2018-03-24
L' ultimo sfregio di Napolitano all'Italia
Visto che abbiamo due papi, potevamo rinunciare ad avere due presidenti? Ovviamente no. E così da ieri abbiamo un capo dello Stato in carica e un altro scarico,che però non rinuncia a farci conoscere il suo pensiero riguardo alle elezioni e al futuro. Noi pensavamo che Giorgio Napolitano, lasciando il Quirinale, si fosse levato di mezzo, ritirandosi a meditare sui molti errori commessi nella sua lunghissima e controversa carriera politica. Invece ieri abbiamo dovuto ricrederci, assistendo a un comizio del presidente emerito in apertura della nuova legislatura. Inaugurando la seduta, l'ex sostenitore dell'invasione sovietica in Ungheria ha rotto ogni schema pur di randellare il suo partito e dare addosso a Matteo Renzi. Non che l'ex premier non si meriti le critiche che gli sono state mosse. Noi stessi più volte abbiamo elencato i danni fatti dal suo governo, senza escludere nulla. Tuttavia che ad attaccarlo sia Napolitano, ovvero uno che non ha mosso un dito di fronte alla scalata del Rottamatore, ma anzi ha accettato con accondiscendenza che egli liquidasse Enrico Letta per prenderne il posto, suscita un certo ribrezzo.È facile adesso dire a un Renzi alle corde che «il partito che aveva guidato tre esecutivi ha subito una drastica sconfitta ed è stato respinto dagli elettori». Quello che è accaduto è sotto gli occhi di tutti. Ma l'ex capo dello Stato dov'era mentre quei tre esecutivi si facevano detestare dagli elettori fino al punto di preferire al Pd i Cinque stelle e i leghisti? Ve lo diciamo noi: Napolitano era al Quirinale e avallava tutte le nomine volute dai vertici del Pd e dal suo segretario. Il nonno della Repubblica non era forse presidente quando, di fronte al fallimento di Pier Luigi Bersani, incaricato senza successo di formare un governo, invece di prendere atto dell'impossibilità di rispettare il volere degli italiani scelse di tenere a battesimo un brodino caldo come l'esecutivo guidato da Letta. Tutti sapevamo che dietro i modi educati e politicamente corretti del nipotissimo c'era il nulla. Eppure, piuttosto che restituire la parola agli elettori, proprio come aveva fatto nel 2011 con Mario Monti, Napolitano scelse il nulla, ovvero un governo di unità nazionale con dentro sia il Pd che il Pdl. Come sia finita quell'esperienza è a tutti noto, perché non era ancora passato un anno che Letta venne liquidato da uno scalpitante Matteo Renzi. L'allora sindaco di Firenze era stato sconfitto un anno prima da Bersani, ma nel vuoto di potere che si venne a creare con la sconfitta elettorale ebbe gioco facile a tornare in pista. Sulla sua strada trovò un altro nulla, ovvero Gianni Cuperlo, e conquistare il partito per lui fu un gioco da ragazzi.Fin qui Napolitano non poteva che fare da spettatore, guardando dall'alto i giochi di potere di Renzi per conquistare il Pd, ovvero un'associazione privata. Ma da lì in poi, ossia da quando il neo eletto cominciò a sgomitare per prendersi anche Palazzo Chigi, il capo dello Stato avrebbe potuto esercitare tutta la sua moral suasion per impedire che ciò accadesse. Il disegno era chiaro a noi e a molti altri fin dall'inizio. Credete dunque davvero che non lo fosse per il presidente della Repubblica che di quel partito era diretta emanazione? Ovvio che no. Il nonno della Repubblica sapeva, ma non ha aperto bocca. Sempre pronto a recitare le sue prediche inutili, Napolitano è stato zitto di fronte alla scalata alle istituzioni fatte da un signore mai eletto. Silenzio anche di fronte ad atti che di fatto svuotavano il Parlamento di ogni potere, lasciando che il governo procedesse a colpi di decreto e di fiducia. Così sono passati l'Italicum, gli 80 euro con cui Renzi si è «comprato» le elezioni europee, il decreto cultura, la riforma costituzionale e così via. E il presidente della Repubblica, il sacro garante della Costituzione? Niente, neanche una parola. In compenso, una volta diventato emerito e lasciato il posto a Sergio Mattarella, l'ex capo dello Stato si è speso per sostenere il sì al referendum costituzionale del governo, concedendo interviste a destra e a manca. E ora che la testa di Renzi è caduta e dopo la presidenza del Consiglio ha dovuto lasciare anche la segreteria del Pd, il grande vecchio che fa? Monta in cattedra e dall'alto dello scranno più alto di Palazzo Madama tira cazzotti sullo sconfitto dicendo che il Partito democratico e i suoi governi sono stati «respinti dagli elettori». Ovviamente Napolitano non parla a caso, ma perché vuole spianare la resistenza nel suo partito a un'alleanza con i Cinque stelle o con il centrodestra. L'ex presidente attacca Renzi, per costringere gli altri a sferrare il calcio definitivo e dare vita all'ammucchiata. Dopo una vita passata a tirare i fili del potere, re Giorgio dunque non si rassegna alla pensione e spera di essere ancora il grande burattinaio della diciottesima legislatura. Una cosa però Napolitano l'ha detta giusta: il voto del 4 marzo è stato «un vero e proprio spartiacque». Già, dal 4 marzo non c'è più bisogno di lui.
Un appuntamento che, nelle parole del governatore, non è solo sportivo ma anche simbolico: «Come Lombardia abbiamo fortemente voluto le Olimpiadi – ha detto – perché rappresentano una vetrina mondiale straordinaria, capace di lasciare al territorio eredità fondamentali in termini di infrastrutture, servizi e impatto culturale».
Fontana ha voluto sottolineare come l’esperienza olimpica incarni a pieno il “modello Lombardia”, fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato e sulla capacità di trasformare le idee in progetti concreti. «I Giochi – ha spiegato – sono un esempio di questo modello di sviluppo, che parte dall’ascolto dei territori e si traduce in risultati tangibili, grazie al pragmatismo che da sempre contraddistingue la nostra regione».
Investimenti e connessioni per i territori
Secondo il presidente, l’evento rappresenta un volano per rafforzare processi già in corso: «Le Olimpiadi invernali sono l’occasione per accelerare investimenti che migliorano le connessioni con le aree montane e l’area metropolitana milanese».
Fontana ha ricordato che l’80% delle opere è già avviato, e che Milano-Cortina 2026 «sarà un laboratorio di metodo per programmare, investire e amministrare», con l’obiettivo di «rispondere ai bisogni delle comunità» e garantire «risultati duraturi e non temporanei».
Un’occasione per il turismo e il Made in Italy
Ampio spazio anche al tema dell’attrattività turistica. L’appuntamento olimpico, ha spiegato Fontana, sarà «un’occasione per mostrare al mondo le bellezze della Lombardia». Le stime parlano di 3 milioni di pernottamenti aggiuntivi nei mesi di febbraio e marzo 2026, un incremento del 50% rispetto ai livelli registrati nel biennio 2024-2025. Crescerà anche la quota di turisti stranieri, che dovrebbe passare dal 60 al 75% del totale.
Per il governatore, si tratta di una «straordinaria opportunità per le eccellenze del Made in Italy lombardo, che potranno presentarsi sulla scena internazionale in una vetrina irripetibile».
Una Smart Land per i cittadini
Fontana ha infine richiamato il valore dell’eredità olimpica, destinata a superare l’evento sportivo: «Questo percorso valorizza il dialogo tra istituzioni e la governance condivisa tra pubblico e privato, tra montagna e metropoli. La Lombardia è una Smart Land, capace di unire visione strategica e prossimità alle persone».
E ha concluso con una promessa: «Andiamo avanti nella sfida di progettare, coordinare e realizzare, sempre pensando al bene dei cittadini lombardi».
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Francesco Zambon (Getty Images)
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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