2024-01-02
«Per far cadere il governo nel 2011 Napolitano sparlava di Silvio in Ue»
L’ex capogruppo Marco Reguzzoni conferma lo scoop: «Il Cav era informato sulle mosse del capo di Stato, che si muoveva con Sarkozy e la Merkel. Non potevamo metterlo sotto accusa. Fu un golpe. Ora una commissione».La conferma dell’ex pm Antonio Ingroia alle indiscrezioni raccolte dalla Verità sul contenuto delle intercettazioni dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sta suscitando reazioni nel mondo politico. Infatti abbiamo scoperto che nel 2011, nei giorni della caduta del premier Silvio Berlusconi, l’ex inquilino del Quirinale aveva detto al telefono all’ex ministro Nicola Mancino di aver criticato il Cavaliere con alcuni leader europei, alla vigilia del ribaltone con il governo «tecnico» di Mario Monti.Marco Reguzzoni, all’epoca capogruppo della Lega alla Camera, non è sorpreso. Alla Verità conferma che all’epoca sia lui, sia la maggioranza, sia Silvio Berlusconi erano «al corrente del fatto che Napolitano parlasse male del governo e del suo presidente del Consiglio con i leader europei e, in special modo, con il presidente francese Nicolas Sarkozy e con la cancelliera tedesca Angela Merkel»: «Quando uscirono le prime indiscrezioni sulle intercettazioni di Napolitano noi in realtà sapevamo già cosa stesse succedendo. Non è che se il presidente della Repubblica fa un colloquio con il capo di Stato di un Paese straniero il presidente del Consiglio non venga a saperlo. Intercettazioni o meno. Eravamo informati di cosa stesse facendo Napolitano e valutammo quelle attività come ben al di fuori dei compiti istituzionali riservati al presidente della Repubblica». Per tale motivo Reguzzoni prese decisioni drastiche: «Ho portato la Lega all’opposizione e il giorno dopo ho lasciato tutte le cariche e ho smesso di occuparmi di politica, perché è stato fatto un golpe, è stato fatto cadere un governo regolarmente eletto. Come primo provvedimento Mario Monti ha fermato quel poco di federalismo fiscale che avrebbe portato dei benefici al Paese e le riforme che erano pronte a essere varate sono state bloccate. Se questo viene impedito dalla più alta carica dello Stato allora non ci sono più margini per esercitare l’azione politica. È stato micidiale. Ora è giusto che una commissione se ne occupi e ricostruisca come siano andate le cose».Mentre Napolitano cercava di convincere l’ex capogruppo che «il governo non avesse più i numeri e bisognasse cambiare premier e maggioranza», Berlusconi gli confermava di essere «consapevole del fatto che il presidente della Repubblica avesse più volte parlato male del governo italiano con i partner stranieri»: «Mi confessò questa cosa più di una volta» ricorda Reguzzoni, «ritenendo l’atteggiamento di Napolitano distruttivo nei confronti del governo in carica». E aggiunge: «Un presidente della Repubblica dovrebbe essere imparziale, invece, noi sapevamo che Napolitano, con il governo in difficoltà, puntava a cambiare la maggioranza. Ma cosa potevamo fare? Mettere sotto stato d’accusa il capo dello Stato?», si chiede Reguzzoni. Dandosi anche la risposta: «Io sinceramente ci ho anche pensato. Ma saremmo arrivati a uno scontro istituzionale durissimo». Una delle soluzioni poteva essere lo scioglimento delle camere. Ma durante un suo incontro con Napolitano, questi, come Reguzzoni aveva già spiegato alla Verità nel settembre scorso, gli avrebbe spiegato che «non avrebbe acconsentito», chiudendo il colloquio con un «non si metta contro». Quando riferì quelle parole a Berlusconi, rammenta ancora Reguzzoni, «l’ex primo ministro la prese molto male e ammise di essere in forte difficoltà, perché non si potevano prendere contromisure». Per Reguzzoni la strategia di Napolitano avrebbe avuto un obiettivo preciso: «Ha creato le condizioni per la sua rielezione. Puntava a quella situazione fin dall’inizio. Se il presidente della Repubblica vuole essere rieletto, la prima cosa che può fare è creare una pesante instabilità. A quel punto proprio lui sarebbe diventato l’unico punto di riferimento. Ed è quello che è accaduto».Dopo le dichiarazioni esclusive rilasciate alla Verità da Ingroia, al Fatto Quotidiano si devono essere ingelositi: nonostante le lunghe campagne contro Napolitano, hanno improvvisamente ipotizzato che dietro alla rivelazione del contenuto di quelle conversazioni mai divulgate (e di cui loro stessi si sono augurati per anni la pubblicazione) ci potesse essere qualche oscura trama per affossare lo strumento delle intercettazioni e favorire l’introduzione del premierato. E così, manipolando un’intervista con l’ex procuratore aggiunto di Palermo, hanno titolato in prima pagina: «L’allarme di Ingroia: “Vogliono usare i file di Napolitano per giochi loschi”».L’ex magistrato rifiuta la lettura data dal Fatto alle sue parole: «Ma quale allarme di Ingroia! Quelle sono elucubrazioni del giornalista. Sono stato usato per baruffe tra giornali. Io non penso affatto che voi abbiate fonti che avvelenano i pozzi. Le mie dichiarazioni non corrispondono al virgolettato che mi è stato attribuito nel titolo. Non vorrei che si stesse cercando di aiutare gli amici di Napolitano, in questo caso sì avvelenando i pozzi. Posso ipotizzare che ci sia qualcuno che si muove dietro alle quinte, ma non dietro al vostro articolo, nel senso, che dopo la chiusura del processo sulla Trattativa, c’è chi vorrebbe liquidare tutto e, invece, qualcosa resta e ne abbiamo parlato nell’intervista con voi: le verità indicibili che Napolitano si è portato nella tomba». Strumentalizzazioni a parte, in effetti qualcuno ha provato a usare il nostro scoop per andare all’assalto delle intercettazioni. Stiamo parlando dell’Unità, il cui direttore Piero Sansonetti (pagato per strepitare in tv) fa della guerra alle captazioni il proprio mantra. Recentemente ha ricevuto l’avviso di chiusura indagini per il crac della Giornalisti indipendenti scarl, la società consortile che editava Cronache del garantista-Calabria e che finì a gambe all’aria nonostante i contributi pubblici. Chissà come urlerebbero volentieri dal piccolo schermo i suoi ex cronisti, rimasti senza lavoro e che, al momento della chiusura del quotidiano, avevano ricevuto un terzo degli stipendi.A Sansonetti, a un altro giornalista e a due imprenditori viene contestata l’aggravante di più fatti di bancarotta fraudolenta, del danno patrimoniale di rilevante gravità (quasi quattro milioni di euro) e a Sansonetti anche la «recidiva reiterata».Eppure, adesso, questi campioni di coerenza, a proposito dell’ennesima esclusiva della Verità e delle rivelazioni confermate da Ingroia sulle intercettazioni distrutte in cui si sentiva la voce di Napolitano, scrivono: «Sappiamo che questo incidente si può ripetere. Qualunque magistrato, una volta che si è dimesso, può rivelare i segreti. E, forse, anche prima di essersi dimesso, può ricattare l’intercettato, anche usando intercettazioni irrilevanti, ma che riguardano la vita privata». In compenso questi difensori della privacy sono gli stessi che danno volentieri spazio alle accuse di un ex controverso dirigente dei servizi segreti come Marco Mancini, il quale, sulle colonne del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, tratta argomenti realmente sensibili.L’articolo dell’Unità si conclude con la consueta sobrietà: «C’è un solo sistema per risolvere il problema: proibire le intercettazioni e costringere i magistrati a tornare ai vecchi metodi di indagini». Una soluzione per cui i mafiosi (ovviamente garantisti) metterebbero la firma sin d’ora.
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