
Il «Corriere» rispolvera l’ex premier, che chiede al governo di «mostrare comprensione» per le debolezze di Francia e Germania. È la solita storia: quando alle elezioni vince la parte sbagliata, gli «ottimati» la spingono ad attuare le politiche degli avversari.Un’Italia in versione Buon samaritano, che vota con gioia per il bis di Ursula von der Leyen. Un’Italia che non approfitta della debolezza dell’asse franco-tedesco in Europa, ma che fa da portatore d’acqua (e di voti) a Berlino e Parigi «mostrando comprensione». Quella che non hanno dimostrato gli elettori alle ultime elezioni europee. Il bel consiglio, vagamente interessato, arriva da Mario Monti, che ieri si è rivolto direttamente a Giorgia Meloni con una sorta di lettera aperta sul Corriere della Sera. Lui, l’economista frugalissimo che nel 2011 Francia e Germania spinsero sulla tolda di Palazzo Chigi, di certo non ebbe molta comprensione, e neppure pietà, con il popolo italiano. Ma a 81 anni suonati ormai è un lobbista di Bruxelles senza più freni inibitori. E quando ci sono da fare le nomine nei sacri palazzi dell’Unione, Monti si aggira per meeting e redazioni come un Fassino al duty free: lo muove una forza superiore.La democrazia rappresentativa nella testa degli ottimati europeisti alla Prodi, alla Gentiloni o alla Enrico Letta, è un sistema in fondo abbastanza semplice. Ci sono i Buoni & Competenti e i Gran puzzoni. Se la gente vota i primi, non ci sono problemi: pensano a tutto loro e ci si rivede tra cinque anni. Se invece gli elettori sbagliano a votare, fuorviati da fake news ed egoismi nazionali, allora bisogna che i Gran puzzoni si affidino ai Buoni & Competenti e ne seguano i consigli, cooptandoli e includendoli, per meglio implementarne le sagge politiche e rispettando i giusti vincoli «esterni». Detta in modo più grezzo, l’Unione europea alla Monti funziona così: se vinciamo noi, comandiamo noi e se vincete voi, anche. Con questa modesta avvertenza metodologica si può dunque passare al disinteressatissimo appello del professore varesotto affinchè Ursula von der Leyen ci delizi per un altro quinquennio. C’è il rischio che Meloni faccia pesare i suoi voti e tratti all’ultimo respiro per ottenere il massimo per l’Italia? Ecco, invece la Sibilla di Cernobbio e del Bruegel Institute soffia: «È auspicabile che il governo Meloni si proponga obiettivi strategici alti per un migliore funzionamento dell’Europa che c’è». Rinunciare ai propri interessi per porsi «obiettivi strategici alti» ricorda quei tipi che al tavolo di una trattativa d’affari, quando vengono sgamati sui soldi o sulle condizioni contrattuali capestro, si arrampicano sugli specchi e dicono all’interlocutore di turno: «No, ma vediamola da una prospettiva diversa». Sì, diversa, ma intanto ci stai fregando. Ecco, la «prospettiva diversa» di Monti, casualmente, ci va nel Loden alla grandissima. Il senatore a vita sostiene, un po’ minaccioso, che il premier «dovrà rendere conto a tutti gli italiani di come avrà definito e conseguito l’interesse nazionale nelle prossime trattative» per la nascita della Commissione Ue. Il passaggio è meno banale di quanto possa sembrare perché ovviamente per gli ottimati l’interesse nazionale è qualcosa che già c’era, qualcosa di immanente, qualcosa per il quale non c’era bisogno che gli italiani si disturbassero a votare. Però, curiosamente, se la classe politica e di governo non serve questo interesse superiore non meglio esplicitato, il popolo allora la giudicherà e se del caso la manderà a casa. Monti passa dunque ad analizzare il triste momento di Francia e Germania, che per lui costituiscono comunque un asse insostituibile. Deve l’Italia approfittare della loro debolezza per sostenere idee e programmi alternativi alla loro consueta minestra di neoliberismo, temperato dal culto della burocrazia straripante? Giammai. Dopo aver citato il proprio ultimo libro in cui ha già spiegato tutto, il professore spiega che la crisi dell’asse tra Parigi e Berlino «non è una buona notizia per nessuno», ma ben si guarda dal provare ad analizzare i motivi del continuo incartarsi del pokerista Emmanuel Macron e del pallido Olaf Scholz. Non si fa alcuna domanda sui loro errori e sulla paralisi europea, non si chiede né se la transizione ecologica a tappe forzate sia una buona idea e neppure perché questi campioni non siano stati capaci di realizzare quell’unione bancaria che a Monti e agli amici di Monti piacerebbe tantissimo. Niente, all’ex premier interessa solo il disarmo unilaterale della Meloni, che «non deve installarsi nella cabina di regia», ma limitarsi a portare acqua all’asse franco-tedesco, «parlando più spesso con Francia e Germania», facendo vedere «che trarrebbe soddisfazione da un ruolo più incisivo nel costruire la casa comune europea». Insomma, scodinzolando pure. E già che ci siamo, il Monti suggerisce di smetterla con certi atteggiamenti un po’ da poveracci, come «mendicare sconti sul patto di stabilità o bloccare le procedure di infrazione». Se stiamo buoni e non puntiamo i piedi, qualcosa dal tavolo cadrà. Nei giorni scorsi, su questa falsa riga si sono espressi con il consueto euro-entusiasmo giulivo anche i piddini Enrico Letta, Stefano Bonaccini, Roberto Gualtieri e Paolo Gentiloni. Lo stile grifagno di Monti però resta inarrivabile. Come profeta del disarmo unilaterale non ha nulla da invidiare a Vladimir Putin quando «fa la pace» con l’Ucraina tenendosi tutti i territori che ha invaso.
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