2022-06-07
Mosca e Pechino prendono l’Africa per il Corno
La Russia si radica in Sudan acquisendo miniere d’oro. La Cina si spaccia per «pacificatrice». Entrambe guardano al Mar Rosso.La crisi ucraina sta portando Russia e Cina a rafforzare ulteriormente la loro influenza sul continente africano: una dinamica, questa, che non riguarda soltanto il Mediterraneo e il Sahel, ma anche il Corno d’Africa e le regioni limitrofe. Il Sudan, per esempio, sta progressivamente scivolando nell’orbita di Mosca: un processo acceleratosi dopo il golpe dello scorso ottobre. Come riferito dal New York Times, il Wagner Group è riuscito ad assicurarsi in loco delle importanti concessioni minerarie: concessioni che sono in grado di garantire alla Russia un cospicuo flusso di oro. Si tratta di un fattore notevole che consente potenzialmente al Cremlino di contrastare gli effetti delle sanzioni occidentali. Tra l’altro, sempre in Sudan, Mosca sta cercando di assicurarsi maggiori rifornimenti di uranio, oltre ad essere in trattativa per una base navale che si affaccerebbe sul Mar Rosso: un elemento che permetterebbe ai russi di consolidare la propria proiezione sul Medio Oriente.Anche la Cina non sta rimanendo con le mani in mano. Pechino, il cui ministero degli Esteri ha criticato ieri le nuove sanzioni europee a Mosca, convocherà infatti una conferenza internazionale per il Corno d’Africa ad Addis Abeba il prossimo 20 giugno: un summit con cui il Dragone punterebbe a ritagliarsi il ruolo di mediatore nelle varie turbolenze che stanno segnando l’area. Come notato dal South China Morning Post, questa mossa costituisce un cambiamento della politica di non intervento che finora la Repubblica popolare ha dichiarato di portare avanti. Del resto, Pechino mira a conseguire vari obiettivi. Innanzitutto, vuole tutelare i suoi poderosi investimenti infrastrutturali nell’area (soprattutto in Kenya, Etiopia e nello stesso Sudan). Non è tra l’altro escluso che questa svolta politica preluda a un rafforzamento militare: la Cina possiede infatti già una base nel Gibuti, che si affaccia nei pressi dello stretto di Bab-el-Mandeb. Una base che garantisce quindi a Pechino una proiezione sullo Yemen.Questo significa che Russia e Cina considerano la propria espansione nel continente africano come un dossier strettamente correlato all’incremento d’influenza sul Medio Oriente. Non dimentichiamo d’altronde che proprio Africa e Medio Oriente risultano le aree che saranno maggiormente colpite dalla crisi alimentare innescata dall’invasione russa dell’Ucraina: secondo Oxfam, si registreranno degli effetti drammatici soprattutto in Paesi come Somalia, Etiopia e Kenya. Un fattore che né Pechino né Mosca ovviamente ignorano e su cui potrebbero far leva in due modi. In primis, potrebbero cercare di sfruttarlo per incrementare il proprio soft power: dopo la diplomazia vaccinale, sta adesso prendendo sempre più piede quella dei fertilizzanti. A marzo, la Cina ha siglato con l’Algeria un accordo da 7 miliardi di dollari in questo settore, mentre Vladimir Putin ha di recente ricevuto il presidente dell’Unione africana, Macky Sall, per parlare - tra le altre cose - proprio di fertilizzanti. Un secondo aspetto da considerare è che l’asse sino-russo potrebbe far leva sulla crisi alimentare, per spingere appositamente copiosi flussi migratori verso l’Unione europea, come strumento di pressione politica sull’Occidente.Più in generale, Pechino e Mosca vogliono consolidare la propria influenza sul continente africano per continuare ad acquisire peso in sede Onu. Non è un caso che, quando fu votata ad aprile la risoluzione per sospendere la Russia dal Consiglio per i diritti umani, gran parte dei Paesi africani si astenne o votò contro. Ma c’è un terzo attore particolarmente attivo nel Corno d’Africa: la Turchia, che lo scorso novembre ha donato veicoli militari alla Somalia e che, dal 2017, dispone di una base militare a Mogadiscio.In tutto questo, bisogna sempre ricordare che ultimamente Arabia saudita ed Emirati arabi si sono avvicinati sia alla Russia che alla Cina. La stessa Turchia ha di recente migliorato i propri rapporti con Abu Dhabi e Riad: quella Turchia che è, sì, parte della Nato, ma che porta comunque avanti una politica spregiudicata e ambigua (a partire proprio dai suoi rapporti con Mosca). Nonostante significative difficoltà come il jihadismo in Somalia, Pechino, Mosca e Ankara stanno insomma integrando il rafforzamento della propria longa manus sul Corno d’Africa con il consolidamento della loro influenza sul Medio Oriente.Una serie di dinamiche che rischiano di rendere l’Occidente sempre più isolato. Sia gli Stati Uniti che l’Unione europea scontano infatti l’assenza di una precisa strategia geopolitica africana, mentre gli errori di Joe Biden stanno spingendo progressivamente sauditi ed emiratini verso l’orbita sino-russa. È pur vero che la Casa Bianca ha di recente ripristinato la presenza di truppe americane in Somalia con finalità antiterroristiche. Ma questo non basta. Serve una strategia complessiva, che guardi al Mediterraneo e all’intero continente africano, impegnandosi nel soft power e rilanciando quel fianco meridionale della Nato che è stato colpevolmente trascurato per troppo tempo. L’Occidente deve darsi una svegliata. E deve farlo presto.
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