2021-07-13
Trasformati in Movimento azienda. Conte fa l’ad, ma Grillo è il padrone
Giuseppe Conte (Getty Images)
Mentre i grillini esultano per lo scampato pericolo della scissione, il nuovo statuto disegna una diarchia classica. Con il comico che potrà bloccare qualunque operazione sgradita richiamandosi ai sacri princìpi.Forse bastava andare dal commercialista. Giuseppe Conte deciderà le strategie politiche e come attuarle, scegliendo il gruppo dirigente, mentre Beppe Grillo controllerà il rispetto delle regole interne e dei valori fondativi. Insomma, con una diarchia classica tra presidente di campanello e amministratore delegato, spunta la nuova mutazione grillina: il Movimento-azienda. Con tutti i generali e colonnelli di M5s a farsi i complimenti per lo scampato pericolo della scissione, ma con una coabitazione tra i due leader che si preannuncia per nulla semplice. Perché al di là dello statuto che verrà, che cosa succederà quando Grillo riterrà che le scelte di Conte, magari in tema di Giustizia, sostegno al governo Draghi, scelta del candidato per il Quirinale o criteri per la compilazione delle prossime liste elettorali, non siano «in linea con i principi fondativi»? Avrà diritto di veto? Dovrà abbozzare? Potrà trascinare l'ex sedicente «avvocato del popolo» di fronte ai probiviri, la cui selezione spetta tutta al «Garante» di Genova Sant'Ilario? Sono queste le domande che si fanno nei gruppi parlamentari dei 5 stelle, dopo la soddisfazione per l'accordo a sorpresa del weekend. Beppe Grillo, dal 1994 in poi, è stato in prima fila nella critica di Forza Italia, definita «partito-azienda», dove non solo gl'interessi della Fininvest, ma anche l'organizzazione «padronale» voluta dal Cavaliere sarebbe stata un affronto imperdonabile alla democrazia rappresentativa. Ora, in una domenica di luglio, insieme al giurista Conte, in precedenza investito dall'alto (cioè da Grillo medesimo) partorisce un accordo che prevede una spartizione delle regole di stampo aziendale e con la vecchia base digitale del Movimento che sarà chiamata a ratificare come nelle assemblee. Il problema è che chi, tra fedelissimi del comico genovese, ha visto la bozza finale dello statuto, si dice convinto che Grillo potrà bloccare qualunque operazione sgradita anche solo richiamandosi ai sacri princìpi. Mentre se si gira la medesima domanda in zona Conte, si sottolinea l'esatto contrario: il presidente potrà solo controllare che il Movimento non sia snaturato. Il problema è che Conte e Grillo sono geneticamente diversi: il primo si rigira agevolmente tra commi e interpretazioni «autentiche», il secondo va di pancia e se c'è qualcosa che non gli garba sale su un predellino e ti manda l'avviso di sfratto. Dunque, in teoria, la ripartizione dei poteri, ottenuta con la mediazione di Roberto Fico e Luigi Di Maio, sarebbe la seguente. Conte avrà in mano la guida politica del Movimento e le leve operative per attuarla giorno per giorno. Mentre Grillo controllerà il rispetto delle regole e dei principi pentastellati, compito ben meno gravoso e che gli consentirà di occuparsi della sua creatura politica solo in casi gravi o negli snodi fondamentali della legislatura. L'ex premier ha anche concordato con una divisione dei poteri ben definita per quanto riguarda le poltrone di partito. I membri della segreteria e i vicepresidenti saranno scelti personalmente dall'avvocato devoto a Padre Pio, mentre probiviri e comitato di garanzia saranno decisi dal presidente. Insomma, per fare un esempio di quelli molto concreti, se Conte e il suo tesoriere portassero il finanziamento di un'azienda che non piace a Grillo, questi potrebbe facilmente bloccarlo con i suoi fedelissimi schierati negli organismi di garanzia. E se la futura segreteria, in vista delle elezioni generali del 2023, scegliesse candidati non in linea con i famosi principi fondativi, Grillo ci metterebbe un secondo a scatenare un'operazione interna tipo «liste pulite». E la famosa democrazia diretta, vanto e marchio di fabbrica del Movimento delle origini? Resterà, ma in forma più leggera, con la base chiamata a ratificare le scelte «aziendali», o a scegliere singoli candidati all'interno di rose predeterminate. Se questa è la vera posta in gioco, al di là dello statuto interno, sarebbe surreale astrarsi dall'attuale fase politica. Ci sono almeno due temi che, in base all'accordo sancito tra Grillo e Conte, passerebbero immediatamente nelle mani del secondo: la riforma Cartabia della Giustizia e lo stesso sostegno al governo di Mario Draghi. Sulla Giustizia, Conte ha smentito di aver provato a tirare per la giacchetta i quattro ministri del Movimento, a cominciare da Stefano Patuanelli che è ormai un suo fedelissimo, affinché si opponessero. Ma non c'è dubbio che sia intervenuto anche Grillo, in senso contrario, ovvero a favore del pateracchio su prescrizione e dintorni e senza lamentarsi neppure un po' che lo scandalo Palamara sia stato bellamente ignorato da Via Arenula come da Palazzo Chigi. Ma adesso che si fa? La linea sulla giustizia la darà Conte, ma nel «contratto» hanno deciso che sarà quella di Grillo? Altro problema è che Conte non è disposto a fare sconti a Draghi e secondo molti non vedrebbe l'ora di andare all'opposizione. Difficile però, che, decida da solo. Come spiega un ex ministro grillino dalla battuta pronta, «adesso discuteremo per mesi sulla differenza tra linea politica e scelte fondamentali». E già tutti scommettono che per Grillo, la linea politica affidata a Conte sarà poco più che il cabotaggio quotidiano. Perché qui il presidente resta proprietario e Conte un dipendente.