
Nessuno nega la crudeltà dell’offensiva dell’Idf, ma i «democratici» hanno messo al muro chiunque non si schierasse acriticamente. Finendo a flirtare con gli estremisti.Del «genocidio» e della flottiglia gli italiani non si preoccupano. E questo nonostante la grancassa mediatica. A inquietarli sono semmai sanità, prezzi, criminalità, immigrazione, situazione economica in generale, disoccupazione e tasse. In quest’ordine.Solo all’ottavo posto le guerre, al plurale: Ucraina e Palestina.A sostenerlo non è un fogliaccio di destra, ma il sondaggio Demos su Repubblica di ieri. Commentato da Ilvo Diamanti, sommessamente sferzante verso l’enfatica narrazione che per mesi ha tenuto occupati gli italiani: «Il timore per la guerra è incombente perché riproposta e riprodotta dai media. In tempo reale. Perché le paure suscitano attenzione e generano emozioni. Quindi fanno audience. Alimentate dalla politica, dove costituiscono fattori di consenso. E dissenso».Fine delle trasmissioni (e anche degli alibi per il governo, forniti su un piatto d’argento dalla sinistra con l’ossessione pro Pal, che ora alle emergenze che stanno a cuore agli italiani deve dare risposte).E tanti saluti ai flottilleros e alla retorica sgangherata dell’«Italia in piazza», nella cornice di un esibizionismo etico per cui «chi resta in silenzio, è complice. Chi non manifesta, è complice». Ribadiamolo per i minus habentes: nessuno è così insensibile o cinico da minimizzare l’entità dell’infinita - e per quanto mi riguarda, crudele - rappresaglia di massa compiuta dall’esercito israeliano a Gaza, non dimenticando le violenze dei coloni in Cisgiordania, su ordine del governo di Bibi Netanyahu.Qui si contesta lo storytelling monodirezionale, quello per cui si arriva, di delirio in delirio, a proclamare il mattatoio del 7 ottobre «giornata della Resistenza Palestinese», deriva su cui si è espresso il capo dello Stato Sergio Mattarella, ignorato quando non si conforma al Verbo, sottraendosi alla messa cantata: i sentimenti di esecrazione per Gaza «non possono confluire in quello ignobile dell’antisemitismo che nel secolo scorso ha toccato punte di mostruosa atrocità, e che oggi appare talvolta riaffiorare, fondandosi sull’imbecillità e diffondendo odio».Stesso mood per la Stampa (come Repubblica, non un giornale anti ProPal), l’8 ottobre: «Sono due anni che le persone vengono insultate perché “bisogna prendere posizione”, e questo è un atteggiamento fascista. Il punto non è dire qualcosa sulla Palestina, ma dire qualcosa che al gruppo dominante vada bene, e questo è un metodo fascista. Non sei mai puro abbastanza, per i loro standard: lo sa il sindaco di Reggio Emilia, lo abbiamo visto con Liliana Segre, l’hanno capito tutti. I palestinesi da Gaza maledicono il 7 ottobre, da noi le piazze lo celebrano, se non è appropriazione culturale questa. È arrivato il momento di smetterla di farsi ricattare».Vero. Perché ai sinceri democratici - che hanno riconosciuto, in nome dell’art. 21 della Costituzione, il diritto di usare il termine «genocidio» (non condividendolo) e di fare cortei per sostenerlo, non ritenendo per questo i manifestanti affiliati ad Hamas - i cosiddetti, presunti «democratici» non hanno ricambiato la cortesia.Cercando anzi di tappar loro la bocca, non sempre con le buone.Pretendendo l’adesione -incondizionata, senza se e senza ma - al Pensiero Unico e ai suoi riti, con l’inchino e la venerazione del Sinedrio dei Sommi Sacerdoti, i Maurizio Landini, le Francesca Albanese, i Tomaso Montanari. Un’allegra (si fa per dire) compagnia cui pare estraneo Paolo Flores D’Arcais (no, dico: Flores), fondatore di Micromega, che il 10 ottobre, in un duro editoriale, si è fatto una domanda intrisa di «amarezza»: «Quanti di coloro che hanno sfilato nella manifestazione del 4 ottobre, gigantesca, appassionata, entusiasmante, giustamente indignati contro il mostruoso massacro organizzato da Netanyahu scenderebbero in piazza per combattere il massacro, altrettanto mostruoso, con numeri perfino più grandi, di Vladimir Putin in Ucraina? (Quasi) nessuno. L’invasione russa non provoca indignazione. Lascia indifferenti. Peccato mortale per un democratico» (come, aggiungo io, da manifesto di Antonio Gramsci: «Odio gli indifferenti»).Un’«assurdità logica, una catastrofe etica. Gli ucraini morti per i crimini di Putin sono più volte i gazawi morti per i crimini di Netanyahu». E poi la mazzata finale: «Asimmetria ancor più di peso: a rappresentare le vittime degli orrori in Ucraina sono le istanze democraticamente elette, a Gaza sono i terroristi di Hamas, il male del male, che lapidano adultere, impiccano omosessuali e puniscono ogni dissenso politico con un colpo alla nuca».Amen.Con la firma della tregua, in nome del principio «piuttosto che niente meglio piuttosto», si può essere meno pessimisti di ieri.E con il cessate il fuoco e il ritorno degli ostaggi a casa, perfino riconoscere il ruolo svolto da Donald Trump, sulla base del pragmatismo espresso da quel comunista non fanatico di Deng Xiaoping, successore di Mao: «Non importa il colore del gatto, l’importante è che acchiappi i topi».
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa del 1° dicembre con Carlo Cambi
Giuseppe Benedetto (Imagoeconomica)
Giuseppe Benedetto, presidente di Fondazione Einaudi: «Il ddl Stupri porta le toghe dentro ai letti e, invertendo l’onere della prova, apre a vendette».
«Non basta la separazione delle carriere: serve la separazione dei “palazzi”. Giudici e pm non devono neanche incontrarsi». Giuseppe Benedetto, avvocato siciliano di lungo corso, è il presidente della Fondazione Einaudi, storico punto di riferimento della cultura liberale. Da quel centro studi è nato il Comitato «Sì separa», in prima linea per il sì al referendum sulla riforma della giustizia. «L’Anm è solo un sindacato privato, e con questa riforma smetterà di dettare legge sulle nomine. Serve un cambio culturale: le toghe sono dipendenti pubblici, non i sacerdoti dell’etica, che oggi mettono piede persino in camera da letto».
Roberto Scarpinato, ex magistrato e senatore del M5s (Imagoeconomica). Nel riquadro Anna Gallucci, pubblico ministero e già presidente dell’Anm a Rimini
La pm Anna Gallucci: «A Termini Imerese raccolsi elementi anche su politici progressisti, ma il mio capo Cartosio indicò di archiviarli, “d’intesa con Scarpinato”. Rifiutai, poi subii un procedimento disciplinare». Sarebbe questa l’indipendenza minata dal governo?
Anna Gallucci ricopre la funzione di pubblico ministero a Pesaro, dopo avere fatto il sostituto procuratore anche a Rimini e Termini Imerese. È relativamente giovane (è nata nel 1982) e ha svolto vita associativa: è iscritta alla corrente moderata di Magistratura indipendente ed è stata presidente della sottosezione riminese dell’Associazione nazionale magistrati. Ha lasciato la carica dopo il trasferimento nelle Marche, sua terra di origine. Nel 2022 si era espressa contro il vecchio referendum sulla responsabilità civile delle toghe e aveva manifestato giudizi negativi sulla separazione delle carriere. Ma adesso ha cambiato idea ed è molto interessante ascoltare le sue motivazioni.
Tra realtà e ipotesi fantasiosa, l’impresa aerea tra le più folli degli ultimi 50 anni dimostrò una cosa: la difesa dell’Unione Sovietica non era così potente e organizzata come molti pensavano.






