2020-02-10
Morbidi intrecci. Perché bisogna difendere la lana dall’assalto degli animalisti
Protegge dal freddo ma anche dal caldo, fa respirare la pelle, resiste ai batteri. Scoprite (o riscoprite) quanto è preziosa.Nell'epoca del trionfo dell'acrilico, se diciamo «lana», è più facile che invece del nome di cosa si intenda il nome di persona: la cantante Lana Del Rey, o la bellissima wrestler e modella americana dal nome d'arte Lana ( Catherine Joy Perry).Un tempo, fraintendimenti simili non sarebbero potuti avvenire. Chiunque avrebbe pensato esclusivamente alla fibra tessile naturale regina dell'inverno, che ora deve pure fronteggiare la crociata degli animalisti. Infatti, dopo aver condotto una campagna social contro la pelliccia, fregiandosi della collaborazione di star del calibro di Kim Basinger, Eva Mendes, Pamela Anderson e l'italiana Elisabetta Canalis, l'organizzazione Peta (People for ethical treatment of animals) se l'è presa pure con la lana. Nel nome dell'animalismo, ha promesso che si scaglierà contro i pellami e contro quel puro tessuto vergine che, da tempo immemore, l'uomo ricava dal vello della pecora, di alcune capre, dei conigli (angora), di alcuni camelidi (cammelli, lama, vigogna, alpaca), dello yak e dell'antilope tibetana (la shahtoosh è la lana più preziosa del mondo, ma siccome l'antilope tibetana non si può allevare e la caccia del suo vello, per ottenere il quale veniva uccisa, rischiava di estinguere la specie, dal 1979 l'animale selvatico è specie protetta e il commercio di manufatti con la sua lana è severamente vietato). Altra lana è quella ottenuta dopo la macellazione dell'animale allevato per scopo alimentare che, considerata meno preziosa, si chiama «lana di concia». E poi c'è la lana di recupero, filata dagli scarti produttivi della lana vergine e di quella di concia, detta «lana rigenerata».Anticamente, la lana si realizzava partendo dai fiocchi strappati dalla pelle dell'animale: furono i Romani (animalisti ante litteram?) a introdurre le cesoie, che evitavano un'inutile sofferenza alle bestie. Il processo che porta dai fiocchi di lana al filato non è affatto immediato: con la tosatura, a mano o meccanica, si separa il vello dal corpo (si chiama «lana saltata» se l'animale è stato prima lavato e «lana sucida» se non lo è stato).La cernita consiste nella suddivisione del vello in parti più pregiate: è un po' come per i quarti dell'animale da alimentazione perché c'è quella fine e lunga di spalle e fianchi, quella corta e ruvida della schiena e quella corta e debole del ventre. Il lavaggio della lana prevede acqua tiepida e detergenti: è in questa fase che dall'acqua di scarico si estrae la lanolina, il prezioso grasso puro della lana, utilizzato nell'industria farmaceutica, cosmetica, detergente e perfino alimentare come additivo lucidante. Quindi, dopo l'asciugatura con aria calda, la cardatura rimuove eventuali ulteriori impurità ancora presenti, districa e posiziona parallele le fibre che la pettinatura ordinerà definitivamente.Nel caso in cui la lana debba essere anche filata, dopo la pettinatura, dalla quale si ottiene un nastro detto «top», si fa lo stiro da cui lo stoppino, poi la filatura che trasforma lo stoppino in filo, la ritorcitura che seleziona il numero di fili e li ritorce perché il filo definitivo abbia maggiore resistenza, infine la roccatura che avvolge il filato su rocche. La filatura, che trasforma la fibra grezza in filato (per lana e cotone si parte dai fiocchi, nel caso della seta da un filo continuo), è un'operazione antica quasi quanto l'uomo, studiata per realizzare indumenti diversi dalle pelli animali.La prima ritorcitura della fibra, nella storia dell'uomo, è stata effettuata con le mani: già nell'epoca neolitica, l'ultima dell'età della pietra, si utilizzava il fuso, un bastoncino panciuto lungo il quale si torcevano e arrotolavano le fibre facendone filo. Era un lavoro che richiedeva tempo, impegnava soprattutto donne e bambini, e il massimo che si otteneva era qualche ettogrammo di filo al giorno.Nel Medioevo si inventò il filatoio a pedale ma è con la rivoluzione industriale e la meccanizzazione della filatura che la produzione tessile conosce una produzione senza limiti. Sempre prima dell'epoca industriale, il panno di lana era - come il feltro e il cuoio - uno dei pochi materiali impermeabili. Poi, è stato soppiantato dalle fibre sintetiche, dette tecnofibre, e impermeabilizzate chimicamente: un gran peccato.La fibra di lana è costituita da cheratina (sostanza proteica di cui sono fatti anche i nostri capelli, perciò se abbiamo finito l'ammorbidente possiamo utilizzare del balsamo nel lavaggio della lana) ed è rivestita da squame (visibili al microscopio). In questa particolare struttura, risiede gran parte della sua efficienza come tessuto per l'abbigliamento.La lana è innanzitutto molto morbida, diversamente, per esempio, da una fibra acrilica messa a diretto contatto con la pelle. Le fibre della lana assorbono, così intrappolando, l'umidità atmosferica. La stessa cosa succede con l'umidità interna, assorbita e quindi allontanata dalla pelle: la pelle coperta di lana respira, mentre l'acrilico la isola come se fosse uno strato di pellicola plastica. Questo alto tasso di igroscopicità della lana, cioè di capacità di assorbimento dell'umidità, è il motivo per cui anche in estate, nelle zone estremamente calde e umide, si utilizzano tessuti di lana - in questo caso, si intende, tessuti di spessore sottile - per riparare il corpo da una temperatura esterna eccessivamente calda in modo migliore del cotone.Fibra molto elastica, che significa maggiore durata nel tempo (basti pensare che la fibra di lana può essere piegata su sé stessa fino a 20.000 volte senza rompersi, rispetto alle 3.000 volte del cotone e alle 2.000 della seta), la lana presenta una termocoibenza molto elevata: maggiore è il suo spessore, maggiore è la termocoibenza. Per termocoibenza si intende la capacità di mantenere il calore di ciò che avvolge evitando che si disperda nell'ambiente circostante, funzionando come un termoisolante e non solo per il nostro corpo (anche l'edilizia la sfrutta per realizzare pannelli termoisolanti).Ottima, poi, è la resistenza della lana a muffe, batteri e soprattutto allo sporco, perché gli oli al suo interno - la lanolina - funzionano come repellenti (non è lo stesso per le fibre sintetiche). Perciò, proprio per mantenere intatta questa sua caratteristica, quando si lava la lana, bisogna sempre nutrirne le fibre con ammorbidenti preferibilmente a base di lanolina.La lana è un materiale decisamente antico e questo la pone decisamente a rischio nella concezione ipercapitalistica e globalista che ormai intossica l'economia contemporanea. Finta lana di puro acrilico, sovente di produzione cinese, ha invaso il mercato mentre la pura lana vergine, già rara, lo diventa ancora di più se di filiera completamente italiana, cioè filata dal vello di animali allevati in Italia. Dovremmo, invece, recuperare l'apprezzamento di manufatti in pura lana e la cultura del lavoro ai ferri, di gomitoli di lana, preferibilmente italiana.Oggi, il mercato mondiale della lana fa ricavare 80 miliardi di dollari annui e la produzione annua di tonnellate di lana pulita si attesta su un milione: sembra un dato alto, ma era il doppio soltanto venti anni fa. Così come, fino a venti anni fa, i lanifici italiani erano regola e non eccezione come, purtroppo, è oggi. L'Italia sta cercando di recuperare terreno, puntando sulla lana di estrema qualità e sulla trasformazione: è il primo esportatore di tessuti in lana e in misto lana, con 37.000 tonnellate l'anno, seguita però a ruota dalla Cina che nel settore dei filati, invece, l'ha superata: il paese attualmente afflitto dal coronavirus è il primo esportatore mondiale col 19% del mercato, l'Italia il secondo col 14%. Nella produzione tessile di abbigliamento in lana - la cosiddetta lavorazione di lana ordinaria - l'Italia ha registrato un drammatico calo, determinato dallo spostamento della produzione, al solito, laddove i costi fissi e della manodopera sono più bassi.È poi incredibile pensare che parte della lana italiana derivante dall'allevamento ovino per scopi alimentari venga gettata via, in barba alla vecchia pratica della lavorazione che, forse, portava a una produzione di «serie B» ma almeno non scartava niente e non riduceva la lana a tessuto costosissimo per soli ricchi: «Ottimale sarebbe chiudere la filiera ovina attraverso la valorizzazione della lana e la costituzione di consorzi per la lavorazione della stessa. La lana di pecora è una materia prima preziosa e versatile; è ora diventata un problema poiché viene trattata come un rifiuto speciale da smaltire (circa 100 euro al quintale). Esiste la possibilità di ridare nuova vita e dignità a questo prodotto, dandone opportuno risalto e valore come importante materia prima rinnovabile mediante promozione, iniziative e progetti», ci ha detto Dino Scanavino, presidente di Cia - Agricoltori Italiani. A Biella, che fu un polo laniero importantissimo e nel tempo ha perduto colpi, l'inglese Nigel Thompson, un decennio fa ha creato The Wool Company, un consorzio per lavorare e vendere lana di concia italiana in Italia e nel mondo che sta avendo un buon successo.
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