
Avviata la selezione: la privatizzazione, che deve essere conclusa entro la fine del 2024, potrebbe accelerare.Il ministero dell’Economia avvia l’iter per la dismissione della partecipazione di controllo nel Monte dei Paschi, guidata dall’ad Luigi Lovaglio, con la selezione degli advisor che dovranno supportarlo con l’obiettivo di una «piena valorizzazione della partecipazione, da realizzarsi nell’interesse della banca e di tutti i suoi azionisti, tenuto conto del miglioramento della redditività e dell’accresciuta patrimonializzazione, nonché delle prospettive di ulteriore sviluppo». Il comunicato è partito dal Mef nel tardo pomeriggio. Indicando che è stata avviata la selezione per individuare i consulenti «finanziario e legale» che assisteranno l’azionista pubblico «nell’individuazione delle migliori modalità di dismissione della partecipazione di controllo» e «forniranno tale supporto in tutte le fasi di attuazione dell’operazione». La cessione della banca, come prevede un decreto del dicembre 2020, potrà avvenire «in una o più fasi, attraverso il ricorso singolo o congiunto a un’offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, compresi i dipendenti del gruppo Mps, e/o a investitori istituzionali italiani e internazionali, ovvero a una trattativa diretta da realizzare attraverso procedure competitive trasparenti e non discriminatorie, oppure ancora a una o più operazioni straordinarie, inclusa un’operazione di integrazione», viene aggiunto dal ministero. Nelle ultime settimane il destino del Monte dei Paschi è tornato di attualità dopo che si è aperto un dibattito interno alla maggioranza di governo sul destino della quota del 64% ancora detenuta dal ministero dell’Economia e delle finanze soprattutto alla luce dell’esigenza di accelerare sul fronte delle privatizzazioni, come già sottolineato nella Nadef. Intanto, nella ricapitalizzazione precauzionale del 2017 sono stati investiti 5,4 miliardi di euro pubblici e l’anno scorso il Tesoro ha versato altri 1,9 miliardi per l’ennesimo aumento di capitale facendo salire il conto pagato dallo Stato a 7,3 miliardi con un prezzo medio di carico della partecipazione di circa 9 euro (oggi il titolo dell’istituto senese in Borsa ne vale 2,8).La discesa del Tesoro dal Monte, ricordiamolo, è stata concordata da tempo con l’Europa, anzi è pure slittata a fine 2024 perché non c’è la fila di cavalieri bianchi all’orizzonte. In mezzo a spinte improvvise con le solite voci di nozze imminenti e le solite smentite di chi viene tirato per la giacca verso l’altare, qualche settimana fa fonti finanziarie avevano fatto sapere a La Verità che prima di giugno 2024 la questione Mps non sarebbe stata aperta dal Mef che, in vista della manovra di bilancio da varare, avrebbero preferito evitare di riaprire l’ipotesi di uno «spezzatino» di Rocca Salimbeni. I piani sono stati cambiati all’improvviso? La selezione degli advisor è solo l’inizio di un processo che sarà lungo. Serviranno mesi ed è probabile che il dossier della discesa del Tesoro dal Monte con la cessione della quota entrerà nel vivo all’inizio del prossimo anno. Ma il pressing politico all’interno della maggioranza di governo, soprattutto di Forza Italia, si è fatto più intenso. E ieri è arrivato un segnale.A riaccendere il tanto atteso risiko bancario è stata, in realtà, un’assicurazione come Unipol (ha chiesto alla Bce l’autorizzazione a salire fino al 20% nel capitale della Banca popolare di Sondrio, dove da due anni è al 9,5% anche in vista di un possibile polo con Bper, di cui è già prima azionista con il 19,9%). Senza dimenticare l’altra partita «calda» dell’autunno del credito, ovvero l’assemblea sul rinnovo del cda di Mediobanca fissata per il 28 ottobre, legata a doppio filo con il futuro della partecipata Generali.
Kaja Kallas (Ansa)
I ministri della Cultura lanciano un appello per far fronte alla presunta minaccia di Vladimir Putin, invocando perfino l’uso del cinema per promuovere i valori dell’Unione. E Kaja Kallas manipola la storia: «Russia mai attaccata negli ultimi 100 anni». Scorda i nazisti...
Il circolo culturale di Bruxelles è salito in cattedra. Non trovando una strada percorribile e condivisa per mettere fine alla guerra in Ucraina, l’Unione europea ha deciso di buttarla sulla Storia, sulle infrastrutture culturali, sulla «resilienza democratica», «sui contenuti dai valori comuni». Armiamoci e studiate. Così ti viene il dubbio: stai a vedere che Fedor Dostoevskij torna ad essere praticabile nelle università italiane e il presidente Sergio Mattarella fra otto giorni va alla prima della Scala ad applaudire Dmitrij Sciostakovic. Niente di tutto questo, con la Russia non si condivide nulla. Lei rimane fuori, oltrecortina: è il nemico alle porte.
Volodymyr Zelensky e il suo braccio destro, Andriy Yermak (Ansa)
Perquisiti dall’Anticorruzione uffici e abitazione del «Cardinale verde»: parte dei fondi neri sarebbe servita a procurargli una casa di lusso. Lui e l’indagato Rustem Umerov dovevano strappare agli Usa una pace meno dura.
Alì Babà. Nelle mille ore (e mille e una notte) di registrazioni, che hanno permesso alle autorità ucraine di ascoltare i «ladroni» della Tangentopoli di Kiev, era quello il nome in codice di Andriy Yermak, braccio destro di Volodymyr Zelensky. Ieri, dopo un blitz degli agenti, è stato costretto a lasciare il suo incarico di capo dello staff del presidente. La Procura anticorruzione (Sapo) e l’Ufficio anticorruzione (Nabu) hanno condotto perquisizioni nel suo appartamento e nei suoi uffici. Non risulta indagato, ma la svolta pare imminente: la testata Dzerkalo Tyzhnia sostiene che a breve saranno trasmessi i capi d’imputazione.
Sergio Mattarella (Getty Images)
Rotondi: «Il presidente ha detto che non permetterà di cambiare le regole a ridosso del voto». Ma nel 2017 fu proprio Re Sergio a firmare il Rosatellum a 4 mesi dalle urne. Ora si rischia un Parlamento bloccato per impedire di eleggere un successore di destra.
Augusto Minzolini riferisce una voce raccolta da Gianfranco Rotondi. Durante un incontro tenuto con l’associazione che raggruppa gli ex parlamentari, Sergio Mattarella si sarebbe lasciato andare a un giudizio tranchant: «Non permetterò che si faccia una legge elettorale a ridosso del voto. Abbiamo avuto l’esperienza del Mattarellum, che fu approvato poco prima delle elezioni, e diversi partiti arrivarono alle urne impreparati. Bisogna dare il tempo alle forze politiche di organizzarsi e prepararsi alle nuove elezioni». Lasciamo perdere il tono usato dal capo dello Stato («non permetterò…» sembra una frase più adatta a un monarca che al presidente di una Repubblica parlamentare, ma forse l’inquilino del Quirinale si sente proprio un sovrano) e andiamo al sodo.
Francesco Saverio Garofani (Imagoeconomica)
Il consigliere anti Meloni applica il detto siciliano: «Piegati giunco che passa la piena».
La piena è passata e il giunco Francesco Saverio Garofani può tirare un sospiro di sollievo. Da giorni tutto tace e il consigliere di fiducia del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sorveglia rinfrancato gli umori dei palazzi e i tam-tam dei media. Calma piatta, le ostilità si sono placate.






