comunità pakistana. Alcuni elementi sono emersi in un’inchiesta in particolare, che ha smantellato (con sei arresti) due organizzazioni cinesi dedita allo sfruttamento della prostituzione. Anche quell’indagine fotografò una faida. La fine del percorso investigativo portò in carcere quattro cinesi; un italiano di origini calabresi e un pakistano. La storia che li ha incastrati parte dalla notte del 1° ottobre 2024. Alle 23.30 una Hyundai va a fuoco in viale della Repubblica. È l’auto del titolare di una pelletteria. Mentre la macchina brucia, nella hall dell’albergo dove l’uomo alloggia compare una bara di legno con la sua foto incorniciata. È, scrive la Procura, una «plateale e grave intimidazione» legata alla guerra per il controllo della prostituzione. Un rituale da clan cinesi, ma messo in scena con codici che ricordano la ’ndrangheta. Nonostante la macabra intimidazione la vittima sceglie il silenzio. Una condotta «omertosa, densa di gravi reticenze e di discrasie», spiegano gli inquirenti. E il suo nome finisce comunque nel registro degli indagati. Le intercettazioni permettono agli investigatori di ricostruire la faida: un duello tra il presunto capo storico e l’ex fedelissimo che vuole scalzarlo. Quest’ultimo pretendeva il pagamento di un debito e intimava all’altro di smetterla di usare un hotel «per la sua attività di meretricio». La prostituzione, scrive la Procura, «costituisce uno dei lucrosi business della criminalità organizzata nell’area pratese», con «una dimensione transnazionale». Il dato che emerge dalle carte è la capacità dei gruppi cinesi di integrarsi nei circuiti criminali locali: «capaci di consorziarsi con altre etnie», compresa quella pakistana, e la loro attitudine a essere da questi riconosciuti come portatori «di capacità organizzative». Una saldatura che non riguarda solo il mercato del sesso. È il quadro più chiaro della nuova Prato criminale: mosaici etnici che non si scontrano soltanto, ma si associano quando conviene, scambiando ruoli, servizi, protezioni e violenze a seconda degli affari da presidiare.