
Generale (troppo) osannato da esercito e popolo, fu spedito dal Direttorio a combattere tra le Piramidi. Ma in gran segreto tornò a Parigi, in preda al caos, e prese il potere. Cominciava così una nuova epoca.Il 3 gennaio 1798, nei saloni del ministero degli Esteri, si svolge una serata degna dei fasti dell'Ancien régime. Il ministro Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord fa gli onori di casa, accogliendo le personalità più importanti del Direttorio e della buona società. Ospite d'onore è Joséphine Bonaparte. Talleyrand ha preferito dedicare a lei la festa, invece che al suo popolarissimo sposo, per non accrescere le invidie dei Direttori.Mentre risuona le Chant du départ di Andrea Chénier, i 500 invitati si dirigono a tavola. L'attenzione è tutta rivolta a quell'uomo magro, dal colorito giallastro e di bassa statura, che indossa una redingote grigia abbottonata fino al collo e «sembra, da solo, occupare tutto lo spazio». Napoleone Bonaparte.Durante la cena, il ministro degli Esteri - affetto da una malformazione al piede - si tiene diritto dietro la sedia della «cittadina Bonaparte» e la serve, come usava nei pranzi di gala di Versailles. Qualche giorno prima si era svolta un'altra celebrazione. Talleyrand aveva introdotto il generale rientrato vittorioso dall'Italia «la cui gloria, che getta sulla Francia un così grande splendore, appartiene alla Rivoluzione», e aveva aggiunto: «Nessuno ignora il suo profondo disprezzo per l'esibizionismo, il lusso, il fasto, le miserabili ambizioni umane... Guardiamoci dal temere ciò che qualcuno vorrebbe definire la sua ambizione. Sento che un giorno dovremo far pressione su di lui, per sottrarlo ai piaceri del suo studioso isolamento».Il Direttorio, tuttavia, non è convinto che Bonaparte aspiri «all'isolamento» e cerca di ricondurlo sotto l'egida repubblicana. Lo costringe persino a partecipare all'anniversario dei festeggiamenti per la condanna di Luigi XVI. All'inizio, Napoleone si era opposto: «Non se ne parla! Non intendo assistere a una festa di cannibali!», ma l'ex vescovo di Autun lo aveva convinto a prendervi parte, per ragioni di opportunità. Proprio in quell'occasione, i Direttori devono prendere atto dell'immensa popolarità del generale. È impossibile assimilare la sua figura alla loro, così come è impossibile chiuderla nel solco sanguinoso degli eccessi della Rivoluzione.Comincia a maturare il pensiero che sarebbe meglio allontanare dalla Francia quell'individuo troppo popolare e fortunato, mandarlo a guerreggiare in un luogo dal quale potrebbe non tornare. Paradossalmente, anche Napoleone propende per quella soluzione. Vuole il comando di una missione diretta all'altro capo del Mediterraneo. «L'Europa è una tana di talpe - dichiara - Tutte le grandi personalità sono arrivate dall'Oriente». Il progetto sembra alquanto bizzarro. Il Direttorio traballa, la Costituzione non viene rispettata, il Paese è esausto, si ordiscono continui complotti, il Mediterraneo rigurgita di navi inglesi. Sarebbe logico restare nei paraggi e aspettare gli eventi. Ma il “Grande Corso" si lancia nella più arrischiata delle sue imprese, in cui potrebbe perdere tutto. La Campagna d'Egitto. L'idea di conquistare l'antica terra dei faraoni (e dare una lezione agli inglesi, contrastandone l'accesso all'India) è appoggiata non solo dai capi di Francia, ma dal ministro degli Esteri.È il 19 maggio 1798 quando Bonaparte salpa da Tolone, a capo di una flotta composta da 60 navi da guerra, quasi 300 navi da trasporto, 16.000 marinai e più di 40.000 soldati. Inoltre, conduce con sé un gruppo di studiosi, circa 150, guidati da Joseph Fourier, che diverrà il capo dell'Institut d'Egypte. Essi avranno il merito di far conoscere al mondo l'antico Egitto e scoprire la stele di Rosetta, usata da Jean-François Champollion per decifrare i geroglifici. Conquistata Malta, il generale prende Alessandria il 1 luglio; poi si dirige verso il Cairo. È rimasta famosa la frase con cui si è rivolto all'esercito prima della Battaglia delle Piramidi: «Soldati, dall'alto delle Piramidi, 40 secoli di storia vi guardano!». Quindi, il 21 luglio, schiaccia l'armata turca dei Mamelucchi. Purtroppo, il 1 agosto la flotta francese viene distrutta da quella inglese - che l'aveva seguita - nella baia di Aboukir. Bonaparte è tagliato fuori da tutto e rischia di restare imbottigliato. In settembre, in Francia ancora si festeggiano le vittorie dell'armata, quando arriva la notizia. La situazione si aggrava su tutti i fronti, le truppe sono costrette a retrocedere e le conquiste italiane vanno perse. I nemici del regime cercano «l'uomo della Provvidenza». Emmanuel Sieyès dichiara che serve «una testa e una spada», ma non ha né l'una né l'altra.Napoleone non si perde d'animo. Innanzitutto, crea un'importante struttura culturale al Cairo, dove lavorano gli studiosi giunti con lui. Poi si dirige verso la Siria, conquista Gaza il 24 febbraio 1799 e Giaffa il 7 marzo. Il pittore Antoine Gros lo raffigura mentre fa visita ai soldati contagiati dalla peste. Insieme al generale Jean-Baptiste Kléber, combatte i turchi sul monte Thabor e vince. Quindi assedia San Giovanni d'Acri, antica fortezza dei Crociati, ma le cose volgono al peggio e Napoleone torna al Cairo. Il 25 luglio, ad Aboukir, ha la soddisfazione di sconfiggere l'immenso esercito ottomano guidato da Mustafa Pacha. Una rivincita concessagli dal fato.Le notizie che giungono dalla Francia si fanno più disastrose, per cui decide di rientrare in tutta segretezza in patria, lasciando il comando a Kléber. Nessuno, a Parigi, sa di questa scelta, tranne il ministro della Polizia, Joseph Fouché. È stato avvisato da Joséphine, che per 1.000 luigi gli ha venduto la novella. La creola ha le mani bucate e in più necessita del suo appoggio, perché in quei mesi ha ingannato il tempo - e il marito - fra le braccia di un bel giovanotto, tale Hippolyte Charles. Solo Fouché è in grado di «insabbiare» la faccenda... Napoleone sbarca a Frejus il 9 ottobre 1799, accolto dall'entusiasmo generale: a nessuno importa che la campagna sia stata o meno un successo, l'essenziale è che sia tornato. Il 16 ottobre è nella capitale: i Direttori inorridiscono, vorrebbero farlo gettare in prigione per aver abbandonato il comando dell'esercito. Fouché li gela: «Bonaparte non è uomo da farsi arrestare, e io non sono quello che ci proverà». Furioso per lo stato in cui ha trovato il Paese, Napoleone inizia a tessere il complotto che deve rovesciare il governo. Il ministro della Polizia lo va a trovare, gli spiega nel dettaglio la situazione della Francia, eppure non assume una posizione esplicita, semplicemente attendista. Ma, come dice Stefan Zweig, «tradisce il Direttorio con il suo silenzio, con il suo silenzio si impegna con Bonaparte». Talleyrand, invece, si mette dalla sua parte, insieme a Pierre-Louis Roederer, Roger Ducos e Siéyes. I suoi grandi sponsor, tuttavia, sono i banchieri. Insieme a molti deputati e senatori, che vengono convinti o comprati. La stampa, in tutto questo, tace.Arriva finalmente il 9 novembre 1799, alias il 18 Brumaio. Talleyrand e Roederer vanno da Barras e lo fanno dimettere, alternando minacce e promesse. Le due Camere, il Consiglio degli anziani e quello dei Cinquecento, vengono trasferite a Saint-Cloud, per evitare che il popolo o i giacobini si immischino. Giunge anche l'esercito. Il giorno dopo, 19 Brumaio, si svolge l'assemblea di Saint-Cloud. Sulle prime, Bonaparte non fa una figura straordinaria: vorrebbe che le Camere votassero da sole il proprio scioglimento e la cessione dei poteri nelle sue mani, ma non accade. «Il Dio delle battaglie è con me!» balbetta di fronte al Consiglio dei Cinquecento, che per tutta risposta vorrebbe metterlo fuori legge e dunque mandarlo alla ghigliottina.È suo fratello Luciano Bonaparte, presidente dei Cinquecento, a salvare la situazione. Prima fa slittare il voto, poi arringa l'esercito che attende all'esterno e dice ai soldati che il loro generale è in pericolo. Puntando la spada al collo di Napoleone, esclama: «Non esiterei un momento a uccidere mio fratello, se sapessi che stesse attentando alle libertà di Francia!». Sopraggiungono Joachim Murat e Emmanuel Leclerc con la cavalleria, mentre Bonaparte si scuote e autorizza i sostenitori a disperdere i pavidi Cinquecento. Molti di loro, a quel punto, scappano dalla finestra. Dopodiché vengono emanati i decreti che nominano i consoli provvisori, cioè Bonaparte, Sieyès e Roger Ducos. Il figlio della selvaggia Corsica ha vinto: continuatore e al tempo stesso «terminale ultimo» della Rivoluzione, può traghettare il paese fuori dalle secche, verso la stabilità, la pacificazione e la modernizzazione.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.