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2024-05-21
Teheran (per adesso) in mano a un filorusso
Mohammad Mokhber (Ansa)
È uno scenario ricco di incognite quello che si apre con la morte di Ebrahim Raisi, rimasto ucciso l’altro ieri insieme al ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, a seguito di un incidente in elicottero.
Innanzitutto a livello di politica interna: arrivato alla presidenza iraniana nel 2021, Raisi era considerato un possibile successore dell’ayatollah Ali Khamenei alla carica di guida suprema. Non è quindi escludibile che la sua improvvisa scomparsa possa portare a un periodo di instabilità politica, scatenando una lotta di potere. La presenza di Khamenei ai vertici della Repubblica islamica rende improbabile che possano verificarsi dei cambiamenti di rotta sostanziali nella politica iraniana. Le incognite sorgono semmai su altre questioni. In primis, c’è l’età dello stesso Khamenei: ha 85 anni e il fatto che uno dei suoi più probabili successori sia improvvisamente morto crea una potenziale instabilità. Va anche ricordato che, assieme a Raisi, veniva dato in corsa il figlio dello stesso Khamenei, Mojtaba, che adesso potrebbe acquisire maggior peso politico. Non è comunque chiaro se disponga del sostegno sufficiente per arrivare alla carica di guida suprema. In secondo luogo, si apre la partita per la presidenza. Le Guardie della rivoluzione faranno di tutto per mantenere la loro influenza su questo scranno: in tal senso, un nome che già circola è quello del presidente del parlamento, Mohammad Baqer Qalibaf. Il punto è che non si possono escludere delle divisioni tra gli stessi pasdaran. Bisognerà infine capire se, oltre ai funerali in programma giovedì, si svolgeranno manifestazioni di piazza. E, in caso, di quale orientamento.
Le prossime elezioni sono state programmate per il 28 giugno. Per il momento, l’incarico di presidente è passato nelle mani del primo vicepresidente iraniano, Mohammad Mokhber. Considerato assai vicino a Khamenei, Mokhber è un ex ufficiale delle Guardie della rivoluzione e intrattiene stretti legami con la Russia. Fu proprio lui, nell’ottobre 2022, a concludere un accordo con Mosca per fornirle droni e missili. Guarda caso, ieri Vladimir Putin e Mokhber hanno avuto una telefonata, evidenziando la loro «reciproca intenzione di rafforzare ulteriormente l’interazione russo-iraniana». Non solo. Il segretario del Consiglio di sicurezza russo, Sergei Shoigu, ha anche reso noto che Mosca assisterà Teheran nel cercare di far luce sulle cause dell’incidente: un’inchiesta in tal senso è stata del resto annunciata dal capo di Stato maggiore iraniano, Mohammad Bagheri.
Delle pesanti incognite si registrano frattanto anche sul fronte della politica estera. La leadership iraniana si è infatti ritrovata parzialmente decapitata nel pieno della crisi di Gaza. Se dovesse finire preda di una lotta di potere intestina, la Repubblica islamica rischierebbe di ritrovarsi con una strategia regionale azzoppata.
Non è un mistero che Teheran stia da tempo foraggiando un pericoloso network terroristico, per cercare di ridurre l’influenza di Israele e degli Stati Uniti sul Medio Oriente. Non a caso, a esprimere ieri le proprie condoglianze per la morte di Raisi sono stati Hamas, Hezbollah e gli Huthi: tutti gruppi finanziati da Teheran. Insomma, la crisi di Gaza potrebbe avviarsi verso una svolta: un Iran spaccato al suo interno e ripiegato su sé stesso porterebbe all’indebolimento della propria rete di proxy (a partire da Hamas). Senza contare che una simile situazione potrebbe sfibrare il network internazionale tessuto da Raisi in questi anni: ieri, a porgere le loro condoglianze, sono stati, tra gli altri, Cina, Turchia, Siria e Libano. Israele, che per bocca di un funzionario ha categoricamente escluso un proprio coinvolgimento nella morte del presidente iraniano, potrebbe ora ribaltare la situazione a suo favore nello scontro regionale col regime khomeinista.
Un’altra incognita riguarda le pericolose ambizioni nucleari di Teheran. Il presidente defunto aveva rafforzato i rapporti della Repubblica islamica con potenze nucleari tutt’altro che raccomandabili, come Pakistan e Corea del Nord. Era inoltre metà aprile, quando il Washington Post rivelò che l’Iran sarebbe stato molto vicino alla bomba atomica. Ciononostante, il mese scorso, l’amministrazione Biden non aveva smentito che i colloqui indiretti tra Washington e Teheran per ripristinare il controverso accordo sul nucleare iraniano stessero proseguendo: un ulteriore esempio del pericolosi appeasement dell’attuale Casa Bianca verso gli ayatollah. Da questo punto di vista è significativo il fatto che, a sostituire Abdollahian come ministro degli Esteri, sia stato ieri Ali Bagheri Kani: uno dei principali negoziatori iraniani per il nucleare. A luglio scorso, lo stesso Mokhber sostenne che l’Iran avrebbe dovuto diventare autosufficiente nella realizzazione di reattori nucleari. È quindi improbabile che Teheran abbandonerà le proprie ambizioni atomiche.
Ambizioni che tuttavia stanno compromettendo la sua distensione con Riad. I sauditi temono che gli iraniani possano entrare in possesso dell’ordigno nucleare. E sono rimasti anche impensieriti dal recente attacco di Teheran contro Israele. Una serie di circostanze che sta portando Riad a riavvicinarsi a Washington: appena l’altro ieri, il consigliere per la sicurezza nazionale americano, Jake Sullivan, ha incontrato il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman per discutere di un accordo in materia di sicurezza e di assistenza sul fronte del nucleare a uso civile. Insomma, Teheran sta ormai cadendo in una spirale di crescenti difficoltà.
Ue nel caos pure per le condoglianze: Michel e Borrell afflitti, Ursula muta
La morte del presidente dell’Iran, Ebrahim Raisi, ha dato il via all’ennesima polemica all’interno dell’Unione europea e confermato un dato già evidente prima: anche se si parla di esercito comune, la verità è che nemmeno esiste una politica estera europea. Intorno alle 19 di domenica, mentre erano ancora in corso le ricerche dell’elicottero su cui era in volo il presidente iraniano, il commissario Ue per la Gestione delle crisi, Janez Lenarcic, ha annunciato l’attivazione di Copernicus, il servizio di mappatura di risposta rapida dell’Unione, in aiuto di Teheran. La scelta ha scatenato reazioni ostili, anche perché nell’ultimo anno e mezzo Bruxelles ha imposto all’Iran dieci pacchetti di sanzioni per violazione dei diritti umani, in aggiunta a diverse altre misure in risposta alla fornitura di droni e missili alla Russia. Inoltre, l’Ue chiede da tempo il rilascio dello svedese Johan Floderus, diplomatico europeo detenuto in Iran da due anni con l’accusa di spionaggio.
All’interno del vecchio continente ci si interroga sul significato della parola solidarietà quando essa si rivolge a un regime e, in particolare, a un uomo noto come «il macellaio di Teheran», accusato di essere coinvolto nelle esecuzioni di massa di migliaia di prigionieri politici nel 1988. Tra i promotori della linea della solidarietà, spicca il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel: «L’Ue», ha scritto sul suo profilo X, «esprime le sue sincere condoglianze per la morte del presidente Raisi e del ministro degli Esteri Abdollahian, come anche degli altri membri della loro delegazione e dell’equipaggio, in un incidente in elicottero. Il nostro pensiero va alle famiglie». Analoghe dichiarazioni sono arrivate dall’Alto rappresentante Ue per la politica estera, Josep Borrell: «L’Unione europea esprime le proprie condoglianze per la morte del presidente della Repubblica islamica dell’Iran Ebrahim Raisi, del ministro degli Esteri Hussein Amir Abdollahian e di altri funzionari iraniani coinvolti nel tragico incidente in elicottero di domenica. L’Ue esprime le proprie condoglianze alle famiglie di tutte le vittime e ai cittadini iraniani colpiti».
Dall’altro lato, risulta significativo il silenzio del presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Tra le diverse critiche, poi, emergono quelle di Geert Wilders, leader del Partito per le Libertà olandese e azionista di maggioranza del governo di Amsterdam, il quale ha dapprima ripostato su X l’annuncio - da parte di Lenarcic - dell’attivazione di Copernicus, con il commento «Solidarietà europea con il male», poi ha fatto lo stesso con il post di Michel, aggiungendo questa volta l’hashtag «Not in my name» (non in mio nome). «Spero che l’Iran torni presto a essere uno Stato laico», ha infine pubblicato sul suo profilo, «con la libertà per il popolo iraniano e senza un regime oppressivo e barbaro di mullah islamici».
In seguito è arrivata la difesa di Lenarcic: la fornitura di Copernicus «per facilitare un’operazione di ricerca e soccorso», ha dichiarato, «non è un atto di supporto politico a nessun regime o governo. È semplicemente un’espressione della più basilare umanità». Su cui, però, ognuno va per conto suo.
Negli anni Settanta Henry Kissinger, storico segretario di Stato Usa, si chiedeva ironicamente: «Chi devo chiamare se voglio chiamare l’Europa?». Anni dopo è stato istituito l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, oggi Borrell.
Eppure, la domanda rimane - ancora oggi - senza risposta.
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A guidare la Repubblica islamica fino al voto sarà Mokhber, braccio destro di Khamenei e artefice dell’accordo con Mosca sui droni. Il cambio di vertici potrebbe rafforzare le ambizioni nucleari del regime e, di conseguenza, compromettere la distensione con Riad.Polemiche per la solidarietà di Bruxelles. L’olandese Wilders: «Non in mio nome». Ursula muta, Michel e Borrell afflitti.Lo speciale contiene due articoli.È uno scenario ricco di incognite quello che si apre con la morte di Ebrahim Raisi, rimasto ucciso l’altro ieri insieme al ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, a seguito di un incidente in elicottero. Innanzitutto a livello di politica interna: arrivato alla presidenza iraniana nel 2021, Raisi era considerato un possibile successore dell’ayatollah Ali Khamenei alla carica di guida suprema. Non è quindi escludibile che la sua improvvisa scomparsa possa portare a un periodo di instabilità politica, scatenando una lotta di potere. La presenza di Khamenei ai vertici della Repubblica islamica rende improbabile che possano verificarsi dei cambiamenti di rotta sostanziali nella politica iraniana. Le incognite sorgono semmai su altre questioni. In primis, c’è l’età dello stesso Khamenei: ha 85 anni e il fatto che uno dei suoi più probabili successori sia improvvisamente morto crea una potenziale instabilità. Va anche ricordato che, assieme a Raisi, veniva dato in corsa il figlio dello stesso Khamenei, Mojtaba, che adesso potrebbe acquisire maggior peso politico. Non è comunque chiaro se disponga del sostegno sufficiente per arrivare alla carica di guida suprema. In secondo luogo, si apre la partita per la presidenza. Le Guardie della rivoluzione faranno di tutto per mantenere la loro influenza su questo scranno: in tal senso, un nome che già circola è quello del presidente del parlamento, Mohammad Baqer Qalibaf. Il punto è che non si possono escludere delle divisioni tra gli stessi pasdaran. Bisognerà infine capire se, oltre ai funerali in programma giovedì, si svolgeranno manifestazioni di piazza. E, in caso, di quale orientamento.Le prossime elezioni sono state programmate per il 28 giugno. Per il momento, l’incarico di presidente è passato nelle mani del primo vicepresidente iraniano, Mohammad Mokhber. Considerato assai vicino a Khamenei, Mokhber è un ex ufficiale delle Guardie della rivoluzione e intrattiene stretti legami con la Russia. Fu proprio lui, nell’ottobre 2022, a concludere un accordo con Mosca per fornirle droni e missili. Guarda caso, ieri Vladimir Putin e Mokhber hanno avuto una telefonata, evidenziando la loro «reciproca intenzione di rafforzare ulteriormente l’interazione russo-iraniana». Non solo. Il segretario del Consiglio di sicurezza russo, Sergei Shoigu, ha anche reso noto che Mosca assisterà Teheran nel cercare di far luce sulle cause dell’incidente: un’inchiesta in tal senso è stata del resto annunciata dal capo di Stato maggiore iraniano, Mohammad Bagheri.Delle pesanti incognite si registrano frattanto anche sul fronte della politica estera. La leadership iraniana si è infatti ritrovata parzialmente decapitata nel pieno della crisi di Gaza. Se dovesse finire preda di una lotta di potere intestina, la Repubblica islamica rischierebbe di ritrovarsi con una strategia regionale azzoppata. Non è un mistero che Teheran stia da tempo foraggiando un pericoloso network terroristico, per cercare di ridurre l’influenza di Israele e degli Stati Uniti sul Medio Oriente. Non a caso, a esprimere ieri le proprie condoglianze per la morte di Raisi sono stati Hamas, Hezbollah e gli Huthi: tutti gruppi finanziati da Teheran. Insomma, la crisi di Gaza potrebbe avviarsi verso una svolta: un Iran spaccato al suo interno e ripiegato su sé stesso porterebbe all’indebolimento della propria rete di proxy (a partire da Hamas). Senza contare che una simile situazione potrebbe sfibrare il network internazionale tessuto da Raisi in questi anni: ieri, a porgere le loro condoglianze, sono stati, tra gli altri, Cina, Turchia, Siria e Libano. Israele, che per bocca di un funzionario ha categoricamente escluso un proprio coinvolgimento nella morte del presidente iraniano, potrebbe ora ribaltare la situazione a suo favore nello scontro regionale col regime khomeinista.Un’altra incognita riguarda le pericolose ambizioni nucleari di Teheran. Il presidente defunto aveva rafforzato i rapporti della Repubblica islamica con potenze nucleari tutt’altro che raccomandabili, come Pakistan e Corea del Nord. Era inoltre metà aprile, quando il Washington Post rivelò che l’Iran sarebbe stato molto vicino alla bomba atomica. Ciononostante, il mese scorso, l’amministrazione Biden non aveva smentito che i colloqui indiretti tra Washington e Teheran per ripristinare il controverso accordo sul nucleare iraniano stessero proseguendo: un ulteriore esempio del pericolosi appeasement dell’attuale Casa Bianca verso gli ayatollah. Da questo punto di vista è significativo il fatto che, a sostituire Abdollahian come ministro degli Esteri, sia stato ieri Ali Bagheri Kani: uno dei principali negoziatori iraniani per il nucleare. A luglio scorso, lo stesso Mokhber sostenne che l’Iran avrebbe dovuto diventare autosufficiente nella realizzazione di reattori nucleari. È quindi improbabile che Teheran abbandonerà le proprie ambizioni atomiche.Ambizioni che tuttavia stanno compromettendo la sua distensione con Riad. I sauditi temono che gli iraniani possano entrare in possesso dell’ordigno nucleare. E sono rimasti anche impensieriti dal recente attacco di Teheran contro Israele. Una serie di circostanze che sta portando Riad a riavvicinarsi a Washington: appena l’altro ieri, il consigliere per la sicurezza nazionale americano, Jake Sullivan, ha incontrato il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman per discutere di un accordo in materia di sicurezza e di assistenza sul fronte del nucleare a uso civile. Insomma, Teheran sta ormai cadendo in una spirale di crescenti difficoltà.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/morte-raisi-successione-2668326452.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ue-nel-caos-pure-per-le-condoglianze-michel-e-borrell-afflitti-ursula-muta" data-post-id="2668326452" data-published-at="1716292193" data-use-pagination="False"> Ue nel caos pure per le condoglianze: Michel e Borrell afflitti, Ursula muta La morte del presidente dell’Iran, Ebrahim Raisi, ha dato il via all’ennesima polemica all’interno dell’Unione europea e confermato un dato già evidente prima: anche se si parla di esercito comune, la verità è che nemmeno esiste una politica estera europea. Intorno alle 19 di domenica, mentre erano ancora in corso le ricerche dell’elicottero su cui era in volo il presidente iraniano, il commissario Ue per la Gestione delle crisi, Janez Lenarcic, ha annunciato l’attivazione di Copernicus, il servizio di mappatura di risposta rapida dell’Unione, in aiuto di Teheran. La scelta ha scatenato reazioni ostili, anche perché nell’ultimo anno e mezzo Bruxelles ha imposto all’Iran dieci pacchetti di sanzioni per violazione dei diritti umani, in aggiunta a diverse altre misure in risposta alla fornitura di droni e missili alla Russia. Inoltre, l’Ue chiede da tempo il rilascio dello svedese Johan Floderus, diplomatico europeo detenuto in Iran da due anni con l’accusa di spionaggio. All’interno del vecchio continente ci si interroga sul significato della parola solidarietà quando essa si rivolge a un regime e, in particolare, a un uomo noto come «il macellaio di Teheran», accusato di essere coinvolto nelle esecuzioni di massa di migliaia di prigionieri politici nel 1988. Tra i promotori della linea della solidarietà, spicca il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel: «L’Ue», ha scritto sul suo profilo X, «esprime le sue sincere condoglianze per la morte del presidente Raisi e del ministro degli Esteri Abdollahian, come anche degli altri membri della loro delegazione e dell’equipaggio, in un incidente in elicottero. Il nostro pensiero va alle famiglie». Analoghe dichiarazioni sono arrivate dall’Alto rappresentante Ue per la politica estera, Josep Borrell: «L’Unione europea esprime le proprie condoglianze per la morte del presidente della Repubblica islamica dell’Iran Ebrahim Raisi, del ministro degli Esteri Hussein Amir Abdollahian e di altri funzionari iraniani coinvolti nel tragico incidente in elicottero di domenica. L’Ue esprime le proprie condoglianze alle famiglie di tutte le vittime e ai cittadini iraniani colpiti». Dall’altro lato, risulta significativo il silenzio del presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Tra le diverse critiche, poi, emergono quelle di Geert Wilders, leader del Partito per le Libertà olandese e azionista di maggioranza del governo di Amsterdam, il quale ha dapprima ripostato su X l’annuncio - da parte di Lenarcic - dell’attivazione di Copernicus, con il commento «Solidarietà europea con il male», poi ha fatto lo stesso con il post di Michel, aggiungendo questa volta l’hashtag «Not in my name» (non in mio nome). «Spero che l’Iran torni presto a essere uno Stato laico», ha infine pubblicato sul suo profilo, «con la libertà per il popolo iraniano e senza un regime oppressivo e barbaro di mullah islamici». In seguito è arrivata la difesa di Lenarcic: la fornitura di Copernicus «per facilitare un’operazione di ricerca e soccorso», ha dichiarato, «non è un atto di supporto politico a nessun regime o governo. È semplicemente un’espressione della più basilare umanità». Su cui, però, ognuno va per conto suo. Negli anni Settanta Henry Kissinger, storico segretario di Stato Usa, si chiedeva ironicamente: «Chi devo chiamare se voglio chiamare l’Europa?». Anni dopo è stato istituito l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, oggi Borrell. Eppure, la domanda rimane - ancora oggi - senza risposta.
Piero Cipollone (Ansa)
Come spiega il politico europeo i «soldi verranno recuperati attraverso quello che è il signoraggio all’euro digitale». Invece «per quanto riguarda sistema bancario e gli altri fornitori di servizi di pagamento, la stima è che possa essere fra i quattro e sei miliardi di euro per quattro anni», ricorda Cipollone. «Tenete conto che, rispetto a quello che spendono le banche per i sistemi It, questa è una cifra minima. Parliamo di circa il 3,5% di quello che spendono le banche annualmente per implementare i loro sistemi. Quindi non è un costo». Inoltre, aggiunge, «va detto che le banche saranno compensate» con una remunerazione molto simile a come quando si fa «una transazione normale con carta».
Cipollone ha anche descritto una sequenza temporale condizionata dall’iter legislativo europeo e dalla necessità di predisporre un’infrastruttura operativa completa prima di qualunque emissione. «Se per la fine del 2026 avremo in piedi la legislazione a quel punto pensiamo di essere in grado di costruire tutta la macchina entro la prima metà del 2027 e quindi, a settembre del 27, di cominciare una fase di sperimentazione, il “Pilot”. Per poi partire con il lancio effettivo nel 2029».
Per l’ex vicedirettore generale della Banca d’Italia, l’euro digitale è particolarmente importante per l’Europa «perché via via che si espande lo spazio digitale dei pagamenti, su questo spazio la presenza di operatori europei è quasi nulla». Insomma, «più si espande lo spazio dei pagamenti digitali, più la nostra dipendenza da pochi e importanti operatori stranieri diventa più profonda», ricorda Cipollone. «Le parole chiave sono “pochi” e “non europei”, perché pochi richiama il concetto di scarsa concorrenza, stranieri non europei richiama il concetto di dipendenza strategica da altri operatori. Noi non abbiamo nulla contro operatori stranieri che lavorino nell’area dell’euro. Il problema è che noi vorremmo che l’area dell’euro avesse una sua infrastruttura autonoma, indipendente, che non dipenda dalle decisioni degli altri».
Cipollone ribadisce poi la posizione della Bce sul contante: resta centrale perché «estremamente semplice da usare», quindi inclusivo, utilizzabile ovunque e «sicuro» perché «senza alcun rischio associato». Il problema, però, è che nell’economia sempre più digitale il contante diventa meno spendibile: «Sta diventando sempre meno utilizzabile nell’economia». Da qui l’argomento «di mandato»: se manca un equivalente del contante online, si toglie ai cittadini la possibilità di usare moneta di banca centrale nello spazio digitale; «è come discriminare contro la moneta pubblica». Quindi la Bce deve «estendere una specie di contante digitale» con funzioni analoghe al contante, ma adatto ai pagamenti digitali.
Il politico ieri ad Atreju ha anche parlato di metallo giallo ricordando che le riserve auree delle banche centrali sono cresciute fino a circa 36.000 tonnellate. Come ha spiegato l’esperto, queste riserve «hanno un fondamento storico importante» perché, quando c’era la convertibilità, «servivano come riserva rispetto alle banconote». Oggi, con le monete a corso legale, «la credibilità del valore della moneta è affidata a quella della Banca centrale nell’essere capace di controllare i prezzi», ma «una eco di questa convertibilità è rimasta»: oro e valute restano riserve di valore contro rischi rilevanti.
Come ha spiegato, le Banche centrali comprano oro soprattutto come difesa «contro l’inflazione» e contro «i rischi nei mercati finanziari», e perché «le riserve sono una garanzia della capacità del Paese di far fronte a possibili shock esterni». Per questi motivi, «l’oro è tornato di moda».
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L’argento è ai massimi storici a oltre 60 dollari l’oncia superando i fasti del 1979 o del 2011. Oltre 45 anni fa l’inflazione fuori controllo, la crisi degli ostaggi in Iran e l’invasione sovietica dell’Afghanistan spinsero il prezzo dell’oro a triplicare, mentre l’argento salì addirittura di sette volte. Dopo quel picco, entrambi i metalli entrarono in una lunga fase di declino, interrotta solo dalla sequenza di crisi finanziarie iniziata con il crollo del mercato immobiliare statunitense nel 2007, proseguita con il fallimento di Lehman Brothers nel 2008 e culminata nella crisi del debito europeo tra il 2010 e il 2012. In quel periodo l’oro raddoppiò, mentre l’argento quasi quadruplicò.
A differenza dei grandi rally del passato, l’ultimo anno non è stato caratterizzato da eventi catastrofici paragonabili. E allora perché un rally dei «preziosi»? Parte della spiegazione risiede nelle preoccupazioni degli investitori per una possibile pressione politica sulla Federal Reserve, che potrebbe tradursi in inflazione più elevata con tassi più bassi, uno scenario tradizionalmente favorevole ai metalli preziosi. Un’altra parte deriva dagli acquisti di oro da parte delle banche centrali, impegnate a ridurre la dipendenza dal dollaro. Oggi il metallo giallo rappresenta circa il 20% delle riserve ufficiali globali, superando l’euro (16%). Il congelamento delle riserve russe dopo l’invasione dell’Ucraina ha incrinato la fiducia nel dollaro come valuta di riserva, rafforzando l’attrattiva dell’oro e, per effetto di contagio, anche dell’argento.
Lo sblocco di 185 miliardi di euro di asset russi congelati sta già producendo effetti profondi sull’architettura finanziaria globale e sulla gestione delle riserve da parte delle banche centrali. Secondo Jefferies, il dibattito sulla possibile monetizzazione di queste riserve rappresenta un precedente di portata storica e costituisce uno dei principali motori dell’accelerazione degli acquisti di oro da parte delle banche centrali, iniziata nel 2022.
Il problema è innanzitutto di fiducia. Per i mercati globali il segnale è già stato colto. Il congelamento delle riserve russe nel 2022 è stato il “trigger” - lo stimolo - che ha spinto molti Paesi, soprattutto al di fuori del G7, a interrogarsi sulla sicurezza delle proprie attività denominate in valute occidentali. La risposta è stata un accumulo senza precedenti di oro. I dati del World Gold Council mostrano che tra il terzo trimestre del 2022 e il secondo del 2025 le banche centrali hanno acquistato 3.394 tonnellate di metallo prezioso, con tre anni consecutivi oltre la soglia delle 1.000 tonnellate.
Questo movimento strutturale si è intrecciato con altri fattori macroeconomici che hanno sostenuto una spettacolare corsa dell’oro. Tra il 2024 e il 2025 i prezzi sono raddoppiati, spinti dagli acquisti ufficiali, dai tagli dei tassi della Federal Reserve, da un dollaro più debole, dai dubbi sull’indipendenza della banca centrale statunitense e dal ritorno massiccio degli investitori negli Etf.
Altro fattore scatenante di oro e argento è il debito. Quello globale sfiora ormai la soglia dei 346mila miliardi di dollari, segnala l’Institute of International Finance (IIF), che nel suo ultimo rapporto evidenzia come, a fine settembre, l’indebitamento complessivo abbia raggiunto i 345,7 trilioni, pari a circa il 310% del Pil mondiale. Secondo l’IIF, «la maggior parte dell’aumento complessivo è arrivato dai mercati sviluppati, dove l’ammontare del debito ha segnato un un rapido aumento quest’anno».
Più debito e più sfiducia sulle regole finanziarie portano alla fuga però dai titoli di Stato, come emerge dai rendimenti. Quelli dei bond pubblici globali a 10 anni e oltre sono balzati al 3,9%, il livello più alto dal 2009. I rendimenti obbligazionari mondiali (gli interessi che si pagano) sono ora 5,6 volte superiori al minimo registrato durante la pandemia del 2020. Trainano il rialzo le principali economie, tra cui Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Canada, Germania e Australia. Per dire, il rendimento dei titoli di Stato tedeschi a 30 anni è salito al 3,46%, il livello più alto da luglio 2011. Quando l’argento toccò un picco.
L'era del denaro a basso costo per i governi sembra finita. Vediamo come finisce questa corsa del «silver» e del «gold».
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