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2022-10-10
Il Mozambico sprofonda nella violenza jihadista. Cristiani sgozzati e decapitati ogni giorno
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A settembre gli insorti mozambicani che hanno giurato fedeltà all’Isis nell’aprile 2018 (che li ha accettati come affiliati nell’agosto 2019), hanno effettuato numerosi attacchi a Cabo Delgado e Nampula, dove hanno distrutto infrastrutture, case e provocato vittime. Secondo la Displacement Tracking Matrix dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni, più di 15.400 persone a Cabo Delgado sono state registrate in movimento tra il 31 agosto e il 20 settembre. Circa il 60% delle persone in movimento ha riferito di aver viaggiato a causa di attacchi o paura di attacchi, mentre circa il 37% si sta muovendo con l'intenzione di rientrare nelle proprie regioni di origine o di ricongiungersi alle proprie famiglie. Secondo gli ultimi rilevamenti circa 47.000 sfollati si trovano nel distretto di Eráti, nella provincia di Nampula, e sono ospitati da familiari e amici. Il trend è continuato ad ottobre tanto che fonti citate dal portale di notizie Carta de Mozambiqu hanno indicato che gli uomini dell’Isis hanno fatto irruzione venerdì 7 ottobre nel villaggio di Ntapuala, vicino alla città di Macomia, dove hanno decapitato un uomo mentre lavorava nel suo campo e lo stesso giorno altre due persone sono state decapitate in un'area compresa tra i villaggi di Koko e Nangololo, tra Macomia e Meluco. Lo scorso 5 ottobre i miliziani della branca locale dello Stato islamico conosciuta con il nome di Ansar Al-Sunna Wa Jamma, nota anche come al-Shabaab, sono penetrati all’interno del villaggio cristiano di Oumba, nella regione di Moida di Cabo Delgado, e hanno ucciso sgozzandole almeno cinque persone. Lo stesso era accaduto il 3 ottobre scorso nei distretti di Meluco e Macomia, nella provincia mozambicana di Cabo Delgado, dove tre persone state decapitate dai jihadisti. La scorsa settimana Bernardino Rafael, capo della polizia mozambicana, ha chiesto alla popolazione della provincia di Cabo Delgado «di resistere di fronte agli attacchi jihadisti con coltelli o machete, vista la crescente insicurezza in questa zona». Poi ha sottolineato che le forze di sicurezza «offriranno addestramento militare ad alcuni membri della popolazione per creare una Forza locale con l'obiettivo di raggiungere una maggiore sicurezza», ma ha anche chiesto alla popolazione «maggiore vigilanza». L’area di Cabo Delgado è teatro dall'ottobre 2017 degli attacchi dei miliziani islamisti noti come al-Shabaab, estranei all'omonimo gruppo che opera in Somalia, e mantiene legami con al-Qaeda. Dalla metà del 2019 sono stati per lo più rivendicati dallo Stato islamico in Africa centrale, che ha intensificato le sue azioni da marzo 2020. La crescente instabilità nell’area ha provocato dal 2017 la morte di più di 4.000 persone e la fuga di quasi un milione di persone che secondo l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) «sono state costrette a fuggire dalle loro case nella provincia di Cabo Delgado, nel Mozambico settentrionale, colpita dal conflitto, da quando vi sono scoppiate violenze estreme cinque anni fa». Il leader del gruppo jihadista mozambicano è Abu Yasir Hassan, noto anche come Yaseer Hassan e Abu Qasim, si tratta di un cittadino tanzaniano nato tra il 1981 e il 1983 che nel marzo 2021 è stato designato dagli Stati Uniti come «terrorista globale appositamente designato» a causa delle sue attività nell'insurrezione e dei suoi noti legami con l'Isis.
L'Unhcr ha affermato che i suoi ultimi dati mostrano che 946.508 persone sono state sfollate entro la prima metà di quest'anno, sottolineando che il conflitto non si è placato e che migliaia di famiglie sono ancora costrette a lasciare le loro case a causa degli attacchi di gruppi armati non statali. Scorrendo il report dell’agenzia dell’Onu si legge che «le persone hanno assistito all'uccisione, alla decapitazione e allo stupro dei propri cari e le loro case e altre infrastrutture sono state rase al suolo. Anche uomini e ragazzi sono stati arruolati con la forza in gruppi armati. I mezzi di sussistenza sono andati perduti e l'istruzione è stata bloccata mentre l'accesso a beni di prima necessità come cibo e assistenza sanitaria è stato ostacolato. Molte persone sono state nuovamente traumatizzate dopo essere state costrette a trasferirsi più volte per salvarsi la vita». Il conflitto ora si sta estendendo anche ad altre provincie come quella di di Nampula, che a settembre è stata testimone di quattro attacchi di gruppi armati che hanno colpito almeno 47.000 persone e sfollato 12.000. Secondo Matteo Giusti saggista e africanista: «Il 4 ottobre è stato il trentennale dell’accordo di pace in Mozambico fra il Frelimo e la Renamo, un accordo mediato dalla comunità di Sant’Egidio che avrebbe dovuto aiutare il Paese a crescere pacificamente, ma l’ex colonia portoghese resta nel caos. Le province settentrionali, soprattutto Cabo Delgado, vedono attacchi quotidiani da parte di Isis Mozambico, la filiale locale dello Stato islamico. Villaggi attaccati, chiese bruciate, rapimenti e uccisioni stanno terrorizzando la popolazione che non riesce a tornare alle proprie case abbandonate ormai da mesi. I cristiani, la maggior comunità del Mozambico, sono l’obiettivo principale di questi islamisti che ogni volta che occupano un villaggio radunano gli “infedeli” nelle piazze per giustiziarli davanti a tutti». Nonostante le rassicurazioni pare che lo Stato mozambicano abbia le armi spuntate davanti a questa emergenza: «In questa terribile situazione l’esercito mozambicano, comprese le sue forze speciali addestrate da americani e portoghesi, si è dimostrato incapace di difendere il proprio Paese. Ma anche il supporto militare del Ruanda, che qui ha inviato mille uomini, e la task force della Comunità Economica dell’Africa Meridionale guidata dal Sud Africa non è riuscita ad arginare l’ondata jihadista. Palma, Mocimboa da Praia e le altre città del nord sono già cadute in mano ad Ansar al-Sunna e riconquistate a fatica dai governativi, ma oggi tutta la regione e a rischio conquista dell’Isis che qui vorrebbe fondare un califfato e mettere le mani sull’enorme ricchezza del sottosuolo». In soccorso del Mozambico si muove anche l’Europa, lo scorso 9 settembre il capo della diplomazia europea Josep Borrell si è recato in visita a Maputo dove ha ribadito sostegno dell'Ue al Mozambico annunciando nuovi aiuti militari per aiutare il Paese ad affrontare il terrorismo. Borrell ha incontrato nella capitale Maputo il presidente Filipe Nyusi, il ministro degli Esteri Veronica Macamo, e ha tenuto una conferenza stampa per esprimere «l'impegno e la solidarietà dell'Ue con il Mozambico nella sua lotta al terrorismo», oltre ad annunciare che l'Ue ha approvato ulteriori 15 milioni di euro di aiuti militari a sostegno del Mozambico nell'instabile provincia settentrionale di Cabo Delgado, regolarmente insanguinata dagli attacchi attribuiti ai jihadisti. I fondi forniranno a Maputo attrezzature e veicoli, tra le altre cose, e si aggiungono agli 89 milioni di euro già stanziati per sostenere le forze armate mozambicane, ha reso noto l'Ue in una nota. La sensazione però è che nonostante gli aiuti dei Paesi africani, degli Usa e dell’Ue il Mozambico, in particolare l’area di Cabo Delgado, continuerà a sprofondare sotto i colpi degli Ansar al-Sunna Wa Jamma. Un problema per la sicurezza del Mozambico e della sua popolazione ma non solo perché nell’area di Cabo Delgado -precisamente nella penisola di Afungi- si trova il più importante bacino di estrazione di gas naturale dell’intera Africa. Scoperto nel 2010, ha sconvolto per sempre le dinamiche della politica locale. Anche perché l’estrazione di idrocarburi in quest’area vale qualcosa come 150 miliardi di dollari e la prima produzione di gas naturale liquefatto (prevista per il 2024) è stimata in non meno di 43 milioni di tonnellate l’anno. Ora le attività estrattive sono ferme a causa dell’instabilità e le compagnie internazionali come Exxon che qui hanno investito miliardi di dollari rischiano di vedere andare in fumo i loro investimenti.
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Dopo la morte della missionaria comboniana, Suor Maria De Coppi, 83 anni, originaria di Vittorio Veneto, uccisa in un attacco contro una missione nel Nord del Mozambico lo scorso 7 settembre, non si è mai fermata l’ondata di terrore nel Paese africano. A settembre gli insorti mozambicani che hanno giurato fedeltà all’Isis nell’aprile 2018 (che li ha accettati come affiliati nell’agosto 2019), hanno effettuato numerosi attacchi a Cabo Delgado e Nampula, dove hanno distrutto infrastrutture, case e provocato vittime. Secondo la Displacement Tracking Matrix dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni, più di 15.400 persone a Cabo Delgado sono state registrate in movimento tra il 31 agosto e il 20 settembre. Circa il 60% delle persone in movimento ha riferito di aver viaggiato a causa di attacchi o paura di attacchi, mentre circa il 37% si sta muovendo con l'intenzione di rientrare nelle proprie regioni di origine o di ricongiungersi alle proprie famiglie. Secondo gli ultimi rilevamenti circa 47.000 sfollati si trovano nel distretto di Eráti, nella provincia di Nampula, e sono ospitati da familiari e amici. Il trend è continuato ad ottobre tanto che fonti citate dal portale di notizie Carta de Mozambiqu hanno indicato che gli uomini dell’Isis hanno fatto irruzione venerdì 7 ottobre nel villaggio di Ntapuala, vicino alla città di Macomia, dove hanno decapitato un uomo mentre lavorava nel suo campo e lo stesso giorno altre due persone sono state decapitate in un'area compresa tra i villaggi di Koko e Nangololo, tra Macomia e Meluco. Lo scorso 5 ottobre i miliziani della branca locale dello Stato islamico conosciuta con il nome di Ansar Al-Sunna Wa Jamma, nota anche come al-Shabaab, sono penetrati all’interno del villaggio cristiano di Oumba, nella regione di Moida di Cabo Delgado, e hanno ucciso sgozzandole almeno cinque persone. Lo stesso era accaduto il 3 ottobre scorso nei distretti di Meluco e Macomia, nella provincia mozambicana di Cabo Delgado, dove tre persone state decapitate dai jihadisti. La scorsa settimana Bernardino Rafael, capo della polizia mozambicana, ha chiesto alla popolazione della provincia di Cabo Delgado «di resistere di fronte agli attacchi jihadisti con coltelli o machete, vista la crescente insicurezza in questa zona». Poi ha sottolineato che le forze di sicurezza «offriranno addestramento militare ad alcuni membri della popolazione per creare una Forza locale con l'obiettivo di raggiungere una maggiore sicurezza», ma ha anche chiesto alla popolazione «maggiore vigilanza». L’area di Cabo Delgado è teatro dall'ottobre 2017 degli attacchi dei miliziani islamisti noti come al-Shabaab, estranei all'omonimo gruppo che opera in Somalia, e mantiene legami con al-Qaeda. Dalla metà del 2019 sono stati per lo più rivendicati dallo Stato islamico in Africa centrale, che ha intensificato le sue azioni da marzo 2020. La crescente instabilità nell’area ha provocato dal 2017 la morte di più di 4.000 persone e la fuga di quasi un milione di persone che secondo l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) «sono state costrette a fuggire dalle loro case nella provincia di Cabo Delgado, nel Mozambico settentrionale, colpita dal conflitto, da quando vi sono scoppiate violenze estreme cinque anni fa». Il leader del gruppo jihadista mozambicano è Abu Yasir Hassan, noto anche come Yaseer Hassan e Abu Qasim, si tratta di un cittadino tanzaniano nato tra il 1981 e il 1983 che nel marzo 2021 è stato designato dagli Stati Uniti come «terrorista globale appositamente designato» a causa delle sue attività nell'insurrezione e dei suoi noti legami con l'Isis. L'Unhcr ha affermato che i suoi ultimi dati mostrano che 946.508 persone sono state sfollate entro la prima metà di quest'anno, sottolineando che il conflitto non si è placato e che migliaia di famiglie sono ancora costrette a lasciare le loro case a causa degli attacchi di gruppi armati non statali. Scorrendo il report dell’agenzia dell’Onu si legge che «le persone hanno assistito all'uccisione, alla decapitazione e allo stupro dei propri cari e le loro case e altre infrastrutture sono state rase al suolo. Anche uomini e ragazzi sono stati arruolati con la forza in gruppi armati. I mezzi di sussistenza sono andati perduti e l'istruzione è stata bloccata mentre l'accesso a beni di prima necessità come cibo e assistenza sanitaria è stato ostacolato. Molte persone sono state nuovamente traumatizzate dopo essere state costrette a trasferirsi più volte per salvarsi la vita». Il conflitto ora si sta estendendo anche ad altre provincie come quella di di Nampula, che a settembre è stata testimone di quattro attacchi di gruppi armati che hanno colpito almeno 47.000 persone e sfollato 12.000. Secondo Matteo Giusti saggista e africanista: «Il 4 ottobre è stato il trentennale dell’accordo di pace in Mozambico fra il Frelimo e la Renamo, un accordo mediato dalla comunità di Sant’Egidio che avrebbe dovuto aiutare il Paese a crescere pacificamente, ma l’ex colonia portoghese resta nel caos. Le province settentrionali, soprattutto Cabo Delgado, vedono attacchi quotidiani da parte di Isis Mozambico, la filiale locale dello Stato islamico. Villaggi attaccati, chiese bruciate, rapimenti e uccisioni stanno terrorizzando la popolazione che non riesce a tornare alle proprie case abbandonate ormai da mesi. I cristiani, la maggior comunità del Mozambico, sono l’obiettivo principale di questi islamisti che ogni volta che occupano un villaggio radunano gli “infedeli” nelle piazze per giustiziarli davanti a tutti». Nonostante le rassicurazioni pare che lo Stato mozambicano abbia le armi spuntate davanti a questa emergenza: «In questa terribile situazione l’esercito mozambicano, comprese le sue forze speciali addestrate da americani e portoghesi, si è dimostrato incapace di difendere il proprio Paese. Ma anche il supporto militare del Ruanda, che qui ha inviato mille uomini, e la task force della Comunità Economica dell’Africa Meridionale guidata dal Sud Africa non è riuscita ad arginare l’ondata jihadista. Palma, Mocimboa da Praia e le altre città del nord sono già cadute in mano ad Ansar al-Sunna e riconquistate a fatica dai governativi, ma oggi tutta la regione e a rischio conquista dell’Isis che qui vorrebbe fondare un califfato e mettere le mani sull’enorme ricchezza del sottosuolo». In soccorso del Mozambico si muove anche l’Europa, lo scorso 9 settembre il capo della diplomazia europea Josep Borrell si è recato in visita a Maputo dove ha ribadito sostegno dell'Ue al Mozambico annunciando nuovi aiuti militari per aiutare il Paese ad affrontare il terrorismo. Borrell ha incontrato nella capitale Maputo il presidente Filipe Nyusi, il ministro degli Esteri Veronica Macamo, e ha tenuto una conferenza stampa per esprimere «l'impegno e la solidarietà dell'Ue con il Mozambico nella sua lotta al terrorismo», oltre ad annunciare che l'Ue ha approvato ulteriori 15 milioni di euro di aiuti militari a sostegno del Mozambico nell'instabile provincia settentrionale di Cabo Delgado, regolarmente insanguinata dagli attacchi attribuiti ai jihadisti. I fondi forniranno a Maputo attrezzature e veicoli, tra le altre cose, e si aggiungono agli 89 milioni di euro già stanziati per sostenere le forze armate mozambicane, ha reso noto l'Ue in una nota. La sensazione però è che nonostante gli aiuti dei Paesi africani, degli Usa e dell’Ue il Mozambico, in particolare l’area di Cabo Delgado, continuerà a sprofondare sotto i colpi degli Ansar al-Sunna Wa Jamma. Un problema per la sicurezza del Mozambico e della sua popolazione ma non solo perché nell’area di Cabo Delgado -precisamente nella penisola di Afungi- si trova il più importante bacino di estrazione di gas naturale dell’intera Africa. Scoperto nel 2010, ha sconvolto per sempre le dinamiche della politica locale. Anche perché l’estrazione di idrocarburi in quest’area vale qualcosa come 150 miliardi di dollari e la prima produzione di gas naturale liquefatto (prevista per il 2024) è stimata in non meno di 43 milioni di tonnellate l’anno. Ora le attività estrattive sono ferme a causa dell’instabilità e le compagnie internazionali come Exxon che qui hanno investito miliardi di dollari rischiano di vedere andare in fumo i loro investimenti.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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