2020-12-02
Mps è l’alibi per assalire Unicredit. Ma sullo sfondo c’è il gioco Generali
Vincent Bolloré e Jean Pierre Mustier (Ansa)
Se il pallino del dopo Jean Pierre Mustier non resterà in mano alla politica, dedita a sistemare il Monte e i propri appetiti, si aprirà un nuovo riassetto. Stop alla vecchia filiera legata a Vincent Bolloré e riavvio del progetto di Intesa sul Leone.L'addio di Jean Pierre Mustier al timone di Unicredit fa paura al mercato. Che ora teme le conseguenze di un'invasione di campo della politica in veste di sensale di un matrimonio tra l'istituto di piazza Gae Aulenti e il Monte dei Paschi. Invece di privatizzare Mps il governo vuol nazionalizzare Unicredit, è la battuta amara che circola nelle sale operative. Dove ieri si è assistito a una grandinata di vendite sul titolo dell'istituto e a una raffica di bocciature da parte di numerose banche d'affari spaventate dai rischi cui si esporrebbe Unicredit salvando Rocca Salimbeni per consentire l'uscita dello Stato dal capitale. Il film sul futuro della seconda big del credito italiana si presta però a due possibili copioni. Se a scriverlo sarà il Mef, che per altro ha già spoilerato l'operazione con la candidatura di Pier Carlo Padoan a presidente, il mercato non prevede un lieto fine. Le nozze «spintanee» di Unicredit con Mps non sono per altro scontate. Vanno considerate tutte le incognite dell'operazione e i tempi necessari per metterla in campo che non coincidono con quelli serrati imposti dalla Bce per il rafforzamento patrimoniale di Siena. Ecco perché quello di Mps potrebbe non essere il vero movente dell'uscita di Mustier. Il quale, come abbiamo scritto ieri, era già da tempo in rotta con alcuni azionisti di peso della banca e potrebbe quindi aver deciso di anticipare il redde rationem previsto nella primavera 2021 utilizzando appunto come alibi il pressing su Mps alimentato dall'arrivo di Padoan. Alibi valido però anche per il copione alternativo a quello scritto dalla politica. E per questo, forse più suggestivo perché vede registi e obiettivi assai diversi. La trama va inquadrata nel contesto storico che sta vivendo il sistema bancario. Bisogna intanto ricordare che Unicredit è diventata ormai una public company: le fondazioni hanno ridotto il loro peso a pacchetti inferiori al 2% cedendo il posto a fondi stranieri come il gigante Blackrock, primo socio con più del 5%, o Capital Research, che non inseguono le sirene romane ma quelle del business. Vogliono, in sostanza, valorizzare il loro investimento. In generale, lo scacchiere è profondamente cambiato e con esso le alleanze dei poteri finanziari. Sono ormai lontani i tempi della fusione fra Unicredit e Capitalia, regno di Cesare Geronzi, varata come mossa ostile contro la finanza lombarda di Giovanni Bazoli, ancora oggi presidente emerito di Intesa, che suggeriva di trasformare Mediobanca nella merchant bank di Unicredit. Oggi alcune alleanze sono cambiate, al timone di Intesa c'è Carlo Messina che ha conquistato Ubi con Mediobanca in qualità di advisor suggellando dunque un nuovo asse con piazzetta Cuccia. E, di sponda, anche con la bolognese Unipol che proprio nei giorni scorsi ha «benedetto» un possibile matrimonio tra Bper (di cui la compagnia è il primo azionista) e il Banco Bpm. Cui si aggiunge l'Opa lanciata dal Credit Agricole sul Creval che potrebbe allargarsi anche ad altre prede come Carige e le Bcc di Cassa Centrale Banca. Francesi, sì, ma ben diversi da quelli capitanati un tempo da Vincent Bolloré, sceso al 5,6% di Mediobanca che ha ormai seppellito l'ascia di guerra su Tim mentre fa i conti con l'emendamento anti scalata su Mediaset. Quei vecchi schieramenti sono saltati, così come sono state sterilizzate le mosse di Leonardo Del Vecchio su Piazzetta Cuccia. All'ultima assemblea sul rinnovo del cda, il patron di Luxottica (fusa con Essilor) non ha presentato una sua lista e ha deciso di convergere sui candidati proposti da Assogestioni. Nessuna dichiarazione di guerra, dunque, da parte della Delfin di Del Vecchio che oggi ha il 10,16% del capitale, con il permesso della Bce per spingersi fino al 20%, e che è anche azionista di peso delle Generali (con il 4,8%) di cui Mediobanca possiede il 13 per cento. Quando durerà questa sorta di pax armata con il top management, si vedrà. Di certo, però, l'ad Alberto Nagel può contare su un sostegno del mercato ancora più forte rispetto al passato. Una fiducia conquistata grazie anche alla strategia di diversificazione che sta dando i suoi frutti con il balzo della divisione Corporate Investment banking che vede Mediobanca al centro delle ultime grandi operazioni in Italia e anche in Francia. Ed ecco che il copione ci porta a Unicredit. Non solo perché Del Vecchio ne è azionista con circa l'1,9% ma anche perché quello di Nagel è uno dei nomi spuntati per prendere il posto di Mustier. Quest'ultimo è inoltre amico personale dell'ad del Leone, Philippe Donnet a sua volta considerato vicino a Bolloré. Lo stesso Mustier ha inoltre tentato, a maggio, di sbarrare la strada all'operazione Intesa-Ubi intervenendo nel procedimento Antitrust per sottolineare che l'operazione avrebbe «comportato lo stravolgimento del mercato con lo smembramento di Ubi, al fine di impedire la creazione di un terzo polo bancario». I rapporti con l'ad di Intesa, Carlo Messina, non sono idilliaci dai tempi del tentato blitz di Intesa sulle Generali nel 2017. Mustier aveva esaltato il valore dell'italianità del Leone e la replica di Messina fu piccata: «Fa ridere chi difende l'italianità e lo fa in francese». Nel riassetto generale degli equilibri della finanza il movente finale potrebbe portare dunque verso Trieste, vero fortino da difendere, e non verso Siena. Fantafinanza? Chissà. Sempre meglio della politica.
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